Corte d’Appello di Trento, sezione penale, sentenza del 23 luglio 2010

Composta dai signori magistrati:

Dott. CARMINE PAGLIUCA – PRESIDENTE

Dott. MARIANO ALVIGGI – CONSIGLIERE/ESTENSORE

D.ssa ANNA MARIA CREAZZO – CONSIGLIERE

ha pronunciato in Camera di Consiglio la seguente

SENTENZA

nei confronti di

MO.FA. n. a Roma il (…) residente a Trento via (…) (dom. dich.)

ARRESTATO IL (…) ARRESTI DOMICILIARI (…) SCARCERATO IL (…)

LIBERO – PRESENTE

IMPUTATO

MO.FA.

5) Delitto p. e p. dall’art. 609 quater e 609 septies c.p. perché compiva atti sessuali con Za.Fr., minore che all’epoca non aveva ancora compiuto sedici anni e che gli era stato affidato per ragioni di istruzione. In particolare in occasione di una delle lezioni di matematica impartite a Fr. presso la sua abitazione, dopo avergli proposto di non pagare la lezione in cambio di una prestazione sessuale, lo faceva spogliare e si masturbavano reciprocamente.

In Trento nel (…)

6) Delitto p. e p. dagli artt. 609 bis e 609 septies c.p. perché abusando dello stato di confusione di Be.Fr., minore infrasedicenne, lo induceva a compiere atti sessuali con lui. In particolare dopo averlo contattato su internet, averlo portato a casa sua e aver tentato di convincerlo che non c’era nulla di male ad avere un rapporto sessuale con lui, lo faceva spogliare e consumava con lui un rapporto orale.

In Trento nel (…)

PE.GU. – OMISSIS

APPELLANTE

Il Pubblico Ministero avverso la sentenza del G.U.P. c/o il Tribunale di Trento n. 1/09 del 14/01/2009 che assolveva Mo.Fa. dal reato contestatogli di cui al n. 5 dell’imputazione perché il fatto non sussiste e letto l’art. 530 2° co. c.p.p. assolveva lo stesso dal reato di cui al capo 6) dell’imputazione perché il fatto non sussiste.

Ordinava l’immediata rimessione in libertà dell’imputato ove non detenuto per altro titolo.

Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal Consigliere Dott. Mariano Alviggi Sentito il Procuratore Generale dr. Giuseppe Maria Fontana che ha concluso per l’accoglimento dei motivi d’appello.

Sentito il difensore di fiducia avv. St.Da., di Trento che chiede la conferma dell’impugnata sentenza.

Sentito il difensore di fiducia avv. Ad.Be., di Trento che chiede la conferma della sentenza di primo grado.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14.1.2009 il Gup del Tribunale di Trento ha assolto Mo.Fa., perché il fatto non sussiste, dalle imputazioni di cui agli artt. 609 quater – 609 septies c.p. (capo 5) e 609 bis – 609 septies c.p. (capo 6), ovvero dalle accuse di aver compiuto gli atti sessuali indicati in rubrica nel primo caso con Za.Fr., minore di anni 16 all’epoca dei fatti ed a lui affidato per ragioni di istruzione (v. l’essere il tutto successo nel mentre il Mo., di professione professore, impartiva lezioni private al minore) e nel secondo caso con Be.Fr., pur egli minore di anni 16, questa volta abusando del suo stato di inferiorità psichica.

Lo ha assolto per le ragioni che seguono.

