Tribunale Brescia, sezione seconda, sentenza del 14 ottobre 2006
1. Con ricorso depositato Il giorno 10-4.2002 il sig. (…) nato a (…) il (…), premesso che aveva contratto matrimonio, in (…) il … 1988, con la sig.ra (…). nata a (..) il … 1966, che dall’unione non erano nati figli e che da tempo la convivenza tra i coniugi era diventata intollerabile chiedeva la pronuncia della separazione giudiziale.
2. All’udienza avanti il Presidente del Tribunale del 28.5.2002 il Presidente, esperito invano il tentativo di conciliazione, in via provvisoria autorizzava i coniugi a vivere separati assegnando la casa coniugale al sig. B. 3. La sig.ra C. si costituiva chiedendo la dichiarazione della separazione giudiziale con addebito al marito assumendo che costui aveva violato l’obbligo di fedeltà. Chiedeva, inoltre, che le fosse riconosciuto un assegno di mantenimento il carico del marito e che le fosse riconosciuto un danno esistenziale di cui chiedeva il risarcimento. Il ricorrente replicava contestando il fondamento delle richieste della resistente.
4. Indi la causa veniva istruita con l’acquisizione di documentazione e l’escussione di testimoni. Esaurita l’istruttoria, all’udienza del giorno 1.6.2006 le p<lrti precisavano le conclusioni come in epigrafe riporTato e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti del termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
Il P.M., intervenuto, concludeva come in epigrafe indicato.
5. La sussistenza dei requisiti per la separazione. Ritiene il Collegio che, ex art. 151 c.c., deve pronunciarsi la separazione giudiziale dei coniugi – tenuto conto dell’evidente disarmonia creatasi tra gli stessi cosi come emerge dal ricorso e dalla comparsa di costituzione e risposta nonché dalla pacifica cessazione della convivenza tra i due – con conseguente facoltà dei coniugi di vita separata ed obbligo di mutuo rispetto.
5.a L’addebito.
Con riguardo alla domanda di addebito della separazione al sig. B. avanzata dalla sig.ra C. va rilevato quanto segue. Parte ricorrente fonda la sua istanza essenzialmente sulla circostanza che il marito avrebbe tradito la moglie allacciando relazioni amorose con altri uomini violando così l’obbligo coniugale di fedeltà (art. 143 c.c.). Orbene, come è noto. per verificare se la separazione sia addebitabile o no ad uno dei coniugi occorre svolgere un’indagine sulla causa della intollerabilità della convivenza, indagine che non può basarsi sull’esame di singoli episodi di frattura, ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciproci comportamenti, quali emergono dal processo (Cass., 6.2.2003, n. 1744) al fine di verificare se e quale incidenza abbiano rivestito i comportamenti dei due coniugi, nel loro reciproco interferire, nel verifcarsi della crisi coniugale (Cass., 23.3-2005, n. 6276) salvo il caso in cui un coniuge abbia tenuto una condotta che si sia tradotta in un’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona quali l’incolumità e l’integrità fisica morale e sociale dell’altro coniuge perché tale condotta sfugge ad ogni giudizio di comparazione non potendo in alcun modo essere giustificata neppure come atto di relazione o ritorsione rispetto al comportamento dell’altro (Cass., 19.5.2006, n. 11844; Casso n. 6276/2005, cit.; Casso n. 15101/2004; Casso n. 878712002; Casso n. 5397/1989; Casso n. 6976/1988; Casso n. 6256/1987; Cm. n. 176/1982; Casso n. 5949/1981; Casso n. 5372/1980; Casso n. 2809/1978).
A ciò si aggiunge, poi, che la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situa zione di intollerabilità della convivenza sicché in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito (in punto cfr. Cass., 28.9.2001, n. 12130, ma anche Cass., 19.9.2006, n. 20256). Nel caso in scrutinio è pacifico che il sig. B. ad un certo punto ha confessato alla moglie convivente di aver avuto una relazione omosessuale ed ha cessato di avere rap porti sessuali con la stessa (v. dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal sig. B.: dopo tale episodio i coniugi hanno compreso che era impossibile continuare a convivere sicché la sig.ra C. si è allontanata dalla casa familiare mentre il sig. B. è andato a vivere con un uomo (v. dichiarazioni B e testi … ). Da ciò deriva chiaramente la violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 143 c.c. da parte del sig. B. e in assenza di altri elementi, la sicura rilevanza casuale e giuridica di tale circostanza sulla crisi del vincolo coniugale.
