Categoria: orientamento sessuale

Riconoscimento e trascrizione di un’adozione straniera da parte di una coppia same-sex: la pronuncia della Corte d’Appello di Milano

di Matteo M. Winkler*

Con l’ordinanza del 5 ottobre 2016 (dep. nel giugno 2017), la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata in tema di riconoscimento e trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione a favore di coppie di genitori dello stesso sesso, facendo il punto su alcuni interessanti profili di ordine processuale e sostanziale. Si conferma così l’ormai consolidato orientamento delle corti di merito che, accogliendo positivamente realtà omogenitoriali straniere, finisce per prendere atto di esperienze familiari che esistono anche nel nostro Paese.

Il caso

Nel caso sottoposto alla Corte d’Appello di Milano un padre, cittadino italiano naturalizzato americano, domandava il riconoscimento e la trascrizione di un order of adoption con il quale la Surrogate’s Court di New York aveva pronunciato l’adozione di un bambino a favore suo e del marito, anch’egli cittadino americano. A New York, infatti, l’adozione congiunta da parte di coppie omosessuali è da tempo possibile, e il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale grazie al Marriage Equality Act del 2011.

Rivoltosi inizialmente all’ufficio di stato civile del comune di ultima residenza, il ricorrente si era visto rigettare l’istanza con la motivazione che sarebbe stato necessario un intervento del tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 36, co. 4, della Legge 4 maggio 1984, n. 183 (Diritto del minore ad una famiglia).

Diversamente, la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto di dover accogliere il ricorso, e ciò sulla base di tre ragioni. Anzitutto, sotto il profilo processuale il ricorso deve inquadrarsi nelle norme della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) che consentono l’immediata efficacia dei provvedimenti stranieri di adozione. In secondo luogo, la Corte afferma che un provvedimento di adozione rilasciato a favore di una coppia dello stesso sesso non può essere contrario all’ordine pubblico internazionale, con ciò seguendo l’orientamento della Corte di Cassazione (sent. 30 settembre 2016, n. 19599). In terzo luogo, viene effettuata la classica valutazione della conformità della soluzione al preminente interesse del bambino, come prescrive l’art. 57 della Legge 184/1983. (more…)

La vita non si ferma: l’unione civile, la famiglia, i diritti dei bambini

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo, con un breve commento, le due sentenze con le quali il Tribunale per i minorenni di Bologna ha disposto l’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983 a favore di due minori, nei confronti del partner omosessuale del genitore genetico. 

A poco più di un anno dall’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76 e dalla pronuncia con la quale la prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha confermato l’innovativo orientamento inaugurato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel 2014, continua a farsi strada, nel nostro ordinamento, la tutela dei figli e delle figlie nati, accolti e cresciuti in famiglie omogenitoriali attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari, pure a seguito dello stralcio della disposizione che, nell’originario testo del disegno di legge sulle unioni civili, mirava a novellare l’art. 44, lett. b) della legge n. 184/1983, estendendo alle parti dell’unione civile l’istituto dell’adozione del figlio del coniuge, ivi disciplinato. Dopo le pronunce della Corte d’Appello di Torino e di Milano, e la recentissima decisione del Tribunale per i minorenni di Venezia, arriva anche da Bologna una ulteriore conferma della possibilità di applicare l’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983 nel caso di adozione del figlio del partner omosessuale. (more…)

Anche da Milano, dopo la Cassazione, Roma e Torino, semaforo verde per l’adozione coparentale

di Marco Gattuso

Pubblichiamo la sentenza della Corte d’appello di Milano del 9 febbraio 2017 con la quale viene riformata la sentenza emessa dal tribunale di Milano il 13.9.2016 (e depositata il 17.10.2016) che rigettava come noto l’istanza di ammissione all’adozione in casi particolari ai sensi della lettera d) della legge adozioni da parte della madre sociale evidenziando la ritenuta impossibilità di utilizzare tale disposizione al fine di dare riconoscimento giuridico a tale relazione di fatto, come invece ritenuto dalla Corte di cassazione con la nota sentenza n. 12962 del 2016. In seguito a tale sentenza della Suprema Corte, il tribunale di primo grado aveva prospettato una diversa lettura del quadro normativo, peraltro revocando il proprio precedente indirizzo di cui a sentenza del 28 marzo 2007 con cui aveva già ammesso l’utilizzabilità dell’art. 44 lettera d) a tutela del figlio convivente con una coppia (eterosessuale) non coniugata. Secondo il tribunale per i minorenni ogni problema di discriminazione tra i minori che vivono con coppie di fatto eterosessuali ed omosessuali sarebbe così agevolmente superato, posto che l’adozione del figlio biologico del convivente dovrebbe ritenersi preclusa sia a coppie omosessuali che eterosessuali (i giudici d’appello ricordano al riguardo che il tribunale di primo grado così facendo “nega in radice la possibilità di adozione speciale del figlio del convivente, accedendo alla interpretazione restrittiva della norma in esame che peraltro lo stesso Tribunale per i Minorenni di Milano, già a partire dal 2007, aveva invece superato, pronunziandosi più volte favorevolmente, con diversi Collegi, in casi di adozione ex art. 44 lettera d) del figlio del convivente”).