Quanto allo Za., il quale al momento del fatto aveva già avuto esperienze omosessuali, perché le circostanze dell’essersi i due conosciuti tramiti siti internet dichiaratamente omosessuali, nonché dell’esser stato proprio il predetto a chiedere di sua iniziativa all’imputato delle lezioni di matematica che di fatto andavano ad inserirsi nel contesto di un rapporto paritario improntato alla prospettazione consapevole di future esperienze sessuali, rendevano evidente l’assenza di qualsivoglia relazione fiduciaria di affidamento per motivi di studio del minore allo stesso Mo., solo essendosi in realtà trattato di un puro e semplice rapporto amicale fra i due con chiare prospettive omosessuali nel corso del quale l’uno chiedeva in via occasionale all’altro un aiuto di tipo scolastico, e quindi anche di un rapporto sessuale assolutamente consensuale, non viziato da alcuna dinamica di supremazia presunta e/o vulnerato da un’agevolazione al consenso o da un impedimento al rifiuto derivante da un’inesistente posizione di garanzia in cui di fatto non versava l’imputato.

Quanto invece al Be., il quale pur egli al momento del fatto aveva già avuto o teneva contemporaneamente rapporti sessuali con altri soggetti, perché nulla in atti, fatta esclusione per una minore età che di per sé non può esser considerata una inferiorità psichica, attesterebbe l’esistenza nel caso di specie sia appunto di quest’ultima sia di un’iniziativa dell’imputato eventualmente tradottasi ora nell’induzione dell’anzidetta condizione di inferiorità psichica, intesa quale vera e propria sopraffazione di una vittima non in grado di aderire perché convinta quanto invece soggiacente al volere del soggetto attivo, ora nell’abuso di essa, inteso a sua volta come concreto approfittamento delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo.

Avverso la sentenza ha proposto un articolato atto d’appello, contenente ripetuti ed ampi richiami giurisprudenziali, il Procuratore della Repubblica di Trento chiedendone l’integrale riforma, con relativa condanna del Mo. alla pena di giustizia in relazione ad entrambi i reati addebitatigli.

Quanto a quello di cui al capo 5, contesta invero l’appellante, in linea di fatto e di diritto, che, non adeguatamente valutando le dichiarazioni rese dalla parte offesa Za., quali da doversi leggere alla luce dell’analisi di carattere psicologico e caratteriale dello stesso minore siccome operata dal consulente tecnico del P.M. dott.ssa Bo., sia pervenuto il primo giudice ad ipotizzare l’esistenza di una normale amicizia tra due ragazzi omosessuali, con le stesse esperienze di vita e la stessa maturità, nonché ad un certo punto sfociata in un rapporto sessuale assolutamente consenziente da entrambe le parti, quale peraltro nient’affatto aderente alla realtà del caso di cui si tratta, in cui cioè un adolescente che si sentiva solo, che si trovava in una fase di confusione dal punto di vista sessuale e che aveva bisogno di punti di riferimento che non trovava in famiglia, ad un certo punto ritenne di poter individuare proprio nel Mo. l’occasione per risolvere i propri problemi a scuola e le proprie problematiche ed incertezze sessuali, con conseguente suo affidarsi dunque al medesimo per ragioni di istruzione che, per quanto temporaneo ed occasionale, fonda comunque quella presunzione assoluta di vizio del consenso del minore che è alla base dell’applicazione dell’art. 609 quater c.p.

Per quel che concerne invece il capo 6, osserva l’appellante:

– in fatto, che dalle dichiarazioni del Be., analizzate sempre alla luce delle osservazioni del c.t.p., dott.ssa Bo., emergono in realtà circostanze tali da senz’altro contraddire le conclusioni del primo giudice in ordine alla non ravvisabilità in capo al medesimo di una sua condizione di disagio ed inferiorità psicologica al momento del fatto oggetto di giudizio, avendo invero quegli affermato essersi trattato del suo primo rapporto sessuale omosessuale, di essersi trovato in quel momento in un palese stato di confusione sotto il profilo sessuale ed in una situazione di evidente disagio rispetto alle richieste di un Mo. che di tale situazione era pienamente consapevole, di aver infine tentato inutilmente di resistere alle pressioni di quest’ultimo e di aver dovuto alla fine capitolare dinnanzi ad esse ed alla sua insistenza, fra l’altro diretta appunto a convincerlo di come non ci fosse nulla di male nel sollecitato rapporto sessuale;

