Tribunale Amministrativo Regionale Friuli-Venezia Giulia Trieste, prima sezione, sentenza del 30 giugno 2008, n. 384
ha pronunciato la presente
SENTENZA
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del decreto dd. 9.12.2005, con il quale il Prefetto di Udine, ha rigettato il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso il decreto di rifiuto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato emesso dal Questore di Udine in data 1.4.2005..
Sul ricorso numero di registro generale 160 del 2006, proposto da:
F.R.G., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Gennari, con domicilio eletto presso Giuseppe Gennari Avv. in Udine, via Morpurgo 34;
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Trieste, piazza Dalmazia 3; Prefettura di Udine;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16/04/2008 il dott. Vincenzo Farina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Oggetto della attuale controversia è il decreto n. 33588/12.b. 10/Area 1 in data 9.12.2005 del Prefetto di Udine, recante la decisione di rigetto del ricorso gerarchico presentato da F.R.G., cittadino colombiano (che aveva beneficiato della regolarizzazione ex D.L. n. 195 del 2002), avverso il decreto del Questore di Udine cat. A.11/05/Imm. Sez. II (N. 29) in data 1°.4.2005, recante il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.
Il rifiuto era stato motivato con il fatto che il richiedente:
1) era stato espulso dal territorio nazionale con decreto del Prefetto di Udine del 22.11.1996, eseguito il 7.12.1996, eppertanto la espulsione costituiva motivo ostativo al rilascio del permesso di soggiorno in forza dell’art. 8, lett. “a” del D.L. n. 195 del 2002, convertito con legge n. 222 del 2002;
2) era da considerarsi persona pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica, svolgendo attività di meretricio transessuale maschile sulla pubblica via.
Con il ricorso gerarchico il F.R. lamentava che la comunicazione dell’avvio del procedimento volto alla revoca del permesso di soggiorno faceva riferimento solo alla presenza del decreto di espulsione e non alle ragioni di pericolosità sociale, addotte poi nel decreto in data 1°.4.2005.
L’impugnato decreto n. 33588/12.b. 10/Area 1 in data 9.12.2005 del Prefetto di Udine, recante la decisione di rigetto del ricorso gerarchico, quanto alla asserita illegittimità della comunicazione dell’avvio del procedimento, richiamava l’art. 21octies della legge n. 241 del 1990, in base al quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”; il decreto ricordava, poi, che il F.R. era stato espulso da territorio nazionale e vi era rientrato senza speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno, in violazione dell’art. 13, comma 13 del D.Lgs. n. 286 del 1998: il che costituiva motivo ostativo per beneficiare della regolarizzazione e determinava il venir meno dei requisiti per l’ingresso ed il soggiorno sul territorio nazionale, a mente dell’art. 5, comma 5 del citato D.Lgs. n. 286 del 1998; con la conseguenza che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Lo stesso decreto n. 33588/12.b. 10/Area 1 in data 9.12.2005 del Questore di Udine sottolineava, poi, il mancato inserimento sociale dell’interessato nella comunità locale (ed in quella straniera).
A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto quattro mezzi, incentrati sul fatto che:
– l’avviso di avvio del procedimento aveva per oggetto la revoca del permesso di soggiorno e non il diniego di rinnovo;
– il provvedimento impugnato assume a suo fondamento fatti nuovi mai contestati, nonchè la mancata dimostrazione dell’inserimento sociale; esso evidenzia, poi, delle insufficienze istruttorie e motivazionali circa la pericolosità sociale.
Il ricorrente, da ultimo, solleva la questione di illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 1, comma 8, lett. a) della legge 9 ottobre 2002, n. 222, nella parte in cui interdice la possibilità della regolarizzazione per i lavoratori extracomunitari che non possano fruire della revoca del provvedimento di espulsione (senza accompagnamento alla frontiera) perché usciti dal territorio nazionale e rientrati in spregio alla espulsione.
Si è costituito in giudizio l’intimato Ministero, chiedendo il rigetto del ricorso.
