Tribunale di Treviso, sentenza del 15 dicembre 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI TREVISO

SEZIONE PRIMA CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Giudice dotto Alberto Barbazza, ha

pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa n. 3003/2012 R.G., promossa con atto di citazione notificato in data 10 maggio

2012

da

XXXXX,

rappresentato e difeso dall’avv. Innocenzo D’Angelo, per mandato a margine dell’atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Treviso;

-ATTORE-

contro

COMUNE DI TREVISO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonello Coniglione e Giampaolo De Piazzi, dell’ Avvocatura Civica del Foro di Treviso, per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato presso la sede municipale di Palazzo Ca’ Sugana in Treviso;

-CONVENUTO-

Causa trattenuta per la decisione all’udienza del 30 ottobre 2014 sulle seguenti conclusioni delle parti:

PER L’ATTORE:

In via principale: “Piaccia alla S. V.III.ma, ogni contraria richiesta ed eccezione respinta, riconosciuti in- capo al XXXXX la qualità di erede di YYYYY  e/o il rapporto di stabile convivenza tra gli stessi XXXXX e YYYYYYY disporre che a XXXXXXX venga affidata l’urna cineraria dello stesso YYYYYY ex art. 3 comma l) lettera e) della legge 230/2001. In ogni caso con vittoria dì spese, diritti e onorari”. In ogni caso si rifiuta il contradditorio su ogni nuova istanza, domanda a eccezione contraria.

PER IL CONVENUTO:

Nel merito: “Respingere integralmente le domande tutte avanzale dal signor XXXXX nei confronti del Comune di Treviso, in quanto infondate in fatto e in diritto”. In ogni caso, con vittoria di spese e compensi professionali.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con atto di citazione notificato in data l0 maggio 2012 XXXXX conveniva in giudizio il Comune di Treviso, in persona del Sindaco pro tempore, al fine di ottenere l’affidamento, in qualità di erede e/o di stabile convivente, dell’urna cineraria di YYYYYYY, deceduto il 23 febbraio 2011.

L’attore esponeva di essere stato nominato, con testamento olografo pubblicato il 24 marzo 2011, erede universale del YYYYYYY (doc. 2 parte attrice) e di aver convissuto stabilmente con quest’ultimo per venticinque anni, rivendicando il diritto di poter conservare le ceneri del proprio compagno.

Dopo la cremazione della salma e la tumulazione dell’urna in un loculo cimiteriale, esponeva il XXXXXXX di aver inviato al Comune di Treviso lettera raccomandata a/r, ricevuta in data 8 marzo 2012 (doc. 4 parte attrice), con la quale chiedeva formalmente l’affidamento dell’urna cineraria in quanto unico erede testamentario del de cuius.

A fronte dell’inerzia della p.a., l’odierno attore decideva di adire il Giudice ordinario per veder riconosciuti i suoi diritti, instaurando il presente contenzioso.

A seguito dell’instaurazione dell’azione, l’Amministrazione inviava in data 13 agosto 2012 comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. I0 bis, e successivo provvedimento di diniego in data 2 novembre 2012 (cfr. docc. 9-10 parte convenuta).

In particolare, l’unico erede del YYYYYY rivendicava il diritto di poter conservare presso la propria abitazione l’urna contenente le spoglie del defunto e ciò sulla base di una lettura estensiva dell’art. 3 comma primo, lettera e) della legge 130/2001 (“Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri“): tale norma stabilisce, invero, che le modalità di conservazione delle ceneri sono disciplinate prevedendo, nel rispetto della volontà espressa dal defunto, alternativamente, la tumulazione, l’interramento o l’affidamento ai familiari, termine, quest’ultimo, secondo l’attore, riferibile per interpretazione estensiva della norma anche al convivente e/o erede del defunto.