– in linea di diritto, che la prevalente giurisprudenza di legittimità, sconfessando la tesi fatta propria dal Gup secondo cui affinché ci sia induzione deve realizzarsi una vera e propria sopraffazione della parte offesa da parte dell’abusante, ha oramai chiarito che l’induzione può realizzarsi anche con una semplice opera di persuasione, sottile e subdola, con cui l’agente spinge o convince il partner a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto, laddove a sua volta l’abuso si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in una situazione di difficoltà, viene ad esser ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui; situazioni, quelle dianzi descritte, per l’appunto riscontrabili nel caso di specie.

Motivi della decisione

L’appello non può trovare accoglimento.

Preliminarmente dato atto della circostanza che sia condivide integralmente questa Corte le considerazioni in diritto ed in fatto formulate in sentenza dal primo giudice, sia nessun rilievo si ritiene di dover muovere all’iter logico – argomentativo da quegli seguito per pervenire alla pronuncia assolutoria nei confronti del Mo. poi fatta oggetto di gravame (le une e l’altro da intendersi pertanto qui integralmente richiamati), deve osservarsi a questo punto come non analogamente condivisibili siano per converso da ritenersi i rilievi di cui al proposto appello, per le ragioni di seguito esposte.

Capo 5 dell’imputazione.

Esclusivamente verte l’impugnazione sulla tematica relativa alla ravvisabilità o meno nella fattispecie in esame della contestata ipotesi di cui al n. 2 del comma primo dell’art. 609 quater c.p., ovvero dell’esser avvenuto il fatto in presenza di una situazione di affidamento della vittima all’imputato per ragioni di istruzione, automaticamente comportando infatti la soluzione positiva di essa, siccome propugnata dal P.M. appellante, l’affermazione di penale responsabilità del Mo. anche in presenza della, invero pacifica, consapevole decisione di Za.Fr. di accettare il rapporto sessuale per l’appunto sollecitatogli dal predetto imputato.

Sennonché il percorso indicato dallo stesso appellante quale unico di fatto imposto dalle parole del minore suddetto non appare in realtà alla Corte come quello necessariamente da seguire sulla base proprio delle stesse, e più in generale degli atti di causa, non condividendosi invero quella loro lettura ed interpretazione che unicamente è alla base, nell’atto di impugnazione, della richiesta di condanna dell’imputato.

Si sostiene infatti in esso che, per quanto enunciato dalla consulente del P.M. dott.ssa Bo. all’atto di rappresentare la personalità dello Za. (ovvero “un adolescente che, chiamato a rispondere sui rapporti sessuali avuti con persone adulte, mostra un’evidente vergogna ed un disagio tangibile”), non già si sarebbe in presenza di un rapporto fra due ragazzi omosessuali con le stesse esperienze di vita e la stessa maturità sfociato poi in un rapporto sessuale assolutamente consenziente, quanto invece in un rapporto fra un minore ed un adulto nel quale il primo cercava un punto di riferimento per potergli fra l’altro affidare per ragioni di istruzione, salvo poi venirsi a trovare nella condizione di doverne per l’appunto subirne le richieste sessuali.

Epperò è evidente, a parere di questo giudice, l’errore compiuto dallo stesso P.M. nell’ancorare proprio al rapporto in esame, fra il minore ed il Mo., quella condizione interiore di vergogna e di disagio del primo, siccome innanzi richiamata, che alla luce appunto del contenuto della relazione Bo. deve più correttamente esser posta invece in relazione al diverso rapporto intercorso tra il medesimo ed altro soggetto rispetto a lui (ed allo stesso imputato) ben più adulto e maturo.

