Tribunale di Milano, nona sezione penale, ordinanza del 13 novembre 2009
Tribunale di Milano, nona sezione penale
il giudice, sulla richiesta avanzata, all’udienza del 24/6/2009, dal responsabile civile di esclusione della parte civile (…) per carenza di legittimazione attiva, sentite le parti, letta la memoria ai sensi dell’art. 121 c.p.p. depositata in cancelleria il 12/11/2009, dall’avvocato Giacomo Gussoni difensore dell’imputato, congiuntamente all’avvocato Michele Pergola, e del responsabile civile Nuova Tirrena S.p.A.
osserva
preliminarmente che nella nota allegata alla predetta memoria il difensore, nel rappresentare il proprio impedimento a presenziare all’udienza e chiedere il rinvio della stessa, si riserva di “illustrare i contenuti della memoria alla prossima udienza”. Sul punto si osserva che, mentre è diritto delle parti e dei difensori presentare al giudice memorie scritte in ogni stato e grado del procedimento, non è dato alle parti processuali di replicare una volta esaurita la discussione sulle questioni preliminari posto che in tal senso, si esprime l’art. 491 co. 3 ultima parte c.p.p. che espressamente recita: “Non sono ammesse repliche”. Nella specie la questione preliminare relativa alla legittimazione della parte civile ed alla conseguente richiesta di esclusione della stessa è stata affrontata e discussa da tutte le parti all’udienza del 24/6/2009 e la “illustrazione” dei contenuti della memoria che il difensore si riserva di svolgere alla successiva udienza costituirebbe a tutti gli effetti una replica non consentita. Né ha rilievo, al fine di ritenere ammissibili nella specie repliche non consentite, il fatto che il giudice non abbia dato immediata lettura dell’ordinanza con la quale decideva sulla questione preliminare sollevata e discussa posto che la norma non prevede eccezioni al divieto in esame limitandosi ad individuare quale, tra i possibili provvedimenti decisori delle questioni, debba essere adottato. Ne consegue che nessuna “illustrazione” verbale del contenuto della memoria depositata potrà essere autorizzata né alla presente udienza né a quelle successive.
Quanto alla richiesta di rinvio per legittimo impedimento si provvede con separata ordinanza a verbale di udienza.
Nel merito della richiesta va detto che il difensore del responsabile civile ha rilevato che difetterebbe, nella specie, la legittimazione attiva del sig. S. posto che lo stesso, convivente di V. T. deceduto a seguito del sinistro stradale per cui è oggi processo, non può vantare un danno risarcibile né sotto il profilo patrimoniale ai sensi dell’art. 2043 c.c. né sotto quello non patrimoniale ex art. 2059 c.p. quale conseguenza del reato di omicidio colposo in contestazione.
In particolare si è rilevato, quanto al danno non patrimoniale, che la pretesa risarcitoria può essere esercitata nei casi espressamente indicati dalla legge e, fuori di tali casi, nell’ipotesi di “danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione” (S.U. Civili sentenza 24 giugno 11 novembre 2008 nr. 26972) e che non esiste un diritto costituzionalmente garantito alla convivenza omosessuale. Il sig. S., in conseguenza, potrebbe al più vantare la lesione del diritto di libertà a scegliere la convivenza omosessuale garantito dall’art. 2 della Costituzione, lesione – semmai – risarcibile unicamente in via equitativa. Quanto al danno patrimoniale si è detto che non vi sono nell’ordinamento norme che legittimino il convivente omosessuale a chiederne il risarcimento in caso di morte del compagno, come peraltro affermato dalla Corte in riferimento a tutte le unioni di fatto (Cass. Civ. 8967/2005).
Le obiezioni sollevate dal difensore come sopra riassunte non appaiono fondate.
Occorre, in proposito, richiamare la giurisprudenza, citata proprio dal difensore, delle S.U. che – nel ricordare che “la rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale” – ha evidenziato che le due ipotesi risarcitorie sono del tutto identiche nella struttura dell’illecito differenziandosi unicamente “in punto di evento dannoso e, cioè, di lesione dell’interesse protetto” poiché alla tipicità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. si contrappone la atipicità di quello patrimoniale ai sensi dell’art. 2043 c.c. che comporta, in virtù dell’ingiustizia del danno, la risarcibilità dei danni per la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante.
