Supreme Court of the United States, 26 giugno 2003, Lawrence J.G. e Garner T. v. Texas, scheda di Francesco Bilotta

10.11.2005

Supreme Court of the United States, 26 giugno 2003, Lawrence J.G. e Garner T. v. Texas – “E’ INCOSTITUZIONALE CONSIDERARE REATO UN RAPPORTO SESSUALE TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO”

Più di due anni fa veniva pronunciata questa importantissima sentenza dal massimo organo giudiziario degli Stati Uniti d’America.

In Italia – se si eccettua una menzione del Foro italiano (2004, IV, 42 con nota di Passaglia), e alcune brillanti riflessioni di Morris Montalti (Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è un diritto fondamentale? Due recenti pronunce in Massachusetts dopo Lawrence v. Texas, in Pol. dir., 2004, 687-700), è stato dato poco risalto a tale decisione.

La convinzione che sia una sentenza che segna il punto di non ritorno rispetto alla non accettazione sul piano sociale (e quindi giuridico) delle relazioni omosessuali, ci ha indotto a pubblicare sia il testo in inglese della sentenza, sia la traduzione della opinione di maggioranza redatta dalla Giudice Kennedy, (Stevens, Souter, Ginsburg,  Breyer, O’Connor, concorrenti; Scalia, Rehnquist, Thomas, dissenzienti).

La traduzione è mia, ma devo dire grazie a Raffaele Torino e a Lorenzo Ciaroni per i loro suggerimenti. Ovviamente qualsiasi errore è addebitabile esclusivamente a me (francesco bilotta).

Nel caso Lawrence e Garner v. Texas, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiara l’incostituzionalità di una legge penale del Texas che puniva la sodomia. Gli argomenti utilizzati dal giudice estensore dell’opinione di maggioranza sono ad un tempo testimoni di una consapevolezza dei mutamenti sociali in atto e del ruolo della giurisprudenza nel favorire processi di “liberazione” della persona.

La motivazione della sentenza è lungamente dedicata a porre in rilievo la necessità di abbandonare il precedente in materia che i giudici intendevano overrule, ossia il caso Bowers. E il relatore mette subito in luce che:

 «Sostenere che nel caso Bowers fosse in discussione semplicemente il diritto di intrattenere una certa condotta sessuale priva di senso l’azione intentata dal ricorrente, così come sarebbe privata di senso la relazione di una coppia sposata se si affermasse che il matrimonio concerne soltanto il diritto ad avere una relazione sessuale. Le leggi interessate dal caso Bowers e dal caso odierno, senza dubbio, sono leggi che hanno la pretesa di eliminare piuttosto che proibire un particolare atto sessuale. Le pene che esse stabiliscono e gli scopi che esse perseguono, tuttavia, hanno conseguenze di non poco momento, poiché incidono sulla più privata delle condotte umane, la vita sessuale e il più privato dei luoghi, la casa. Tali leggi tentano di ingerirsi in una relazione interpersonale, che, abbia o meno diritto ad un riconoscimento legale, rientra nella libertà delle persone di compiere delle scelte senza essere per ciò criminalizzate».

 Il giudice prosegue sottolineando:

 «Questo, come regola generale, dovrebbe mettere in guardia contro i tentativi dello Stato o di una corte, di precisare il significato di una relazione ovvero di definirne i contorni in mancanza di un danno alla persona o di un’offesa a un’istituzione che la legge protegge. Secondo noi è sufficiente riconoscere che delle persone adulte possano scegliere di intrattenere una tale relazione nell’ambito delle loro mura domestiche e della loro vita privata e nondimeno conservare la loro dignità di persone libere. Sebbene la sessualità trovi piena espressione in una relazione intima con un’altra persona, tale relazione può tuttavia essere solo uno degli elementi che caratterizzano un vincolo personale ben più stabile. La libertà sancita dalla Costituzione riconosce agli omosessuali il diritto di fare una tale scelta».