Si legge infatti, fra le altre cose, nell’elaborato 27.1.2008 del consulente suddetto quanto segue: “Parla (lo Za.) con notevole tranquillità dei messaggi, delle informazioni… e degli scambi di fotografie di parti intime chiesti da Mo. Altrettanto tranquillamente riferisce delle lezioni di matematica che Fa. gli ha impartito e delle proposte da parte di questi di reciproche masturbazione, ciò che è effettivamente avvenuto durante la quarta lezione. Fa riferimento a rapporti sessuali anche con altri adolescenti, in particolare con un compagno di scuola e con Lu.Ca. Fino a questo punto il racconto fluisce senza grande difficoltà od imbarazzo. Ciò che ha costituito grande difficoltà per Fr. è stato parlare di un’esperienza omosessuale con un uomo maturo (tale Ro.Ma., anni 48…) dal quale dice di essere stato contattato su un sito gay e di aver incontrato nel suo paese, Fiavè, nel luglio 2007. Non si trattava della prima esperienza, e tuttavia la differenza di età sembra avergli lasciato un profondo senso di vergogna e il vissuto di un’esperienza distonica rispetto ai suoi valori”.

Ebbene pare appunto evidente alla Corte, alla luce proprio delle affermazioni che precedono, come da esse provenga chiaro il messaggio che solo nel momento in cui passava a descrivere l’incontro, ed il rapporto, avuto con detto ultimo soggetto, rispetto a lui molto più vecchio, stesse in realtà dimostrando lo Za. di averlo vissuto con quel profondo senso di vergogna e di disagio quale dal P.M. valorizzato al fine di propugnare la propria tesi accusatoria, laddove invece nulla di simile faceva egli in precedenza trasparire all’atto di riferire dei propri pregressi rapporti a carattere omosessuale sia con coetanei sia con lo stesso Mo., e ciò in quanto evidentemente da lui vissuto quello con quest’ultimo alla pari proprio di quelli contestualmente avuti, come detto (dalla Bo.), prima e dopo di allora, “con altri adolescenti”, pur se occasionalmente “attraversato (esso)… da momenti didattici” (v. sentenza).

La qual cosa ben trova giustificazione del resto in quella rappresentazione della personalità dell’imputato in atti fornita dal consulente della difesa dott.ssa Ta,, ed in sentenza richiamata dal primo giudice, come propria di “un giovane adulto di 28 anni con una immaturità affettiva emotiva che, come oggi accade a molti giovani, lo situa in un’area di problematiche adolescenziali…”, e la cui relazione con i partners “è paritaria prescindendo dall’età, improntata allo scambio tra partner che scambiano gesti ed affetti e che non si configura come incontro tra un abusante che richiede più o meno coercitivamente e un abusato che subisce”, così da potersi dunque in definitiva a lui far riferimento quale soggetto che “psichicamente parlando è un adolescente”, e che tale veniva altresì percepito da quegli stessi numerosi soggetti rispetto a lui più giovani con i quali aveva egli ripetuti contatti (nel corso dei quali trattava argomenti squisitamente giovanili quali calcio, musica, personaggi famosi ecc.) in particolare facendo ricorso ai canali relazionali tipici appunto della loro età (v. le chat, gli sms, il web).