Sotto tale profilo non vi è dubbio che sia giuridicamente rilevante e connotato da rilievo economico il danno indicato nell’atto di costituzione di parte civile derivante dalla improvvisa cessazione, per il decesso del sig. T., del sodalizio artistico tra questi ed il sig. S., sodalizio che aveva sino a quel momento permesso alla odierna parte civile di iniziare la carriera di tenore sia avvalendosi del costante insegnamento del sig. T. sia partecipando alle rappresentazioni liriche da lui organizzate presso numerosi teatri proprio al fine di lanciarne e favorirne l’attività. Con la morte del maestro e mecenate il sig. S. si è visto privare della possibilità di conseguire il futuro vantaggio economico derivante dall’incremento dei maggiori guadagni che la sua progressiva affermazione in campo artistico gli avrebbe procurato, possibilità sulla quale il comportamento, illecito contestato ha inciso “in termini di conseguenza dannosa potenziale” (Cass. sez. III civile n. 10111 del 17/4/2008).
Passando ad esaminare la questione relativa alla risarcibilità, nella specie, del danno non patrimoniale va ricordato che – come si è detto in precedenza e come ampiamente illustrato nell’atto di costituzione di parte civile – il sig. S. era legato al sig. T. da relazione affettiva protrattasi per anni e che esisteva uno stabile rapporto di convivenza pure risalente nel tempo.
Di nuovo soccorre l’insegnamento delle S.U. che, facendo propria la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., hanno affermato che una lettura che limiti l’operatività della norma al mero riconoscimento del danno morale soggettivo Inconseguente a reato è insostenibile “nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione, che all’art. 2 riconosce e garantisce i fritti inviolabili dell’uomo” con la conseguenza che “il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interesse inerenti la persona non connotati da rilevanza economica”. È pur vero che, come si è detto, le S.U. qualificano l’art. 2059 c.c. come norma di rinvio “alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale” in quanto “l’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall’individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela”. È, però, altresì vero che la prima delle norme indicate dalla Corte è l’art. 185 c.p. che espressamente prevede la risarcibilità del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante da reato. A ciò si aggiunge che il giudice di legittimità ha affermato che “nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri come reato è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica” sicché “in presenza di reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, ma anche quello conseguente, alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati dal reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell’interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale”.
In tale prospettiva non vi è dubbio che in capo al convivente, a qualsiasi convivente, debba essere riconosciuto un interesse inerente la persona che giustifica la risarcibilità del danno non patrimoniale cagionato dal reato. Non rileva allo stato verificare se il danno risarcibile rientri in una delle classificazioni di creazione giurisprudenziale (danno biologico, danno morale, danno da perdita del rapporto parentale, danno esistenziale), classificazioni – tutte -che le S.U. hanno ritenuto essere non “occasione di incremento delle poste di danno” ma “mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona” alla luce della lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. Ciò che importa è verificare se dalla situazione di fatto derivante dalla convivenza discenda la risarcibilità del danno non patrimoniale cagionato dal reato al convivente per la lesione di interessi inerenti la persona meritevoli di tutela in base all’ordinamento.
A tal fine va ricordato che il riconoscimento di tali interessi è pacificamente affermato sia in ambito comune europeo che nell’ordinamento interno.
Quanto ai principi di diritto comune europeo va ricordato che, pur spettando agii Stati membri di liberamente definire la nozione di famiglia, quella “accolta dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza” (Provvedimenti 12/12/2007 Prima Sezione CEDI) caso Emonet et autres contro Svizzera, ricorso n. 39051/03).
Ancora va detto che, pur nel rispetto dell’esclusivo diritto degli stati membri di dettare le norme che regolano l’istituto del matrimonio, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza 11 luglio 2002 Goodwin contro Regno Unito) ha ritenuto che “l’impossibilità per un transessuale di contrarre matrimonio con una persona del sesso al quale egli apparteneva prima dell’operazione di cambiamento di sesso e che dipende dal fatto che, relativamente allo stato civile, essi appartengano allo stesso sesso, dato che la normativa del Regno Unito non permette il riconoscimento giuridico della nuova identità sessuale, costituisce una violazione del suo diritto di contrarre matrimonio ai sensi dell’art. 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo”.