I giudici di appello, su conforme parere favorevole della Procura generale, hanno respinto tale proposta interpretativa dei giudici di primo grado, osservando in particolare come non risulti condivisibile l’assunto del tribunale per cui le ipotesi di cui all’art. 44 lettere a), c) e d) si riferirebbero tutte a situazioni che hanno alla base “l’abbandono o gravi carenze delle figure genitoriali”, circostanza che non si riscontrerebbe nella specie in quanto il bambino era perfettamente accudito dalla mamma biologica. Come noto tale impostazione era stata severamente criticata in (more…)

Tar Lombardia: perché le celebrazioni delle unioni civili e dei matrimoni debbono essere uguali

di Marco Gattuso

Pubblichiamo la decisione del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia, del 29 dicembre 2016, sulle modalità di costituzione delle unioni civili fra persone dello stesso sesso, con cui è stata dichiarata l’illegittimità di una delibera del Comune di Stezzano, del 27 settembre 2016, nella parte in cui disponeva che le unioni civili fossero costituite in una stanza, adiacente all’ufficio anagrafe, diversa dalla sala di rappresentanza del municipio riservata alla celebrazione dei matrimoni civili.
La sentenza é particolarmente importante in quanto rappresenta la prima decisione di merito sulla celebrazione del rito (dopo il provvedimento cautelare del TAR Veneto, di cui abbiamo dato conto poche settimane fa) e contribuisce in modo univoco a delineare il quadro conseguente all’approvazione della legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Com’è noto, nei primi mesi di vigore della legge e nelle more dell’emanazione da parte del governo dei definitivi decreti attuativi (che dovrebbero arrivare entro il 5 marzo), mentre la stragrande maggioranza dei comuni ha preso atto che la legge estende alle unioni civili tutte le leggi ed i provvedimenti amministrativi (quindi anche quelli comunali) in materia di matrimonio, ed hanno dunque correttamente applicato alle unioni le delibere adottate per i matrimoni, alcuni sindaci, invero assai pochi e tutti di una determinata area politica, hanno tentato di emanare disposizioni”speciali” in materia di unioni civili, differenziandone il trattamento rispetto al matrimonio.
La sentenza del Tar della Lombardia, che accoglie il ricorso proposto dagli avvocati di Rete Lenford, Avvocatura per i diritti lgbti, chiarisce oggi quanto era in verità chiarissimo nella legge e indiscusso in dottrina, e fa giustizia di ogni tesi “riduzionista” o scettica, diretta a mettere in dubbio la perfetta equivalenza giuridica fra matrimonio e unione civile. Com’è noto, infatti, il legislatore con la cd. “clausola generale di equivalenza” di cui al comma 20 (un potente dispositivo che non era previsto neppure nella legge tedesca sul partenariato di vita, che pure é stata assunta quale modello della legge italiana) ha stabilito che matrimonio e unione civile siano sottoposti alla medesima disciplina ed abbiano gli stessi effetti, salvo che per alcune disposizioni di dettaglio contenute nel codice civile (per lo più relative ad istituiti arcaici come le pubblicazioni, il matrimonio inconsumato, l’errore sulle deviazioni sessuali, il matrimonio riparatore per i minorenni, la separazione, il cognome del marito imposto quale cognome della famiglia) e salvo che per la presunzione di concepimento (evidentemente ritenuta, nella sua regolamentazione codicistica, troppo legata alla presunzione di una procreazione mediante rapporto sessuale fra i coniugi) ed alle norme riferite ai coniugi contenute nella legge sulle adozioni (il noto “dazio” pagato ad una componente della maggioranza, salva comunque l’indicazione che “resta fermo” quanto già “consentito”).
La decisione del giudice amministrativo, richiamato tale chiaro quadro normativo, si contraddistingue peraltro per diversi, interessanti, aspetti.
Fra i tanti argomenti sviluppati dalle difese dei ricorrenti, il tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha correttamente ritenuto rilevante esclusivamente quello fondato sul mancato rispetto del disposto del comma 20 della L. 76/2016. In forza di tale disposizione, infatti, è stato recepito dal legislatore ordinario il principio di non discriminazione e di parità di trattamento fra le coppie omosessuali che (more…)

In claris non fit interpretatio: unioni civili, pensione di reversibilità e comma 20 della legge n. 76/2016

di Angelo Schillaci*

Pubblichiamo il messaggio diffuso dalla Direzione centrale Pensioni dell’INPS, che conferma la già pacifica estensione alle coppie unite civilmente di tutti i diritti legati alle prestazioni pensionistiche e previdenziali già previste per le coppie coniugate, ivi compresa la reversibilità della pensione.