Ditalchè l’argomento in fatto esclusivamente adoperato dall’appellante per criticare le argomentazioni e conclusioni del primo giudice (quello cioè dell’essersi rivolto lo Za. al Mo. nella sua precipua qualità di soggetto rispetto a lui ben più maturo ed in grado di risolvere i suoi problemi a scuola e le sue problematiche ed incertezze sessuali, nonché di costituire quel punto di riferimento che non riusciva egli a trovare in famiglia, salvo poi in seguito mostrare tuttavia un tangibile disagio in relazione appunto agli sviluppi di un tale rapporto) non trova in realtà adeguata giustificazione, a parere della Corte, nelle stesse emergenze probatorie in atti, da queste ultime per converso emergendo, così come puntualmente già rimarcato dal Gup, il puro e semplice interesse del minore suddetto ad approcciarsi all’imputato alla stessa stregua degli altri coetanei da lui prima e dopo di allora contattati anche al fine, fra gli altri, di concretamente sperimentare quel tipo di sessualità che lo aveva in un primo momento indotto a registrarsi in alcuni siti gay, e della cui disponibilità poi a dargli lezioni di matematica solo occasionalmente si avvaleva egli, nell’ambito appunto di un rapporto avente le caratteristiche di cui innanzi, senza in alcun modo venirsi a trovare peraltro in quella condizione di soggezione particolare, di metus psichico e/o di ridotta possibilità di libera scelta rispetto alle richieste sessuali di un soggetto in grado di esercitare su di lui particolari suggestioni che secondo la stessa giurisprudenza di legittimità dall’appellante richiamata precipuamente discende “dal presentarsi di occasioni di frequente contatto, dall’instaurarsi nel minore di uno speciale rapporto di fiducia, dal particolare carisma dell’adulto, che svolge quelle funzioni, mitizzato dal minore in modo da poter dipendere da questi o, comunque, di accondiscendere alle sue richieste per assecondarlo o per tema di reazioni”.

Condizione, quella innanzi richiamata, a sfavore della cui sussistenza nel caso in esame fra l’altro depone poi, a parere sempre di questa Corte, lo stesso tenore delle comunicazioni telefoniche intercorse fra i due successivamente all’episodio incriminato, e da parte appellante trascurate, evidentemente non deponendo infatti per l’esistenza di un rapporto “verticale” ed autoritativo fra i medesimi, quanto invece solo “orizzontale” e quindi paritario, quell’affermazione dello Za., di cui alla telefonata del 23.9.2007, nel corso della quale autonomamente annunciava egli al Mo. che in occasione della successiva lezione di matematica avrebbe portato con sé tale Gi. (v. Gi.An., suo coetaneo), e significativamente gli chiedeva se “vorrà provarci” anche con quest’ultimo, per poi da ultimo concludere, alla risposta negativa dell’imputato, che sarebbe stato “un peccato in quanto non sa cosa si perde!”.

Ditalchè, avuto riguardo alle considerazioni che precedono, non resta a questo punto che confermare la decisione gravata in relazione appunto al capo d’imputazione in esame.

Capo 6 dell’imputazione.

In questo caso la tesi propugnata dal P.M. appellante è che il rapporto dell’imputato con il Be. avrebbe in realtà tratto origine dall’approfittamento, da parte del primo, di una condizione di evidente disagio ed inferiorità psicologica del secondo rispetto alle sue richieste sessuali, quale tale appunto di per sé da integrare il presupposto di cui al comma secondo n. 1 dell’art. 609 bis c.p.; condizione di inferiorità psichica poi, quella di cui innanzi, in atti risultante sulla scorta delle dichiarazioni dello stesso minore, laddove aveva modo di riferire, in sede di s.i.t., il palese stato di confusione in cui versava nel momento in cui il Mo. lo induceva “a fare cose delle quali io non ero assolutamente convinto”, e la cui piena attendibilità emergerebbe ora dal giudizio in tal senso formulato dal consulente del P.M. dott.ssa Bo. ora dall’assenza in atti di elementi di segno diverso utili a confutarla.

Sennonché è dell’avviso la Corte a tal riguardo, preliminarmente richiamati gli oramai consolidati principi giurisprudenziali in tema di valutazione delle dichiarazioni accusatorie della parte civile, di non poter affatto condividere la sicurezza con cui da un lato il primo giudice e dall’altro il consulente suddetto sono per l’appunto pervenuti alle conclusioni che precedono, e ciò per le ragioni che si rappresentano.