Si costituiva il Comune di Treviso, eccependo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione del Giudice adito, in quanto il XXXXXXX avrebbe dovuto impugnare, dinanzi al Tar, dapprima il silenzio-inadempimento della p.a, sull’istanza proposta e successivamente il provvedimento di diniego emanato tardivamente dal responsabile del procedimento, essendo la situazione giuridica soggettiva vantata dall’attore nei confronti del Comune di Treviso corrispondente ad un interesse legittimo e non ad un diritto soggettivo, radicandosi pertanto la giurisdizione amministrativa e non quella ordinaria.

Il convenuto eccepiva inoltre, in via preliminare, la nullità dell’atto di citazione per la mancata esposizione di argomentazioni giuridiche a sostegno della pretesa azionata e nel merito la carenza di legittimazione attiva del XXXXXX, dal momento che sia l’art. 3 comma primo, lettera e) della legge n. 130/7001 sia l’art. 49 della legge regionale del Veneto n. 18/20l0 (“Norme in materia funeraria) non consentirebbero di ritenere che l’erede e/o il convivente rientrino nel novero dei soggetti aventi titolo per chiedere l’affidamento dell’urna cineraria.

All’udienza dell’11 ottobre 2012 il Giudice assegnava alle parti i termini ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ. e con ordinanza del 24 gennaio 2013, sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 23 gennaio 2013, fissava udienza di precisazione delle conclusioni per il giorno 4 dicembre 2013, ritenuta la natura documentale della causa.

A seguito di istanza di anticipazione dj udienza depositata dall’attore in data 21 febbraio 2013, il Giudice, in considerazione dell’interesse morale del XXXXX alla decisione del giudizio, fissava per il giorno 22 maggio 2013 udienza di precisazione delle conclusioni.

Le parti, infine, precisavano nuovamente le conclusioni all’udienza del 30 ottobre 2014, avendo il nuovo Giudice designato accolto la richiesta di anticipazione dell’udienza, proveniente sempre da parte attrice e depositata in data 21 marzo 2014.

In tale udienza le parti rinuncivano ai termini per il deposito delle comparse conclusionali e repliche e il Giudice tratteneva la causa in decisione.

 

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

 

L’eccezione di carenza di giurisdizione in capo al Giudice ordinario nei confronti della Pubblica Amministrazione, sollevata dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta e rilevabile anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo ex art. 37 cod. proc. civ. è fondata e come tale merita di essere accolta.

Preliminarmente si rileva che il sistema di riparto della giurisdizione, cosi come delineato dalla Costituzione (artt. 24, 103, 113) e dal Codice del Processo Amministrativo (art. 7), si fonda sul criterio della c.d. causa petendi, ovvero sulla natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, sussistendo la giurisdizione del giudice amministrativo quando il cittadino vanti una situazione di interesse legittimo, radicandosi invece la giurisdizione del giudice ordinario quando si controverta di un diritto soggettivo. .

La necessità di qualificare correttamente la posizione giuridica fatta valere dall’odierno attore, il quale si rivolgeva dapprima alla p.a, e successivamente al Giudice ordinario per ottenere l’affidamento dell’urna cineraria contenente le ceneri del YYYYYYYYY, impone in primo luogo una valutazione inerente la natura dei poteri conferiti dalla legge al Comune di Treviso in materia funeraria, anche attraverso un’intepretazione sistematica delle norme vigenti.

Infatti, solo tale esame della normativa statale e regionale in tema di cremazione e dispersione delle ceneri è in grado di rivelare se l’attività dell’Amministrazione abbia carattere discrezionale o vincolato.