Tale equiparazione è fatta discendere, opportunamente, dal chiaro disposto dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 che, come noto, reca una clausola generale di equiparazione tra unioni civili e matrimonio: tale clausola opera attraverso una regola di equivalenza terminologica, a mente della quale le disposizioni che si riferiscono al matrimonio o che contengono la parola “coniuge”, “coniugi” o espressioni equivalenti si applicano anche alle parti dell’unione civile, con l’unica eccezione delle disposizioni del codice civile non espressamente richiamate dalla legge n. 76/2016 e delle sole disposizioni riferite al matrimonio (o che presuppongano lo status di coniuge), contenute nella legge n. 184/1983 in materia di adozione. Lo stesso comma 20 precisa peraltro, a tale ultimo riguardo, che in materia di adozione resta fermo quanto previsto e consentito dalla legge: dunque, possono pacificamente applicarsi alle parti dell’unione civile tutte le disposizioni della legge n. 184/1983 che non si riferiscano al matrimonio o non presuppongano lo status di coniuge, come ad esempio l’art. 44, in tema di adozione in casi particolari (ciò che è stato confermato da Cass. civ., sez. I, 26 maggio 2016, n. 12962).

Si tratta di una norma con evidente funzione antidiscriminatoria che, seppur contenuta in una legge che fonda il riconoscimento della vita familiare omosessuale su premesse costituzionali diverse da quelle che presidiano il riconoscimento dell’istituto matrimoniale, rappresenta un vero e proprio “anticorpo” volto a garantire – nella massima estensione possibile – la piena effettività dell’art. 3 Cost. e dunque la parità di trattamento tra coppie coniugate e coppie unite civilmente.

La portata antidiscriminatoria del comma 20 della legge n. 76/2016, pur con i limiti indicati, è stata sottolineata dalla dottrina unanime, che ha ribadito, altresì, la portata autoapplicativa della disposizione in esame, ora riconducendola ad una vera e propria norma di produzione giuridica, ora ad una norma sull’interpretazione e sull’applicazione di altre norme.

Anche la giurisprudenza e la prassi intervenute nel vigore della legge n. 76/2016 confermano tale assunto, anche con riguardo all’ambito dei diritti previdenziali e assistenziali. Si pensi, anzitutto, all’importante affermazione (more…)

Il Tribunale di Napoli ordina la trascrizione di un atto di nascita straniero con due madri

di Angelo Schillaci*

Pubblichiamo, con alcune indicazioni di lettura, il decreto dell’11 novembre 2016 (depositato in data 6 dicembre 2016), con il quale il Tribunale di Napoli ha ordinato all’Ufficiale dello stato civile di Napoli di trascrivere l’atto di nascita di un minore, formato in Spagna, con l’indicazione di entrambe le madri, cittadine italiane coniugate tra loro e residenti in Spagna.

La decisione interviene a pochi mesi dalla fondamentale pronuncia della Suprema Corte di cassazione, sez. I, n. 19599/2016, che aveva provveduto in modo analogo, dettando una corposa serie di principi di diritto idonei – come dimostra proprio la decisione che oggi pubblichiamo – a guidare gli orientamenti della giurisprudenza in tema di trascrizione degli atti di nascita formati all’estero, recanti l’indicazione di due genitori dello stesso sesso.

La decisione napoletana si pone nel solco del recente arresto della Corte di legittimità, specie sul punto della declinazione del concetto di ordine pubblico non in termini di compatibilità con l’ordinamento italiano ma nei termini, più larghi, di compatibilità con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali desumibili dalla Costituzione, dal diritto primario e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cd. ordine pubblico internazionale). Come avvenuto nel caso deciso dalla Cassazione, peraltro, è proprio questa accezione del concetto di ordine pubblico a consentire di ritenere non ostativi alla trascrizione tanto il principio di cui all’art. 269, comma 3, c.c., secondo cui è madre colei che partorisce, quanto la circostanza che l’ordinamento italiano non contempli (per ora) che “persone dello stesso sesso possano essere entrambe genitori dello stesso figlio” (p. 6).

Rispetto alla decisione della Corte di cassazione, tuttavia, la pronuncia napoletana presenta taluni (more…)

La sentenza colombiana che riconosce il diritto al matrimonio

di Roberto De Felice*

Pubblichiamo la traduzione a cura di Roberto De Felice dell’importante sentenza della Corte costituzionale colombiana del 28 aprile 2016, depositata il 30 giugno 2016 (qui la sentenza con la massima in italiano a cura di De Felice) che riconosce il diritto al matrimonio per le coppie same sex. Poiché si tratta di una decisione assai corposa (sono circa 250 pagine) ed assai dotta, di estremo interesse per l’approfondimento degli argomenti, per agevolarne la lettura l’Autore ne ha tradotto i punti essenziali, premettendo e talora intercalando il sunto di altre parti (gli ampi stralci della decisione oggetto di traduzione sono facilmente identificabili in quanto trascritti in corsivo).