In primo luogo, pare doveroso osservare, non essendo certo intenzione di questo giudice mettere in dubbio le capacità professionali della stessa dott.ssa Bo., come in ogni caso il margine di errore insito nelle valutazioni di un consulente psicologico che le abbia effettuate all’esito di un impegno professionale esclusivamente consistito, come appunto nel caso di specie, nel presenziare all’audizione ad opera della p.g. di un determinato soggetto da “testare”, quale fino a quel momento dallo stesso consulente mai conosciuto e della cui personalità e delle cui pregresse esperienze personali nulla dunque egli sappia, inevitabilmente sia destinato a sussistere in percentuali non insignificanti e/o comunque sufficientemente alte da non potersi certo solo sulle anzidette valutazioni fondare, in presenza di ulteriori e diversi dati processuali che depongano a sfavore della credibilità della parte offesa, un giudizio di colpevolezza dell’imputato che sia caratterizzato da quella pressoché totale assenza di dubbio siccome imposta dalla nuova formulazione dell’art. 533 comma primo c.p.p.

In secondo luogo, e proprio a tal proposito, non può al contempo sottovalutarsi la possibilità che un soggetto minore chiamato a raccontare dinnanzi a personale militare (come nel caso del Be.) fatti riguardanti le proprie particolari inclinazioni sessuali, quali sicuramente destinati ad esser poi conosciuti dai genitori del medesimo a loro volta fino a quel momento del tutto ignari delle suddette inclinazioni omosessuali del proprio figlio e di sue esperienze di tal natura con altri soggetti più o meno giovani, sia tentato di sfuggire a quello che immagina possa essere il prevedibile rimprovero morale dei medesimi per suoi comportamenti di tal fatta fra l’altro cercando e trovando una qualche giustificazione alla propria condotta proprio nell’asserito comportamento altrui manipolatore ed abusante. In terzo luogo, e questa volta sotto un profilo più strettamente processuale, deve necessariamente prender atto la Corte della circostanza che la descrizione dei fatti fornita dal Be. significativamente strida con il tenore di altri elementi probatori in atti, dal P.M. appellante ora del tutto trascurati ora non adeguatamente valorizzati, di per sé tali da far seriamente dubitare della credibilità dei riferimenti appunto del medesimo ad un siffatto comportamento manipolatore ed abusante del Mo.

Ci si riferisce invero, innanzitutto, a quelle e.mail a quest’ultimo inviate dallo stesso Be. nei giorni immediatamente successivi a quello del fatto oggetto di contestazione, ovvero nelle date del 25 – 26 e 28 settembre 2006, nelle quali manifesta il secondo, in termini esenti da qualsiasi margine di dubbio, un marcato gradimento per quanto avvenuto nonché un personale sentimento di affetto/passione nei confronti del primo (“Ciao, come va? …. volevo solo dirti che mi sono divertito molto venerdì e sabato e spero che ci potremo rivedere… saluto… rsp appena puoi… Kiss… un abbraccio forte ciaooooo… scusami anche quando ti faccio degli squilli e insisto è che ti penso… comunque adesso ti saluto un bacio risp appena puoi ti voglio bene!!!! ciao ho ricevuto il tuo messaggio… volevo dirti che se mai posso venire ti faccio sapere domani appena arrivo a casa dopo ci mettiamo d’accordo ok ciao tvb kiss a domani ciiaoooo”) di per sé decisamente in contrasto tanto con la ricostruzione da lui offerta alla P.G. ed al consulente del P.M. (di tali e.mail naturalmente all’oscuro) quanto soprattutto con le conclusioni di quest’ultimo in ordine proprio alla ritenuta valenza traumatica dell’esperienza del rapporto fra i due suddetti, non apparendo infatti congruo rispetto ad esse che a breve distanza da un rapporto omosessuale asseritamente solo subito dal minore in quanto impostogli dal Mo. abbia potuto poi abbandonarsi il primo, nei confronti di quest’ultimo, a manifestazioni di amore del tenore proprio di quelle che precedono.