Conseguentemente la separazione va addebitata al sig. B.
6. L’obbligo di concorso nel mantenimento.
La sig.ra C. ha chiesto al Tribunale di disporre l’obbligo per il coniuge di contribuire al mantenimento della stessa con versamento di assegno mensile. Ora ai sensi dell’art. 156 c.c. il coniuge che pretenda il concorso nel mantenimento da parte dell’altro coniuge deve dimostrare soltanto di non avere adeguati redditi propri idonei a premettergli di mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio a differenza di quanto, invece, previsto in materia di divorzio dall’art. 5, I. n. 898/1970, e successive modificazioni ove si condiziona il diritto al fatto che il richiedente non possa procurarsi propri redditi per ragioni oggettive.
E del resto come ben spiegato da Casso n. 5535/2004 a differenza del divorzio la separazione instaura un regime che tende a conservare in maggiore misura possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore ed il tipo di vita di ciascuno dei coniugi.
Principiando lo scrutinio dalle condizioni economiche delle parti con riferimento ai proventi derivanti dalle rispettive attività lavorative va evidenziato che la sig.ra C. durante la vita matrimoniale svolgeva e tuttora svolge attività lavorativa così come Il sig. B. e che i redditi netti goduti dai coniugi dal 2000 al 2005 ad eccezione del l’anno 2002 sono sostanzialmente equiparabili. Infatti nell’anno 2000 il reddito netto del sig. B è stato di lire 22.680.000 circa mentre quello della sig.ra C. è stato di lire 23.379.000 nel 2002 il reddito netto del sig. B. è stato di euro 16.387,00 mentre quello della C. è stato di euro 3.184,00; nel 2003 il reddito netto del B. è stato di euro 16.149,00 mentre quello della C. di euro 14.784,00 e, infine, nel 2005 il reddito del marito è stato di euro ,8.217,00 mentre quello della moglie è di euro 16.288,00. Ne deriva che le minime differenze tra i redditi percepiti dai due coniugi non giustificano in alcun modo il riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore della moglie.
7. L’assegnazione della casa coniugale.
In sede di udienza presidenziale, proprio perché la sig.ra c. si era allontanata dall’abitazione familiare, era stata disposta l’assegnazione dell’abitazione al marito sen nonché tale provvedimento va revocato non sussistendo gli estremi di legge che lo possono giustificare ossia la presenza di figli minori e/o non economicamente auto sufficienti conviventi con il padre (in tal senso cfr., tra le tante, cass. 6.7.2004, n. 12309).
8. Il risarcimento del danno non patrimoniale da violazione dei doveri matrimoniali.
Infine va esaminata la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dalla sig.ra C. nei confronti del marito.
La resistente, in particolare, chiede ìI risarcimento del c.d. danno esistenziale consistente nella compromissione della propria complessiva sfera di esplicazione perso nale invitando il Tribunale ad una liquidazione equitativa del medesimo.
8.a Principi generali.
Il Tribunale non ignora che la giurisprudenza di legittimità meno recente ha sempre escluso ogni forma di risarcimento del danno in caso di addebito di separazione adducendo che la condotta dei coniugi sarebbe regolata in via esclusiva dal diritto di famiglia in applicazione del principio lex specialis derogat legis qeneralis sicché alla condotta in violazione dei doveri matrimoniali non conseguirebbe alcun obbligo risarcitorio bensì l’addebito (Cass., 6.4.1993, n. 4.108; Cass., 26.5.1995, n. 5866): e ciò anche al fine di evitare che nell’isola del diritto di fami glia trovi spazio un istituto tipicamente conflittuale qua le quello della responsabilità extracontrattuale.
Tuttavia tenendo conto delle radicali modifiche intervenute recentemente nel settore dell’illecito aquiliano (Cass., S.U., 22.7.1999, n. 500; Casso n. 882812003, Casso n. 8827/2003; C. Cost. n. 23312003; Cass., S.U. 24.3.2006, n. 5.672) la questione dell’inadempimento degli obblighi matrimoniali va affrontata secondo un diverso angolo prospettico. Infatti se all’ingiustizia del danno è affidato il ruolo della selezione degli interessi meritevoli di tutela ed il danno ingiusto coincide con la violazione di qualunque bene meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento giuridico, allora non si comprende per quale ragione tale meritevolezza deve essere esclusa nelle relazioni tra sposi.