 

 

1.La occasio litis: la azione di tutela dei diritti fondamentali

Con la storica decisione del 28 aprile 2016 numero 214 depositata il 30 giugno successivo, la Corte Costituzionale della Colombia, interpretando e superando una propria precedente decisione, la numero 577 del 2011, ha stabilito che, ai sensi della Costituzione (Carta Polìtica) di quella Nazione le coppie dello stesso sesso hanno diritto a celebrare i propri matrimoni, che per il locale ordinamento sono dei contratti, tanto per atto di notaio, quanto avanti i giudici della Repubblica, e gli ufficiali dello stato civile, a loro volta, sono obbligati a provvedere a tale incombente su richiesta degli interessati.

La sentenza rivede sei decisioni su azioni di tutela rese da giudici della nazione. L’azione di tutela, prevista dall’articolo 86 della Costituzione della Colombia, consente a ogni interessato di richiedere al giudice ordinario la tutela dei propri diritti fondamentali lesi da un atto della pubblica autorità. La Procura Generale della Nazione è considerata tra i soggetti legittimati a proporre l’azione di tutela. La procedura è estremamente spedita: il Tribunale, all’esito di una sommaria istruttoria, si pronuncia con sentenza, soggetta al rimedio dell’appello. Il giudice di primo o secondo grado che concluda il procedimento, negando o accordando la tutela dei diritti fondamentali richiesta dai ricorrenti, trasmette, al termine del processo, gli atti alla Corte Costituzionale, la quale può discrezionalmente pronunciarsi in merito all’azione stessa. In questo caso la Corte ha rivisto sei decisioni prese da vari giudici della Colombia in ordine alla pretesa di sei coppie omosessuali di celebrare o far registrare il proprio matrimonio da parte di uno dei pubblici ufficiali competenti. La Corte ha reso in Adunanza Plenaria[1] una sentencia di unificaciòn, con funzioni nomofilattiche stante la natura e l’importanza della questione e le relative incertezze interpretative.

Sezione 1. Il precedente della condanna del Parlamento a legiferare sulle coppie omosessuali: C. Cost 577/11. Le sei azioni di tutela riviste in questa decisione

 (a)      Celebrazione del matrimonio. Competenze dei giudici e del notaio, e dell’ufficiale di Stato Civile

 Si ricorda che la sentenza 577 del 2011 della Corte Costituzionale aveva rilevato una profonda disparità di trattamento tra le coppie eterosessuali e le coppie omosessuali, alle quali ultime era precluso il matrimonio e aveva, con singolare dispositivo, condannato il potere legislativo a legiferare entro il 20 giugno del 2013. In difetto di ogni decisione in materia, come in effetti si è verificato, la Corte, nella medesima sentenza 577, precisava che dal giorno della scadenza di tale termine tali coppie potessero celebrare il proprio vincolo davanti ai pubblici ufficiali sopra menzionati. Il matrimonio è un contratto (art 113 cc) che richiede lo scambio dei consensi avanti a tali pubblici ufficiali (art 115 cc); in particolare è competente il Giudice[2] (art 126 cc) cui si propone richiesta che indichi tale proposito e le generalità proprie e dei genitori, che è soggetta a pubblicazione mediante editto (artt. 126 e 130 cc) per quindici giorni; il Giudice decide immediatamente sulle opposizioni alle nozze e in caso che nulla osti le celebra (art 135 cc). L’atto è quindi iscritto da un notaio nel registro dello stato civile, o, fuori da una sede notarile, da un funzionario dell’Ufficio Nazionale del Registro di Stato Civile.

(b)     Il diniego di un notaio a procedere alla celebrazione.

Nel primo caso le parti si erano opposte al diniego (more…)

L’interesse superiore del minore vieta la restrizione dell’adozione alle sole coppie eterosessuali

Pubblichiamo l’impeccabile ed avvincente nota dell’avv. dello Stato R. De Felice alla sentenza della Corte costituzionale colombiana depositata nel febbraio u.s. che ha riconosciuto il diritto delle coppie omosessuali all’adozione congiunta. Un esempio di giurisprudenza costituzionale attenta ai valori ed ai diritti fondamentali.

CORTE COSTITUZIONALE DELLA REPUBBLICA DI COLOMBIASentenza 4 novembre 2015 (depositata il 15 febbraio 2016) n. C-683/15- Presidente CALLE CORREA- Estensore PALACIO PALACIO – Estrada Vélez et al.

(Costituzione della Colombia, art. 44; artt. 64, 66 e 68 L 1098/2006; art 1 L 54/1990)

 Le disposizioni degli articoli 64, 66 e 68 co 5 del Codice dell’Infanzia e dell’Adolescenza, approvate con Legge 1098/2006, e l’articolo 1 della Legge 54/1990 sulle unioni coniugali di fatto, laddove escludono dalla adozione congiunta le coppie omosessuali coniugate o permanenti, sono efficaci condizionatamente al presupposto che in virtù dell’interesse superiore del minore e nel suo ambito di applicazione siano comprese anche le coppie dello stesso sesso costituenti una famiglia

di Roberto De Felice *

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La Colombia ha – nonostante l’opposizione di un legislatore conservatore – lentamente adeguato il proprio ordinamento al fine di riconoscere alle coppie gay e lesbiche il diritto di ‘formalizzare il suo vincolo’ e quello di adottare congiuntamente, ovvero di adottare il figlio del partner.