In ambito comunitario in applicazione di questo principio si è affermato (Corte di Giustizia delle Comunità europee nr. 117 del 7/1/2004 su domanda pregiudiziale della Court of Appeal, Civili Division del Regno Unito) che una normativa interna che limiti, in ragione della impossibilità di contrarre matrimonio prevista dall’ordinamento per l’ipotesi di cambiamento di sesso, il diritto del convivente superstite a percepire la pensione di reversibilità – costituente una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE e della direttiva 75/117 – trova un ostacolo proprio nel citato art. 141 CE che “osta, in linea di principio, ad una legislazione che in violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, impedisca ad una coppia di soddisfare la condizione del matrimonio, necessaria affinché uno (dei conviventi) possa godere di un elemento della retribuzione dell’altro”.
Nell’ordinamento interno il Giudice di legittimità ha ripetutamente affermato principi che, pur nel rispetto della normativa nazionale, si pongono in linea con quelli enunciati dalla CEDU e dalla Corte di Giustizia sostenendo che “in tema di costituzione di parte civile, la lesione di qualsiasi forma di convivenza, purché dotata di un minimo di stabilità tale da fondare una ragionevole aspettativa di un futuro apporto economico, rappresenta legittima causa petendi di un’azione risarcitoria proposta dinanzi al giudice penale competente per l’illecito che ha causato detta lesione” (Cass. Sez. IV sentenza 8/7/2002-4/10/2002 n. 33305).
Peraltro la Corte (Sez. I, 4/2/1994 – 31/3/1994 nr. 3790) ha riconosciuto al convivente il diritto alla continuazione del rapporto come diritto di libertà, costituzionalmente garantito, assoluto e tutelabile “erga omnes” sostenendo, in particolare, che “agli effetti delle legitimatio ad causam del soggetto, convivente di fatto della vittima dell’azione omicidiale del terzo, viene in considerazione non già il rapporto interno tra i conviventi, bensì l’aggressione che tale rapporto ha subito ad opera dei terzo” con la conseguenza che “mentre è giuridicamente irrilevante che il rapporto interno non sia disciplinato dalla legge, l’aggressione ad opera del terzo legittima il convivente a costituirsi parte civile, essendo questi leso nel proprio diritto di libertà, nascente direttamente dalla costituzione, alla continuazione del rapporto, diritto assoluto e tutelabile erga omnes, senza, perciò, interferenze da parte di terzi”; Appare evidente da tale enunciato che il diritto cui la Corte si riferisce non è quello indicato dalla difesa (libertà di scegliere una convivenza omosessuale) ma, invece, il diritto per il convivente, per qualsiasi convivente, a continuare il rapporto. E ciò a tacere di quanto già evidenziato in ordine al fatto che, come affermato dalle S.U., si dovrebbe in ogni caso ritenere sussistente – almeno e con certezza – un “interesse inerente la persona” non presidiato da un diritto costituzionale ma tuttavia meritevole di tutela in base all’ordinamento “in ragione della scelta dei legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati dal reato” scelta che, si è detto, “comunque implica la considerazione della rilevanza dell’interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale”.
Solo per completezza si aggiunge che la Corte nella sentenza prima citata (Sez. I 4/2/1994 – 31/3/1994 nr. 3790), passando ad esaminare il profilo del danno patrimoniale risarcibile, ha precisato che “non ogni convivenza, anche soltanto occasionale, può ritenersi sufficiente a fondare un’azione risarcitoria: consistendo il danno patrimoniale risarcibile nel venir meno degli incrementi patrimoniali che il convivente di fatto era indotto ad attendersi dal protrarsi nel tempo del rapporto, esso in tanto può essere risarcito, in quanto la convivenza abbia avuto un carattere di stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l’altrui azione omicidiale, la convivenza sarebbe continuata nel tempo” (Cass. Sez. I 4/2/1994 – 31/3/1994 n. 3790).
Affermazione, questa ultima, che vale a rafforzare quanto osservato in precedenza quando si è esaminato il profilo del danno patrimoniale da illecito, ma che nulla aggiunge a quanto poi evidenziato in ordine alla risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da reato.
P.Q.M.
respinge la richiesta avanzata dal responsabile civile.
La presente ordinanza, della quale viene data interlare lettura, è allegata al verbale di udienza.
Milano, il 13/11/2009
il giudice
(dott.ssa Annamaria Gatto)