Se poi a ciò si aggiunge che la nozione di danno è stata sganciata dalla dimensione meramente patrimoniale e dal necessario collegamento con l’art. ,85 c.p. e si è san cita l’inviolabilità della libera e piena esplicazione della attività realizzatrice della persona umana (cfr. Casso n. 8828/2003, cit.) con correlativa disciplina del danno non patrimoniale attraverso il disposto dell’art. 2059 c.c. (e. Cost. n. 233/2003) ne consegue la possibilità in astratto di ottenere il riconoscimento dei danni non patrimoniali da violazione dei doveri matrimoniali.
Infatti iI rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo da un lato ritenersi che diritti definiti inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i titolari si ponga no o meno all’interno di un contesto familiare (e ciò considerato che la famiglia è luogo di incontro e di vita comune nel quale la personalità di ogni individuo si esprime, si sviluppa e si realizza attraverso l’instaurazione di reciproche relazioni di affetto e di solidarietà, non già sede di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili) e dovendo, dall’altro lato, escludersi che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio riceva la propria sanzione, in nome di una presunta specificità, completezza.
Sicché, anche alla luce dell’id quod plerumque accidit: di presunzioni derivanti dalla comune esperienza quotidiana, può concludersi per la sussistenza del danno non patrimoniale denunziato dalla sig.ra C.
8.b La quantificazione del danno non patrimoniale.
La quantificazione di tale danno appare difficile di talché il giudice può legittimamente rischiare la disposizione dell’art. 1226 c.c. e darne una quantificazione equitativa. Orbene, il Tribunale rilevato da un lato: ‘1) che la vita matrimoniale della C. è iniziata quando la stessa aveva una giovane età (22 anni) e la convivenza si è conclusa dopo ben 14 anni (quando la C. era ormai donna matura con un programma di vita impostato); 2) che la scoperta dell’infedeltà omosessuale del marito oltre al grave vulnus alla dignità della persona sopra descritto ha pure creato una situazione di grave turbamento – dovuto al legittimo sospetto di aver contratto qualche grave malattia a seguito di rapporti sessuali con il marito (v. dichiarazioni Teste … ) – che ha sicuramente alterato negativamente la qualità della vita della sig.ra C. per un consistente periodo di tempo; e dall’altro lato che, in ogni caso, il vulnus subito dalla sig.ra C. seppur grave non può ritenersi tale da permanere nella sua gravità per tutta la vita essendo destinato ad attenuarsi sempre più nel tempo sino quasi a scomparire;
tutto ciò rilevato reputa equo il danno non patrimoniale subito dalla sig.ra C. in complessivi ed attualizzati euro 40.000,00 oltre interessi legali dalla pronunzia della presente sentenza al saldo.
9. Le spese di lite.
Stante l’addebito della separazione, ex art. 91 c.p.c., il ricorrente va condannato a rifondere alla resistente le spese di lite quantificate – tenuto conto della natura e dell’oggetto della causa, della durata del processo, della attività istruttoria svolta, delle tariffe professionali e del la nota spese depositata – in complessivi euro 4.700,00 di cui euro 200,00 per spese, euro 1.000,00 per diritti, euro 3.000,00 per onorari ed euro 500,00 per spese forfetarie oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale di Brescia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda ed eccezione, sulla domanda di cui alla causa n. 3174/2002 r.g. Trib. Brescia;
DICHIARA la separazione dei coniugi sig. B. nato a … (BS) il … 1959, e sig.ra C. nata a … (BG) il … 1966, autorizzando gli stessi a vivere separati e con l’obbligo del mutuo rispetto;
ADDEBITA la separazione al sig. B.;
REVOCA il provvedimento di assegnazione della casa coniugale al sig. B. datato 28.5.2002
CONDANNA il sig. B. a versare alla sig.ra C. la somma di euro 40.000,00 oltre interessi legali dalla pronunzia del la presente sentenza al saldo;
RIGETTA per il resto;
CONDANNA il sig. B. LI rifondere alla sig.ra C. le spese di lite quantificate in complessivi euro 4.700,00 oltre ad accessori di legge;
ORDINA all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di … (BG) di procedere all’annotazione della presente sentenza precisando che i coniugi sig. B. nato a … (B5) il … 1959, e sig.ra C. nata a … (BG) il … 1966, hanno contratto matrimonio concordatario in … 1988.