Occorre prendere le mosse dalla Legge 54/1990 sulla disciplina delle convivenze, che, pur precisando al suo articolo 1 che la sua portata era limitata alle coppie eterosessuali, istituiva un regime giuridico di tutela per le coppie di fatto. Precisamente, le unioni familiari non coniugali, dopo due anni, assumono ex lege lo status di unioni di fatto e i relativi (limitati) diritti, generalmente di carattere patrimoniale. La legge, invero, si limita a stabilire che esista una comunione legale sui frutti del proprio lavoro, ma è stata richiamata da altri testi legislativi in altri settori dell’ordinamento. In particolare, e ai fini che qui interessano, il Codice dell’Infanzia e dell’Adolescenza prevede per i partner la possibilità di richiedere l’adozione congiunta di un figlio, ovvero per un partner di adottare i figli dell’altro (in questo caso, con esclusione di ogni effetto estintivo della parentela con l’altro genitore biologico ma con acquisizione della parentela di una terza famiglia, quella dell’adottante[1]). Anche nel caso della Stepchild Adoption l’adottante – esentato dai requisiti relativi all’età- dovrà dimostrare la sua idoneità genitoriale. E’ ammessa l’adozione di maggiorenni nel solo caso di convivenza biennale iniziata prima del compimento della maggiore età; è altresì ammessa l’adozione da parte di persona non coniugata né soggetta al regime della L 54/1990 grazie alla successiva L 1098/06.

Però, stante il richiamo fatto dalla L 1098/2006 alla coppia eterosessuale di cui alla L 54/90, l’adozione non poteva essere realizzata congiuntamente né da coppie omosessuali (non ammesse al matrimonio e non destinatarie della Legge 54) né – come Stepchild Adoption, all’interno di coppie stabili omosessuali, cui nemmeno era applicabile la Legge 54.

Il 18 febbraio 2007, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza C-075/07, ritenendo lesivo della dignità umana garantita dalla Costituzione la assenza di qualunque tutela per le coppie omosessuali stabili dichiarava la incostituzionalità della legge nella parte in cui non si applicava a tali coppie; con la successiva sentenza C-811/07, per le stesse ragioni, estendeva loro i benefici della sicurezza sociale; con la sentenza C-336/08 estendeva la reversibilità della pensione al partner superstite, sempre in nome della dignità umana e in mancanza di alcuna giustificazione razionale per una discriminazione in tal senso. Con sentenza C-029/09 erano estese a tali coppie le disposizioni di ben 42 norme (tra le quali la inesistenza dell’obbligo di deporre contro il partner). Dunque la Corte Costituzionale di quella Nazione, a differenza dei vaghi intendimenti espressi nella nostra Corte Cost. 138/10 di verificare punto per punto se l’ordinamento vulnerasse il principio di eguaglianza nei confronti delle coppie omosessuali, ha proceduto speditamente a estendere a dette coppie e ai partner delle stesse i diritti non riconosciuti dalla legislazione in vigore. (more…)

Ed ecco anche il decreto con le “formule”

È stato emesso, con la tempestività auspicata dal Consiglio di Stato, il Decreto del Ministero dell’interno del 28 luglio 2016,
contenente le “formule” che consentono agli uffici dello stato civile di inziare subito a celebrare le unioni civili.

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il cd. “decreto ponte”

Omofobia e discriminazione: la continua evoluzione nell’interpretazione della Cedu

di Carmelo Danisi*

In due recenti occasioni, la Corte europea dei diritti umani (di seguito, Corte Edu) ha dato prova del continuo lavoro di interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) quando i ricorrenti lamentano una violazione riconducibile al loro orientamento sessuale. Per quanto siano relativi a situazioni molto diverse tra loro, che rientrano nell’ambito di diritti altrettanto differenti, i recenti casi sembrano essere esaminati dalla Corte seguendo la medesima ratio: la necessità che lo Stato parte si attivi per tutelare il gruppo LGB attraverso una varietà di misure dal forte impatto sociale. Tra queste, si inseriscono gli interventi di natura procedurale, molto rilevanti quando una persona subisce violenze in ragione del suo orientamento omosessuale, e quelle a carattere più squisitamente positivo, come l’obbligo di facilitare lo sviluppo della vita familiare nel più ampio contesto migratorio attraverso il ricongiungimento familiare o quantomeno, in un’ottica procedurale, la garanzia di un esame equo della richiesta volta a ottenere un siffatto beneficio. Se poste nel più ampio e complesso quadro della giurisprudenza della Corte Edu, le conclusioni raggiunte in tali occasioni non rappresentano risultati “scontati” ma un’ulteriore elaborazione in materia di non discriminazione, dimostrata dalla volontà dei giudici europei di esaminare entrambi i casi attraverso la lente dell’articolo 14 anziché sotto il profilo sostanziale. Nella parte che segue si esaminerà, seppur brevemente, l’interpretazione degli articoli 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti) e 8 (diritto al rispetto per la vita familiare) Cedu avanzata dalla Corte con i casi M.C. e A.C. c. Romania e Pajic c. Croazia, relativi a ricorrenti caratterizzati da un orientamento sessuale “minoritario”. In entrambe le occasioni, alla luce del ruolo svolto da tale caratteristica personale, i giudici hanno deciso di valutare le presunte violazioni sotto il profilo discriminatorio (art. 14 Cedu), anziché quello sostanziale.