La Cassazione con ordinanza a Sezioni Unite (cfr. Cass., ord. 120/2007) ha ribadito che laddove l’attività posta in essere dalla p.a. abbia carattere discrezionale, sussiste la giurisdizione del Giudice Amministrativo, mentre, nel caso di attività posta in essere dall’ente pubblico che abbia natura strettamente vincolata, la giurisdizione sarebbe del Giudice Ordinario. Tale principio condivisibile in via generale, è stato meglio enucleato da una Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato di poco seguente (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., n. 8/2007), mai sconfessata da successive pronunce della Cassazione, la quale ha confermato che nel caso di attività discrezionale è pacifica la giurisdizione del giudice amministrativo, mentre ha specificato che, nel caso di attività strettamente vincolata, sussiste la giurisdizione amministrativa solo se la nonna attributiva del potere tuteli in via diretta l’interesse pubblico. La giurisprudenza amministrativa, invero, mette in evidenza come nell’ipotesi di attività vincolata diretta in via primaria alla tutela del privato il potere amministrativo sia solo apparente, in quanto la norma imporrebbe all’Amministrazione di agire a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale, vantando il cittadino una posizione di diritto soggettivo da tutelare innanzi alla giurisdizione ordinaria, mentre se il potere, ancorché interamente vincolato, fosse espressione del perseguimento immediato di un interesse pubblico, il privato farebbe valere una posizione di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del Giudice amministrativo.

Nella vicenda che ha dato origine alla presente controversia l’Amministrazione comunale di Treviso ha agito in virtù dell’art. 3 legge statale n. 130/2001, che sul punto si limita a prevedere che “fermo restando l’obbligo di sigillare l’urna, le modalità di conservazione delle ceneri devono consentire l’identificazione dei dati anagrafici del defunto e sono disciplinate prevedendo, nel rispetto della volontà espressa dal defunto, alternativamente, la tumulazione, l’interramento o I ‘affidamento ai familiari“, dettando quindi solo una disciplina dì principio e prevedendo che “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge si provveda alla modifica del regolamento di polizia mortuaria approvato con d.p.r. n. 285/1990”.

Successivamente l’art. 49 della legge regionale del Veneto n. 1812010, pur specificando i soggetti legittimati alla richiesta di affidamento dell’urna cineraria e le modalità di consegna di quest’ultima, affida anch’essa ai Comuni il compito di determinare “le prescrizioni relative all’4Ifidamento e alle caratteristiche delle urne cinerarie“.

Il Comune di Treviso, con delibera del 7 marzo 2005 (doc. 8 parte convenuta) provvedeva quindi a dare attuazione alla legge 13012001, fissando i requisiti necessari per presentare la domanda di affidamento delle urne cinerarie e regolando tutti gli adempimenti necessari per ottenere la consegna delle stesse, integrando così la disciplina statale di principio.

Dall’esame di tale delibera si può evincere come l’attività dell’amministrazione comunale sia strettamente vincolata, limitandosi la stessa all’accertamento dei presupposti che legittimano la domanda di consegna dell’urna cineraria, fra i quali la qualità di coniuge o parente del defunto, ai sensi del codice civile, nonché i dati e le dichiarazioni che l’istanza di assegnazione deve contenere.

Trattandosi pertanto di una valutazione di corrispondenza fra i requisiti richiesti dalla legge, così come integrati dalla delibera comunale e quelli in possesso e dichiarati dall’istante, la p.a. non opera alcuna scelta discrezionale circa l’accoglimento o il diniego dell’istanza, essendo il potere affidato al Comune interamente predeterminato dalle suddette fonti primarie e secondarie.

Diviene a questo punto decisivo stabilire, alla luce della giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio dì Stato in precedenza richiamata, se la natura vincolata dell’attività demandata all’Amministrazione sia stabilita nell’interesse primario del privato o se il Comune agisca per la salvaguardia in via diretta dell’Interesse generale.

La soluzione, dalla quale dipende il riparto di giurisdizione, si deve ricercare nella finalità perseguita dalle norme che disciplinano le diverse pratiche funerarie (cfr. Cons. Stato, Ad. Pen. n. 8/2007), fra le quali è compreso anche l’affidamento delle ceneri dopo la cremazione della salma.