Altresì ci si riferisce poi, in secondo luogo, alle dichiarazioni al riguardo rese a s.i.t. da quello Za.Fr., parte offesa in relazione all’episodio di cui alla precedente imputazione sub 5, che sempre la dott.ssa Bo. ha pari menti definito soggetto pienamente credibile, avendo invero questi fra l’altro dichiarato di sapere “con certezza che nell’estate 2006 Fr. (v. cioè Be.Fr.) e Ro. (v. Lu.Ro.) erano fidanzati, e desumo che il primo rapporto sessuale di Fr. sia stato proprio con quest’ultimo, poiché confermatomi in un sms dallo stesso Roberto. Ho saputo da Fa. (v. Mo.) che anche lui ha avuto con Fr. più di un rapporto sessuale, certamente dopo la storia con Ro.”.

Dichiarazioni queste che evidentemente smentiscono, a parere della Corte, e diversamente da quanto prospettato da parte appellante, l’affermazione del Be. (siccome in particolare presa a base dalla dott.ssa Bo. per giungere alle già richiamate sue conclusioni sul trauma da quegli patito a causa appunto di un’iniziativa dell’imputato destinata a provocare in lui una ferita particolarmente profonda “perché, spiega, era la mia prima volta, e così ha rovinato tutto”) di non aver mai prima di quell’occasione avuto un rapporto omosessuale, e ciò ove si consideri infatti che attraverso esse non si è nient’affatto limitato lo stesso Za. a solo prospettare una mera sua supposizione in ordine appunto alla natura del rapporto intercorso fra il Be. ed il Lu. (come invece sostenuto nell’appello), quanto invece ha significativamente precisato che tale sua supposizione trovava concreto fondamento in quanto all’epoca, e quindi in un contesto di piena genuinità e sincerità, espressamente comunicatogli a mezzo di sms dal secondo dei due (v. cioè quel Lu. evidentemente interessato poi, una volta sentito a distanza di tempo dalla p.g., a significativamente ridimensionare il tutto al fine di evitare un qualsivoglia personale coinvolgimento in fatti analoghi questa volta a lui stesso riferibili).

Ditalchè, sulla scorta proprio delle considerazioni, di ordine processuale e non, che precedono è dell’avviso in conclusione la Corte che vi siano più che fondate ragioni per dubitare della completa attendibilità e sincerità del Be. laddove, nel descrivere l’episodio oggetto di addebito, fa menzione di una propria condizione di confusione psicologica (alias di suo disagio ed inferiorità psicologica rispetto alle richieste del Mo., a dire del P.M. appellante) di cui avrebbe per l’appunto approfittato l’imputato per indurlo a fare cose delle quali non era egli assolutamente convinto (e del resto per qual motivo avrebbe egli in tal caso accettato di portarsi in casa del medesimo pur conoscendone le inclinazioni sessuali e dopo avergli inviato proprie fotografie da nudo?), con la conseguenza dunque che in presenza di un siffatto dubbio sulla ravvisabilità nel caso di specie del presupposto principale dell’ipotesi delittuosa sub n. 1 del comma secondo dell’art. 609 bis c.p. (v. cioè la condizione di inferiorità psicologica della parte offesa, quale solo da quest’ultima dedotta e da nessun altro elemento in atti seriamente desumibile, per quanto dal Gup compiutamente esposto prima di concludere nel senso, ampiamente condivisibile, di una libera decisione invece dello stesso Be. di “dare corso consapevole, sia pure nella forma caotica proprio della pubertà appena raggiunta, ai richiami profondi delle sue pulsioni naturali”) non potrà che in definitiva confermarsi la già operata assoluzione dello stesso Mo. anche in ordine allo specifico episodio qui in esame.

Da tutto quanto precede discende pertanto a questo punto, in conclusione, che la sentenza impugnata debba essere integralmente confermata. Termine infine di gg. 70 per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

 La Corte di Appello di Trento,

Visto l’art. 599 del Codice di Procedura Penale;

conferma la sentenza impugnata.

Fissa il termine di giorni 70 per il deposito della sentenza.

Così deciso in Trento, il 14 maggio 2010.

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2010.