Le violenze motivate dall’odio contro il gruppo LGB: gli obblighi procedurali

Il ricorso M.C. e A.C. c. Romania (12 aprile 2016, n. 12060/12) ha dato alla Corte Edu la possibilità di consolidare una posizione già espressa in relazione alle violenze motivate dall’odio razziale e ad ampliarla fino a comprendere i trattamenti che rientrano nell’ambito dell’articolo 3 Cedu e che sono, o potrebbero essere stati, perpetrati in ragione dell’orientamento sessuale delle vittime. Senza sminuire l’evoluzione già avviata in Identoba e altri c. Georgia (12 maggio 2015, n. 73235/12), le particolari circostanze del caso rumeno hanno consentito ai giudici di precisare la portata degli obblighi procedurali (more…)

Dalla Corte d’appello di Torino nuova conferma alla stepchild adoption per le famiglie arcobaleno

Pubblichiamo la sentenza, depositata il 27 maggio 2016, con la quale la Corte di Appello di Torino ha disposto l’adozione ai sensi dell’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983, a favore della compagna convivente della madre biologica. La decisione, resa peraltro su parere favorevole del pubblico ministero, riforma la decisione con la quale il Tribunale di Torino aveva invece respinto la domanda della madre sociale, sostenendo la natura “eversiva” dell’interpretazione oggi accolta dell’art. 44, lett. d).
Si tratta di una pronuncia importante, perché recepisce l’orientamento aperto, a partire dal luglio del 2014, dal Tribunale per i minorenni e dalla Corte d’Appello di Roma, secondo cui l’impossibilità di affidamento preadottivo – ritenuto dall’art. 44, lett. d) presupposto per l’adozione speciale – va intesa non soltanto in senso materiale, o comunque connessa allo stato di abbandono, ma anche come impossibilità giuridica data, nel caso di specie, dalla presenza di un genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale. La lettura evolutiva della disposizione in esame – prefigurata secondo la Corte d’Appello di Torino dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 383/99 – è ritenuta conforme, inoltre, al quadro sovranazionale, e alla particolare considerazione da esso accordata alle relazioni familiari di fatto, al momento di statuire sull’interesse del minore all’adozione. Il concetto di vita familiare, come enunciato in numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, è insomma “ancorato ai fatti”, perché sono “i rapporti, i legami, la convivenza a meritare tutela”, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica. (more…)

Dopo le unioni civili: Davide contro Golia e i percorsi di eguaglianza

La Legge 20 maggio 2016, n. 76 é stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale e dal 5 giugno 2016 sarà in vigore.

In questo appassionato contributo, Francesco Rizzi invita adesso ad una riflessione obiettiva sul significato  di questa legge nel percorso verso l’uguaglianza e sull’uso strategico del diritto. Il diritto, infatti, al di là delle intenzioni soggettive dei legislatori, è soprattutto il risultato della sua applicazione e della sua interpretazione. Se ci limitassimo al diritto quale norma emanata dal potere legislativo, Golia vincerebbe sempre. 

di Francesco Rizzi*

L’introduzione – con tanto ritardo – della legge sulle unioni civili nel nostro paese è l’occasione per osservare e discutere alcuni aspetti rilevanti che caratterizzano l’iter giuridico di affermazione dei diritti civili e dell’eguaglianza nelle moderne democrazie. Questi aspetti, che confluiscono nel contenitore Diritto, non hanno, esclusivamente e ab origine, natura giuridica, ma assumono significato giuridico tanto nel processo di mobilitazione sociale e dibattito pubblico che precede l’adozione della legge, quanto una volta che la legge è approvata e viene poi applicata.

Il focus delle riflessioni che seguono non si concentrerà su una puntuale ricostruzione delle previsioni della nuova normativa – che verranno considerate indirettamente[1]. L’analisi di questo commento sarà indirizzata a considerare il ruolo degli attori istituzionali e sociali che, a diverso titolo, hanno contribuito all’introduzione dell’istituto delle unioni civili, il loro approccio al tema nella fase di adozione e nella fase successiva all’adozione della legge e la capacità che essi hanno nell’assegnare un significato tanto sostanziale quanto simbolico alle norme di diritto.