A tal proposito, la ratio sottesa alla legge n. 130/2001 (“Disposizioni in materia di cremazione e di dispersione delle ceneri“), nonché alla legge regionale Veneto n. 18/2010 (“Norme in materia funeraria”) è in via principale la tutela della salute pubblica e solo in via subordinata e secondaria la tutela dell’interesse privato, dovendosi valorizzare, oltre all’esplicita indicazione in tal senso contenuta nell’art. 1 della legge regionale in parola, anche l’insistenza, riscontrabile nella maggior parte delle disposizioni di entrambi i testi normativi richiamati, sul rispetto delle necessarie misure igieniche- e delle indicazioni impartite dall’autorità sanitaria.

Tuttavia, pur se è vero quanto sopra detto in relazione alla ratto sottesa alla disciplina della cremazione e della eventuale dispersione delle ceneri è in via principale la tutela della salute pubblica, come confermato d’altra parte dall’obbligo per la p.a. di osservare le necessarie misure igienico-sanitarie e le indicazioni impartite dall’azienda ULSS (cfr., in particolare, capo XVI d.p.r. 285/1990 e art. 3 legge regionale Veneto n. 18/2010), altrettanto non può dirsi per la singola situazione giuridica soggettiva attinente l’affidamento delle urne contenenti le ceneri dei defunti già cremati.

Tale attività, infatti, collocandosi in un contesto spazio-temporale nel quale si è consumata l’esigenza di salvaguardare la salute collettiva, dovendo l’Amministrazione procedere esclusivamente alla consegna di un’urn ermeticamente chiusa con l’indicazione dei dati anagrafici del defunto (art. 49 legge reg. Veneto n, 18/2010), non può che essere finalizzata in via primaria alla tutela del diritto del coniuge o del familiare a detenere presso di sé l’oggetto in questione.

Per tutti i motivi esposti, la posizione soggettiva del privato nei confronti dell’attività strettamente vincolata del Comune di Treviso, consistente nell’affidamento delle ceneri a seguito della cremazione del defunto, deve essere qualificata in termini di diritto soggettivo: l’autorizzazione della p.a., infatti, rilasciata all’esito di un riscontro di tipo vincolato in merito alla sussistenza dei presupposti richiesti dalle norme vigenti in materia, assume natura meramente dichiarativa, con la conseguenza che la stessa non è in grado di degradare l’originaria situazione giuridica soggettiva del privato in interesse legittimo.

Sussiste, pertanto, la giurisdizione del Giudice ordinario sulla presente controversia.

Riconosciuta l’astratta titolarità di un diritto soggettivo in capo al privato che domandi alla p.a, l’affidamento delle ceneri, appare decisivo l’accertamento in concreto dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge per ottenere la consegna dell’urna, quali sono, alternativamente, lo status di coniuge o di familiare avente diritto, oppure la qualifica di esecutore testamentario o di rappresentante legale dell’associazione riconosciuta che abbia tra i propri fini statutari la cremazione dei cadaveri dei propri associati (cfr. art. 49 legge reg. Veneto D. 18/2010).

Parte attrice, al riguardo, rivendicava il diritto all’affidamento dell’urna sulla base della propria qualità di unico erede testamentario del de cuius (cfr. doc. 2 parte attrice), nonché sul rapporto di stabile convivenza instaurato con il YYYYYYYY durato per venticinque anni, ritenendo che, anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e della normativa sovranazionale, il termine “familiare” di cui all’art, 3, comma primo, lettera e) della legge 130/2001 dovesse essere interpretato estensivamente, ricomprendendo anche l’erede e/o il convivente more uxorio.

Il Comune di Treviso, al contrario, contestava la mancanza di legittimazione attiva del XXXXXXX, evidenziando che l’attuale panorama normativo non contemplerebbe, fra i soggetti abilitati a chiedere l’affidamento delle ceneri, né l’erede né il convivente e che il carattere derogatorio di tale affidamento, rispetto alla regola generale della inumazione e conservazione dei resti umani entro il perimetro cimiteriale, non avrebbe in ogni caso consentito un’esegesi delle norme volta ad ampliarne la portata.