Quest’ultimo è stato introitato dal Collegio ed è passato in decisione nella camera di consiglio del 16.4.2008.
Ragioni di economia processuale inducono il Collegio ad esaminare congiuntamente i quattro mezzi.
Osserva il Collegio che l’impugnato decreto n. 33588/12.b. 10/Area 1 in data 9.12.2005 del Prefetto di Udine, recante la decisione di rigetto del ricorso gerarchico, si sottrae ai rilievi attorei.
Riguardo al presunto vizio della comunicazione dell’avvio del procedimento, in modo tranciante va ricordato che la omissione della comunicazione di avvio del procedimento non determina l’illegittimità del provvedimento finale nei procedimenti amministrativi attivati su istanza di parte (Cfr., tra le tante, Cons. Stato, V Sez., 22 maggio 2001, n. 2823, e IV Sez., 16 marzo 2001, n. 1578; T.A.R. Campania, Salerno, 14 ottobre 2002, n. 1561).
Ne consegue che, qualora la comunicazione d’avvio non sia dovuta, come nel caso di specie, trattandosi di procedimento ad istanza di parte (volto ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno), eventuali vizi della comunicazione non inficiano il procedimento e, quindi, il provvedimento finale.
In ogni caso, il vizio risulta sanato dalla previsione dell’art. 21octies della legge n. 241 del 1990, in base al quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Ed invero, nella fattispecie, “il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, come puntualmente dimostrato dalla amministrazione resistente.
Quanto alle censure relative al contenuto sostanziale dell’impugnato decreto n. 33588/12.b. 10/Area 1 in data 9.12.2005 del Prefetto di Udine, come si è visto, il decreto del Questore di Udine cat. A.11/05/Imm. Sez. II (N. 29) in data 1°.4.2005, recante il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato – oggetto del ricorso gerarchico – si reggeva su due distinte ragioni giustificatrici:
1) il richiedente era stato espulso dal territorio nazionale con decreto del Prefetto di Udine del 22.11.1996, eseguito il 7.12.1996, eppertanto la espulsione costituiva motivo ostativo al rilascio del permesso di soggiorno in forza dell’art. 8, lett. “a” del D.L. n. 195 del 2002, convertito con legge n. 222 del 2002;
2) il richiedente era da considerarsi persona pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica, svolgendo attività di meretricio transessuale maschile sulla pubblica via.
A sua volta, con il gravato decreto, recante la decisione di rigetto del ricorso gerarchico, il Prefetto ha respinto il ricorso gerarchico, confermando la legittimità dei due referti giustificativi di cui si è testè detto.
Va ricordato sin d’ora che, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto la fondatezza anche di una sola di esse (Cfr, ex multis, Cons. St., sez. V, 10 giugno 2005, n. 3052): su questo principio si ritornerà più avanti.
Nella fattispecie per cui è causa, non può fondatamente confutarsi la legittimità della seconda ragione, quella, cioè, basata su di un profilo di pericolosità sociale: il Questore aveva stabilito nel decreto originario, che “il richiedente era da considerarsi persona pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica, svolgendo attività di meretricio transessuale maschile sulla pubblica via”; nel decreto di rigetto del ricorso gerarchico il Prefetto sottolineava che il comportamento socialmente pericoloso del F.R. impingeva su aspetti afferenti l’ordine e la sicurezza pubblica e che il medesimo non si era inserito nella comunità locale ed in quella straniera.
Il ricorrente assume la illegittimità di questa ragione giustificativa, sull’assunto che essa non era stata effusa nella comunicazione di avvio del procedimento.
Si è visto, però, che la comunicazione non era necessaria, eppertanto vengono a cadere tutte quelle doglianze – come quella in esame – incentrate su presunti vizi della comunicazione stessa e che si riverberebbero sulla determinazione finale.
Quanto alla censura diretta contro questa ragione sotto il profilo della carenza di motivazione e di istruttoria, il ricorrente non contesta lo svolgimento della “attività di meretricio transessuale maschile sulla pubblica via”; ricorda, però, di aver svolto due rapporti lavorativi, di aver reperito idonea collocazione abitativa e di non aver riportato condanne penali né, tampoco, di essere stato sottoposto a procedimenti penali.
