Tribunale di Milano, decreto del 17 luglio 2014

Il Tribunale, nelle persone dei magistrati
Dott.ssa Gloria Servetti Presidente
Dott.ssa Laura Cosmai Giudice est.
Dott. Giuseppe Buffone Giudice rel.
riunito in camera di consiglio alla udienza del 17 luglio 2014;
letti gli atti e i documenti di causa;
visto il parere del PM;
sentita la relazione del Giudice Relatore;
ha pronunciato il seguente
DECRETO
rilevato che i ricorrenti … propongono ricorso ex artt. 95 e 96 DPR 396/2000 contro il rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile del comune di Milano di procedere alla trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in Lisbona, Portogallo;
rilevato che sulla questione oggetto dell’odierno procedimento, questa Sezione ha già assunto una lettura interpretativa, in particolare nel decreto Trib. Milano, 2 luglio 2014 (Pres. Servetti, est. Muscio): ritenuto che il ricorso proposto non può trovare accoglimento, dovendosi affermare, secondo questo Tribunale, che l’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso non può essere trascritto perché non è idoneo a spiegare effetti giuridici nel nostro ordinamento sulla base della attuale vigente normativa;
ritenuto che nel caso di specie è incontestato che il matrimonio è stato contratto tra persone dello stesso sesso, come risulta dall’atto di matrimonio prodotto (confr. doc. 2);
ritenuto che la trascrizione degli atti nei registri dello Stato Civile sia soggetta al principio di tassatività come si ricava dall’art. 10 comma 1 del DPR 396/2000 e per quanto attiene agli atti di matrimonio dall’art. 63 comma 2 del suddetto DPR ritenuto che l’evoluzione giurisprudenziale della questione sul diritto a contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso e di conseguenza sul diritto alla trascrizione del relativo atto di matrimonio contratto all’estero è stata ricostruita in modo chiaro e puntuale nella pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 4184/2012, tenuto conto della fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale n. 138/2010 e dei principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 8, 12 e 14 CEDU) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9 Carta di Nizza) e delle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza 24 giugno 2010 Prima Sezione caso Schalk e Kopf contro Austria);
ritenuto che, sulla base dei principi sanciti da tale importante arresto della Suprema Corte, se può dirsi superata l’interpretazione consolidata della c.d “inesistenza giuridica” dell’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, non può affatto dirsi affermato il diritto di persone dello stesso sesso a contrarre matrimonio come diritto riconosciuto dalla nostra costituzione e dallo stesso ordinamento sovranazionale;
ritenuto, infatti, che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia 138/2010, pur dovendosi riconoscere in forza dell’art. 2 della Carta Costituzionale “l’unione omosessuale intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia ottenendone, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate. Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni”, deve escludersi secondo la stessa Corte delle Leggi che “l’art. 2 Cost. riconosce il diritto al matrimonio delle persone dello stesso sesso e neppure vincola il legislatore a garantire tale diritto quale forma esclusiva del riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale, vale a dire ad “equiparare” le unioni omosessuali al matrimonio”;
ritenuto che ad analoghe conclusioni si perviene alla luce dei principi comunitari come ricostruiti nella citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione là dove, chiarisce la nostra Corte di Legittimità, la stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo nell’interpretazione evolutiva di tutte le disposizioni coinvolte nella questione afferma che, pur derivando da tali disposizioni una più ampia accezione di diritto al matrimonio come diritto inclusivo anche del matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso, “la “garanzia” del diritto ad un matrimonio siffatto è totalmente riservata al potere legislativo degli Stati contraenti della Convenzione e/o membri dell’Unione Europea”, precisando la stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo che “l’art. 12 della Convenzione non faccia obbligo allo Stato convenuto nella specie, l’Austria di concedere l’accesso al matrimonio a una coppia omosessuale come i ricorrenti”. A quest’ultimo riguardo, secondo l’impostazione della Corte, le ora richiamate disposizioni, pur “riconoscendo”detti diritti, sono state tuttavia formulate in modo tale da separare il “riconoscimento” dalla “garanzia” degli stessi: infatti, l’art.12 della CEDU riconosce “il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia”, ma “secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”; corrispondentemente, l’art. 9 della Carta di Nizza riconosce “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia”, ma al contempo afferma che questi diritti “sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. E la ragione di questa “separazione” – come emerge nitidamente dalla motivazione della sentenza della Corte Europea – sta nella constatazione delle notevoli ed a volte profonde differenze sociali, culturali e giuridiche, che ancora connotano le discipline legislative della famiglia e del matrimonio dei Paesi aderenti alla Convenzione e/o membri dell’Unione Europea”;
ritenuto che la sopra descritta evoluzione giurisprudenziale europea comporta, come chiarito dalla Corte di Cassazione, unicamente che la ragione della non trascrivibilità dell’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero non può più identificarsi nell’inesistenza del matrimonio per mancanza di un requisito minimo indispensabile, ma nell’inidoneità a produrre quale atto di matrimonio appunto qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano; e ciò proprio in ragione della mancanza di una normativa sul punto che sia per l’ordinamento costituzionale interno sia per l’ordinamento sovranazionale è riservata in via esclusiva al Parlamento Nazionale e che non può certo essere in alcun modo estrapolata in via interpretativa;
ritenuto poi che la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, diversamente da quanto asseriscono i ricorrenti anche richiamando sul punto il precedente del Tribunale Ordinario di Grosseto, non affronta in alcun modo, proprio perché del tutto assorbita dalle ampie argomentazioni esposte, la questione della contrarietà all’ordine pubblico che attiene agli effetti dell’atto, questione che per le stesse ragioni in questa sede ben può ritenersi assorbita;
ritenuto che conferma della posizione espressa dalla Suprema Corte di Cassazione o meglio ancora rafforzamento del modello eterosessuale del matrimonio alla luce dell’attuale diritto interno, ferma la discrezionalità del Parlamento Nazionale di stabilire forme di tutela per le coppie di soggetti appartenenti allo stesso sesso, si ricava dalla recentissima pronuncia della Corte Costituzionale n. 170/2014 che, affrontando nuovamente la questione sia pure in relazione ad una fattispecie specifica diversa, ha di fatto ribadito le considerazioni esposte nella propria pronuncia n. 138/2010, affermando che allo stato per il diritto italiano, sia pure interpretato alla luce dei principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e della Carta di Nizza, in ragione dell’art. 29 della Costituzione e della sua interpretazione consolidata alla luce della normativa primaria vigente il matrimonio continua ad avere quale presupposto la diversità di genere dei nubendi, essendo compito del Parlamento intervenire per individuare e garantire le forme di tutela delle unioni tra persone dello stesso sesso;
ritenuto, quindi, per tutte le considerazioni su esposte che l’atto di matrimonio di cui i ricorrenti chiedono la trascrizione non può essere trascritto nei registri dello Stato Civile;
ritenuto che non siano state addotte ragioni tali da indurre il Tribunale a mutare il proprio indirizzo dovendosi dunque pronunciare in senso conforme alla decisione su riportata;
ritenuto che il rigetto nel merito renda superfluo l’esame delle ulteriori questioni in rito (cd. principio della ragione più liquida); Visti gli artt. 95 e 96 DPR 396/2000 e 737 c.p.c.;
P.Q.M.
respinge il ricorso proposto in data 6 giugno 2014 da …
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di competenza.
Cosi deciso in Milano il 17 luglio 2014.