In merito alla qualificazione soggettiva dell’attore, si deve in primo luogo escludere sia lo status di coniuge, stante l’assenza del vincolo matrimoniale richiesto per l’attribuzione di tale qualifica dall’art. 29 della Costituzione e dall’art. 143 cod. civ., sia la veste di esecutore testamentario dello stesso, non contenendo il testamento del  YYYYYYYY alcun riferimento al riguardo (cfr. doc. 2 parte attrice).

Va, inoltre, escluso che i,l defunto fosse rappresentante di un’associazione avente come scopo la cremazione dei propri associati, circostanza che non emerge dagli atti del processo.

Il termine “familiare”, presente all’art. 3, comma primo, lettera e) della legge n. 130/2001 e all’art. 49 della legge n. 18/2010, merita invece attenzione particolare, dovendo il Giudice esaminare la questione circa l’ampiezza dei soggetti ricompresi in tale formula legislativa e valutare, in particolare, se esso possa essere esteso anche all’erede testamentario e/o al convivente more uxorio.

La locuzione “familiare”, infatti, non si ritrova nella Costituzione e neppure nel Codice civile, i quali si riferiscono all’istituto della famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Cost. e 143 ss. cod. civ.) o al diverso concetto di parentela fra due soggetti (artt. 74- 77 cod. civ.).

Sul punto non può condividersi la tesi prospettata dal Comune di Treviso, secondo il quale il familiare avente diritto altro non sarebbe se non il soggetto legato da vincoli di parentela con il de cuius ai sensi degli artt. 74 – 77 cod. civ., sostenendo così un’interpretazione sistematica della normativa vigente e in particolare dell’art. 3, comma primo, lettera b, n.2. Tale disposizione, infatti, indica espressamente fra i soggetti autorizzati a richiedere la cremazione del defunto il “coniuge o, in difetto, il parente più prossimo individuato ai sensi degli articoli 74.75,76,77 del codice civile … ( .. .)”.

Deve però osservarsi in merito che i parenti più prossimi, invero, vengono citati dalla legge (art. 3, comma primo, lettera b), n.2) quali soggetti legittimati alla richiesta di cremazione e non quali soggetti legittimati alla diversa domanda di affidamento delle ceneri, con il corollario dell’impossibilità di operare una sovrapposizione dei termini “familiare” e “parente” ai sensi del codice civile.

Rispetto alla possibile estensione della locuzione “familiare avente diritto” al convivente, è necessario procedere preliminarmente all’analisi dei casi nei quali la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale giungono all’equiparazione della famiglia di fatto alla famiglia fondata sul matrimonio, considerando in particolare le argomentazioni poste alla base delle principali pronunce che hanno assimilato le due diverse situazioni giuridiche soggettive.

Con la sentenza n. 404 del 1988 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 6, primo comma, della legge n. 932/1978 (“Disciplina delle locazioni di immobili urbani”), nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso dì morte del conduttore, il convivente more uxorio, sulla base dell’interpretazione della ratio legis sottesa alla disposizione.

Più precisamente, la legge che disciplina la locazione di immobili urbani avrebbe come scopo la tutela del diritto di abitazione non solo del coniuge e dei parenti, ma anche dei conviventi abituali: la lettera dell’art 6, primo comma, già prima dell’intervento della Corte, infatti, prevedeva che “in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi e i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi”.

Sulla possibilità per il convivente more uxorio di esperire l’azione di reintegrazione del possesso ex art. 1168 cod. civ., nel caso di specie la Corte dì Cassazione ha, pertanto, riconosciuto che in costanza di abitazione e di convivenza nello stesso immobile il partner non proprietario eserciti un potere di fatto sulla res, basato su interesse proprio, ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata e da legittimare la tutela possessoria (cfr. Cass, sent. n. 7214/2013 e n. 7/2014).

In particolare, la sentenza de quo sottolinea la rilevanza giuridica e la dignità stessa del rapporto di convivenza “ai sensi dell’art. 2 Cost., riconoscendo che esso dà vita ad un “autentico consorzio familiare, investito di funzioni promozionali” e che per formazione sociale deve intendersi “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e a favorire il libero sviluppo nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”.