Il presupposto da cui muovono queste riflessioni è l’idea che, anche di fronte ad una legge che mantiene discriminazioni ed esclusioni e che non positivizza quindi la piena eguaglianza giuridica tra coppie dello stesso sesso e coppie di sesso diverso, si possa fare leva su quello che la normativa prevede per ampliare, radicare e rafforzare le tutele. L’obiettivo che si deve perseguire d’ora in avanti è quello di costruire una società e un sistema giuridico capaci di riconoscere i modelli nuovi e diversi di coppia e famiglia, accoglierli, accettarli e rispettarli, rendendoli quindi davvero eguali, per il diritto, a quelli maggioritari. Il potere di raggiungere questo fine, di migliorare le cose in termini giuridici, di aggiungere a questo primo passaggio, è degli interests groups, ovvero di quelle associazioni della società civile che militano per promuovere il cambiamento e che, mobilitandosi, si trasformano in nomic communities[2].

La legge Cirinnà è il risultato di lunghe lotte da parte del movimento LGBT italiano che, di fronte ad una società poco sensibile e un legislatore negli anni poco interessato, per convenienza politica, a prendere posizione sul tema dei diritti civili come invece accadeva nelle altre democrazie, ha messo in atto diverse forme di mobilitazione sociale, dalle manifestazioni in piazza, al contenzioso giudiziario, alle campagne di sensibilizzazione e alle iniziative di lobby legislativa[3]. Poi il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali è divenuto una questione politica dei partiti e delle forze extraparlamentari capaci di influenzarli[4]. A questo punto, che il principio di eguaglianza sia rispettato appieno solo quando situazioni uguali sono trattate in modo uguale, quando quindi l’orientamento sessuale non sarà rilevante per determinare l’accesso al matrimonio, all’adozione, ai benefici sociali legati all’essere coppia e famiglia, passa in secondo piano. Il compromesso politico fagocita il principio giuridico, lo distorce e lo asservisce ai propri scopi[5]. Le battaglie giuridiche d’eguaglianza si trasformano in percorsi graduali e accidentati che raramente raggiungono immediatamente l’obiettivo ideale (more…)

La Corte d’Appello di Napoli ordina la trascrizione delle adozioni legittimanti di due figli di coniugi omosessuali

(A.S.) Pubblichiamo (omettendo solo i nomi dei minori e gli indirizzi, ma non i nomi delle mamme, su espressa richiesta delle stesse, che non vogliono risultare “anonime”) l’ordinanza, depositata il 5 aprile 2016, con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha ordinato la trascrizione di due sentenze francesi che hanno disposto l’adozione – “piena e legittimante” ai sensi dell’ordinamento del luogo – dei figli della coniuge a favore di ciascuna madre richiedente. La decisione aggiunge un tassello importante al complesso mosaico della tutela dell’omogenitorialità nel nostro ordinamento, perdurando l’inerzia del legislatore sul punto. Rispetto al precedente costituito da App. Milano, 16 ottobre 2015, n. 2543, si tratta, per la prima volta, di trascrizioni concernenti una fattispecie di adozione coparentale incrociata, in coppia omosessuale coniugata in Francia e che ha ottenuto, peraltro, la trascrizione del matrimonio in Italia. Entrambe le madri hanno infatti ottenuto, in Francia, l’adozione coparentale del figlio biologico della coniuge, domandandone poi la trascrizione all’ufficiale dello stato civile italiano. Di fronte al rifiuto di quest’ultimo, motivato sulla base del rilievo che “le sentenze di adozione richiamavano «come evento relativo alla filiazione” il matrimonio dei genitori […] improduttivo di effetti in Italia», perché contratto tra persone dello stesso sesso”, le due madri adivano la Corte di Appello di Napoli per sentir dichiarare l’illegittimità del rifiuto, con contestuale ordine di trascrizione all’ufficiale dello stato civile.
In aggiunta alla peculiarità della fattispecie, la decisione si segnala, nel merito, per alcune importanti affermazioni.
Con riferimento all’individuazione della disciplina applicabile, la Corte d’Appello di Napoli esclude che possa trovare applicazione nella fattispecie de qua la vigente normativa in tema di adozioni internazionali: trattandosi infatti di domanda di trascrizione di due sentenze di adozione “nazionale” francese, ritiene la Corte che più correttamente debba farsi applicazione della legge n. 218/95 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), ed in particolare dei suoi articoli 65 e 66, relativi al riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri, con conseguente esclusione della competenza del Tribunale per i minorenni. Tale affermazione non è senza importanza, se solo si considera che, ancora di recente, la Corte costituzionale, investita – in fattispecie parzialmente analoga – di questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge n. 184/83 (relativi all’efficacia dei provvedimenti di adozione di minori stranieri, pronunciati all’estero), ha dichiarato l’inammissibilità della questione perché il giudice rimettente “ha erroneamente trattato la decisione straniera come un’ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera” (così il comunicato stampa diffuso al termine della Camera di consiglio del 24 febbraio 2016; le motivazioni dell’ordinanza non sono ancora state depositate).
Dalla dichiarata applicabilità degli artt. 65 e 66 della legge n. 218/95 consegue che all’ufficiale di stato civile e, se del caso, al giudice adito in sede di impugnazione del diniego di trascrizione, compete unicamente verificare che il provvedimento di cui si richiede la trascrizione produca effetti nell’ordinamento in cui è stato pronunciato e non sia contrario all’ordine pubblico.
Particolarmente interessanti, allora, le motivazioni (more…)