Il Collegio osserva che il giudizio sulla pericolosità sociale si fonda su di una situazione non contestata dal ricorrente: la quale – oggettivamente – è suscettibile di toccare aspetti afferenti l’ordine e la sicurezza pubblica.
Né – va sottolineato -l’istante nega la astratta possibilità che il proprio comportamento, per i riflessi sull’ordinato svolgimento della vita civile, incida su questi valori.
Se così è, non si vede quali ulteriori ragguagli dovevano essere effusi, rispettivamente, dal Questore e dal Prefetto in relazione ad un dato comportamentale indiscutibile e destinato a riflettersi negativamente sul tessuto sociale.
Va soggiunto che il provvedimento impugnato, richiamando l’art. 5, comma 5 (sul divieto di rilasciare o di rinnovare il permesso di soggiorno quando vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ha stabilito che sono venuti meno i requisiti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato a mente dell’art. 4, comma 2 del suddetto decreto legislativo n. 286 del 1998.
Il Collegio osserva che con la legge 30 luglio 2002, n. 189, ferme restando le condizioni per il soggiorno, che non va concesso o va revocato a mente dell’art. 5, 5° comma del D. Lgs. n. 286/98 (rimasto immutato) “quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso. nel territorio dello Stato. e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”, sono stati aggravati i predetti requisiti per l’ingresso, che refluiscono sulle possibilità del soggiorno stesso dello straniero.
Come si è già accennato, è rimasto, tuttavia, immutato, nel succedersi del testo originario del D. Lgs. n. 286/08 e, in quello modificato dalla L. n. 189/02, l’art. 5, comma 5, che, nell’imporre il diniego o la revoca del permesso di soggiorno in caso di originaria o sopravvenuta mancanza dei requisiti per l’ingresso, ha aggiunto l’inciso: “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano di rilascio”.
Questi elementi vengono tradizionalmente identificati nella condotta complessiva del soggetto, nel suo inserimento sociale nonché nella sua situazione familiare.
Non può essere, però, fondatamente confutato – in relazione al caso di cui alla attuale controversia – il fatto che una condotta complessiva dell’interessato, espressiva di pericolosità sociale, sia oggettivamente insuscettibile di consentire il rinnovo del permesso di soggiorno: è evidente, infatti, che la conclamata situazione di pericolosità sociale faccia sì che debbano essere considerate recessive e comunque non determinanti, considerazioni legate all’inserimento lavorativo o sociale od alla situazione familiare.
E” in questa ottica che va letto l’inciso “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano di rilascio” inserito nel richiamato art. 5, 5° comma del D. Lgs. n. 286/98: i “nuovi elementi” devono essere tali da consentire il superamento dei motivi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno.
Di certo le circostanze effuse dalle Autorità agenti (Questore e Prefetto di Udine), e, in particolare, la situazione di pericolosità sociale del ricorrente, non sono suscettibili di venire superate dai “nuovi elementi” addotti dall’istante.
Trattasi di circostanze che nella loro oggettività non si prestano a letture diverse da quella – doverosamente – data dal Questore e dal Prefetto sulla base di una puntuale istruttoria e con una motivazione sufficientemente rappresentativa degli elementi di fatto e di diritto presi in considerazione.
Dunque, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, la accertata fondatezza della seconda ragione giustificativa addotta dal Questore nel provvedimento originario (e ripresa nel gravato decreto del Prefetto) esime il Collegio dal prendere in esame le censure afferenti la prima ragione (la avvenuta espulsione), che restano assorbite.
In conclusione, alla luce delle complessive considerazioni che precedono, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio, sussistendone le giuste ragioni, possono venire compensate nella loro integralità.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo
rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 16/04/2008 con l’intervento dei Magistrati:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Vincenzo Farina, Consigliere, Estensore
Rita De Piero, Consigliere