La crescente attenzione nei confronti della famiglia di fatto trova inoltre riscontro nell’ormai consolidato. orientamento della giurisprudenza di legittimità che estende la tutela aquiliana anche nei confronti del convivente, in quanto la lesione di diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di un’unione di fatto che abbia le caratteristiche di stabilità e serietà, dovendosi rilevare l’irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo (in senso conforme Casso sent. n. 23725/2008, n. 12278/2011, n. 15481/2013, n.7128/2013).

Alla luce di tali premesse, recenti pronunce della Suprema Corte hanno statuito che il risarcimento del danno per la morte di un prossimo congiunto spetti non solo ai membri della famiglia legittima, ma anche a quelli della c.d. “famiglia naturale”, a condizione che si dimostri l’esistenza di uno stabile e duraturo legame affettivo equiparabile al rapporto coniugale (cfr., fra le altre, Cass., sent. n. 13654 72014).

Il rispetto della dignità e della personalità di ogni componente del nucleo domestico, pertanto, assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di un terzo o di altro familiare costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, “non potendo chiaramente ritenersi che i diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare”( in tal senso Cass. Sent. n. 15481/2013).

Il progressivo affiancamento della posizione giuridica dei conviventi a quella dei coniugi, frutto dell’interpretazione evolutiva della giurisprudenza, si mantiene tuttavia ancorato alle coordinate costituzionali e legislative, non fuoriuscendo dalla logica di sistema.

Dall’esame delle sentenze citate, infatti, risulta che l’equiparazione tra le due diverse situazioni giuridiche soggettive in parola viene operata dalla Corte a condizione che la legge non ponga specifiche restrizioni circa i soggetti legittimati all’esercizio di determinate azioni, come è ben dimostrato dall’azione di reintegro nel possesso e di risarcimento del danno, esperibili da chiunque si trovi nelle condizioni previste dalla legge.

In assenza di espresse limitazioni normative o ricavabili in via interpretativa, dunque, la giurisprudenza della Suprema Corte e della Corte Costituzionale (quest’ultima arrivando finanche alla pronuncia di incostituzionalità dell’art.6 della legge 392/1978, nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione il convivente more uxorio) ha posto l’accento sul parametro costituzionale di cui all’art. 2 Cost., il quale, nel garantire i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali si esprime e si sviluppa la personalità di ogni individuo.

Il dato di partenza per l’evoluzione giurisprudenziale, costituito dall’assenza di divieti legislativi, è d’altra parte confermato da una recente pronuncia del Tribunale per i minorenni di Roma che, nell’accogliere il ricorso con cui veniva chiesta l’adozione della figlia della propria convivente omosessuale, mette chiaramente in evidenza, oltre al preminente interesse del minore, che “nessuna limitazione è prevista espressamente, o può derivarsi in via interpretativa, con riferimento all’orientamento sessuale dell’adottante o del genitore dell’adottando, qualora tra di essi vi sia un rapporto di convivenza” (cfr. Tribunale per i minorenni di Roma, sent. n. 229/2014).

Nel caso di specie è quindi necessario valutare se la normativa in materia di pratiche funerarie, più volte richiamata, ponga dei limiti all’affidamento dell’urna cineraria al convivente more uxorio.

Si deve osservare, al riguardo, l’imprecisione del termine “familiare”, non essendo lo stesso impiegato né dalla Costituzione né dal codice civile e la cui definizione, quindi, è affidata all’esegesi del Giudice, chiamato in questa sede alla delimitazione dei soggetti legittimati alla domanda di consegna delle ceneri del defunto YYYYYYYY.