 In un passaggio fondamentale della sentenza, molto bella anche da un punto di vista letterario, si richiama con forza il primato del diritto all’autodeterminazione del singolo in relazione alle scelte inerenti la sfera sessuale a prescindere dal suo orientamento:

 «La decisione del caso Casey ha confermato ancora una volta che il nostro diritto e la nostra tradizione offrono una tutela a livello costituzionale alle decisioni personali relative al matrimonio, alla procreazione, alla contraccezione, alle relazioni familiari, alla crescita e all’educazione dei bambini (Id., p. 851). Nel chiarire quale rispetto la Costituzione esiga per l’autonomia delle scelte personali, abbiamo affermato quanto segue:

“Tali materie, coinvolgenti le scelte più intime e personali che una persona possa compiere nella sua vita, scelte fondamentali per la dignità e l’autonomia della persona, sono al centro della libertà tutelata dal XIV Emendamento. Il cuore della liberta è il diritto di definire il proprio concetto dell’esistenza, del senso dell’universo e del mistero che è la vita umana. Le convinzioni rispetto a tali materie non potrebbero far risaltare le caratteristiche della personalità di ciascuno se esse fossero maturate sotto la costrizione dello Stato” Ibid.

Le persone in una relazione omosessuale possono domandare un’autonomia nel perseguire i propri obiettivi tanto quanto le persone eterosessuali. La decisione nel caso Bowers intendeva negare loro tale diritto».

Ammirevole, poi, la riflessione del giudice sugli effetti indiretti della legge penale e della sua valutazione da parte della giurisprudenza della Suprema Corte federale nella materia in considerazione:

 «Quando la condotta omosessuale è dichiarata reato dalla legge statale, tale dichiarazione è di per se stessa un invito a discriminare le persone omosessuali nella sfera pubblica e privata. La motivazione centrale del caso Bowers è stata messa in discussione da questo caso e il suo valore deve essere riconsiderato. Continuare a considerarlo un precedente avvilisce la vita degli omosessuali (…) Il caso coinvolge due adulti che, con pieno e reciproco consenso hanno tenuto comportamenti di natura sessuale comuni tra persone omosessuali. I ricorrenti hanno il diritto al rispetto della loro vita privata. Lo Stato non può avvilire la loro esistenza o controllare il loro destino trasformando in crimine la loro condotta sessuale. Il loro diritto alla libertà in base alla Due process Clause li legittima pienamente a tenere una certa condotta senza che lo Stato intervenga. “E’ una promessa della Costituzione che ci sia un dominio della libertà individuale in cui lo Stato non può mai entrare.” Casey, supra, p. 847»

 Infine, si sottolinea, con una limpidezza che nella nostra giurisprudenza rare volte si riscontra, il valore che ha la Costituzione e l’importanza di una lettura evolutiva della stessa.

 «Coloro che hanno scritto e ratificato le Due Process Clauses del V Emendamento e del XIV Emendamento conoscevano le molteplici componenti della libertà e avrebbero potuto essere più precisi. Essi non hanno ritenuto opportuno essere tanto puntuali. Essi sapevano che il tempo ci può impedire di vedere certe verità e le generazioni future possono rendersi conto che leggi una volta ritenute necessarie e appropriate servono in concreto solo ad opprimere. Fintanto che la Costituzione perdura, le persone di ogni generazione possono invocare i suoi principi alla ricerca di una maggiore libertà»

 Se si pone mente alle opinioni dei dottori italiani con riferimento all’insuperabilità del tenore letterale dell’art. 29 Cost., il confronto è davvero avvilente. Tanto più se si riflette sulla inconsistenza dei richiami alla “tradizione giuridica” del nostro Paese. La tradizione non è stata mai un ostacolo per il giurista, come con intelligenza mostra la sentenza della Corte Suprema statunitense appena analizzata. Dalla dote nuziale all’autorità maritale, dalla distinzione tra figli legittimi e naturali alla emersione del danno esistenziale, nell’ambito della responsabilità civile, sono molteplici gli esempi che si possono addurre per dimostrare come il diritto – e in primo luogo il diritto privato – sia stato di volta in volta rimodellato sullo stampo di una società in continuo cambiamento (francesco bilotta).