Non riscontrandosi specifiche restrizioni derivanti dal dettato legislativo ed escludendosi altresì che con la locuzione familiare si faccia riferimento esclusivamente ai parenti individuati ai sensi del codice civile, posto che tale limitazione è espressamente stabilita dalla legge statale solo per l’autorizzazione alla pratica della cremazione, questo Giudice ritiene necessario estendere l’interpretazione del termine “familiare” anche al convivente more uxorio, attuando quindi una interpretazione del dettato legislativo estensiva e costituzionalmente orientata alla luce degli artt. 2 e 3 della Costituzione, nei termini che si specificheranno.

Ritenuta ammissibile tale interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata della norma, anche alla luce delle argomentazioni della più recente giurisprudenza di legittimità, è opportuno, per gli specifici caratteri della vicenda in esame, soffermarsi brevemente sulla parificazione della convivenza eterosessuale alla convivenza omosessuale, questione di cui si sono occupate sia la Corte Costituzionale che la Corte di Cassazione.

Con la sentenza n. 138/2010 la Corte Costituzionale, infatti, pur statuendo che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio, essendo quest’ultimo fondato sulla diversità di sesso fra i coniugi ai sensi dell’art. 29 della Costituzione e degli artt. 143 ss. del codice civile, statuisce che l’art. 2 della Costituzione annovera fra le formazioni sociali anche la convivenza omosessuale, intesa come stabile relazione tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente il rapporto di coppia.

Alla stessa conclusione è giunta anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4184/2012, nella quale si precisa che il riconoscimento delle convivenze omosessuali si fonda non solo sull’art. 2 Cost., ma anche sull’art. 3 Cost., laddove quest’ultimo assicura la “pari dignità sociale” di tutti i cittadini e la loro uguaglianza dinanzi alla legge “senza distinzioni di sesso”, vietando qualsiasi discriminazione fondata sull’identità o sull’orientamento sessuale.

La stessa sentenza, infine, richiama diffusamente le norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 14 ) e della c.d. “Carta di Nizza” (art. 9) dirette a tutelare la vita privata e familiare senza alcuna discriminazione riguardo al sesso.

Non può essere condivisa la tesi attorea che ritiene norma eccezionale la disposizione riguardante l’affidamento delle ceneri ai familiari invece che la loro conservazione in cimitero: deve ritenersi, infatti, che in tema di conservazione delle ceneri dei defunti la legge stabilisca semplicemente due diverse ipotesi senza che una delle due possa essere considerata generale rispetto all’altra.

Infine, deve osservarsi che l’interpretazione degli artt. 4 e 5 dell’Allegato E della legge 20 marzo 1865 n. 2248 sull’abolizione del contenzioso amministrativo implica che la pronuncia del giudice ordinario non possa estendersi alla rimozione dell’atto amministrativo, in quanto tale risultato potrà essere conseguito solo tramite ricorso alla p.a., la quale avrà il dovere di attivare il relativo procedimento, in esecuzione del presente giudicato, il quale contiene già di per sé l’accertamento dell’illegittimità dell’atto, ritenendo di aderire alla tesi secondo cui la sentenza non debba contenere nel dispositivo l’invalidazione del provvedimento amministrativo, la cui contrarietà all’ordinamento si desume dalla presente motivazione.

Per tutti i motivi esposti, quindi, stante il rapporto di stabile convivenza tra l’attore e il defunto YYYYYYYY, circostanza quest’ultima mai oggetto di contestazione, la domanda dell’attore è fondata e merita accoglimento.

Le spese di lite vengono interamente compensate fra le parti, stante il carattere interpretativo e complesso della controversia e della decisione.

 

 P.Q.M.

 

definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, ogni contraria domanda, eccezione e deduzione respinta, il Tribunale di Treviso così provvede:

accerta il diritto dì XXXXXX all’affidamento dell’urna cineraria di YYYYYYY custodita presso il Cimitero di Treviso S. Lazzaro, come da contratto di concessione relativo all’ossario n. 46 rep. 37° Cimitero di San Lazzaro;

condanna il Comune di Treviso alla consegna di tale urna entro e non oltre 10 giorni dal deposito della presente sentenza;

spese compensate.

Treviso, 15 dicembre 2014