Le coppie dello stesso sesso in anagrafe: la costruzione di uno spazio europeo dei diritti

di Andrea Antognoni*

L’anagrafe offre un punto di osservazione privilegiato sulle modalità con cui gli status familiari acquisiti all’estero impattano nel sistema giuridico italiano. Custode dei dati di tutti i cittadini residenti nel nostro Paese, attraverso la funzione anagrafica lo Stato si occupa anche delle registrazioni dei cittadini non italiani. Nell’ambito di questi, gli operatori degli oltre 8.000 Comuni gestiscono in maniera diretta, cioè senza intermediazione di altra autorità o ufficio amministrativo, i cittadini dell’Unione Europea.

L’anagrafe: tra esistenza giuridica e identità

Il tema della registrazione degli status e dei dati personali è solo apparentemente secondario: forse per una storica sottovalutazione dell’importanza della corretta tenuta degli atti anagrafici, in cui il diritto soggettivo all’iscrizione e l’esattezza dei dati personali costituiscono il nucleo essenziale della personalità. Ciò è vero sin dalle origini dei sistemi anagrafici, che non a caso si sviluppano con la maturazione degli Stati democratici, in cui il cittadino-residente assume rilevanza come persona al di là della classe sociale.

L’esattezza e la puntualità dei dati anagrafici, oggi custoditi in database digitali, assume una rilevanza fondamentale in ogni sistema giuridico-amministrativo: si pensi semplicemente agli sforzi del legislatore italiano, ormai giunti alle battute finali, di creare finalmente un’unica banca dati, l’anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) così da garantire univocità e congruità dei dati e più efficiente circolazione di essi all’interno del sistema pubblico.

Più banalmente, l’importanza della corretta e puntuale registrazione risulta evidente proprio dal suo apparire naturale per la stragrande maggioranza delle persone: ma come ci sentiremmo se immaginassimo, per un attimo, di avere una carta d’identità con un cognome diverso da quello con cui ci riconosciamo, o di richiedere un certificato di nascita o di matrimonio e sentirci rispondere che quell’atto non esiste, che non risulta nulla?

La qualità del dato anagrafico attiene, naturalmente, anche al rispetto di diritti fondamentali della persona, tutelati da norme di rango sovranazionale che devono coesistere con norme e prassi interne. Due fenomeni hanno contribuito ad aumentare il livello di complessità delle registrazioni: i flussi migratori di cittadini non italiani, e la definizione di un sistema giuridico europeo e di un’area in cui la sfera personale è tutelata anche dall’ordinamento europeo. Proprio il confronto, ineludibile, con il quadro di diritti essenziali strettamente collegato alla cittadinanza europea, ha portato in prima linea gli operatori comunali dei servizi demografici. Ecco dunque che la funzione di registrare l’iscrizione anagrafica del cittadino europeo e dei suoi familiari, conduce, gioco forza, l’operatore all’interno di un sistema giuridico sovranazionale, in cui le norme interne dialogano in modo costante e spesso ricco di tensioni, con quelle europee.

Poiché ogni norma non agisce nel vuoto ma s’intreccia con il sistema di cui fa parte e con altri ordinamenti, l’ufficiale d’anagrafe è chiamato a dare attuazione alla normativa di derivazione europea, dai principi scolpiti dai Trattati e modulati dalle pronunce della Corte di giustizia, fino alla Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 e, infine, al Decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.

Un complesso lavoro necessario a concretezza a diritti fondamentali, tutelati dall’ordinamento europeo che è, in materia, fonte primaria: il diritto di libera circolazione e soggiorno, e conseguentemente quelli all’unità familiare e al riconoscimento degli status legittimamente acquisiti dal cittadino dell’Unione.

L’iscrizione anagrafica del coniuge same-sex

Il diritto di soggiorno del coniuge dello stesso sesso è la rappresentazione più forte delle connessioni tra queste dimensioni. Assenza di norme esplicite, difficoltà operative e, ammettiamolo, barriere culturali, non hanno contribuito a dipanare la matassa per gli ufficiali d’anagrafe, (more…)

Unioni civili: chiusa la fase preliminare in Commissione alla Camera

Pubblichiamo il resoconto stenografico della indagine conoscitiva condotta presso la seconda Commissione della Camera in merito all’esame della proposta di legge approvata dal senato sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze

9-15 marzo 2016: Camera dei Deputati, Seconda Commissione, Indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge c. 3634 , approvata dal senato, recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

Reggio Emilia: riconosciuto il danno parentale sofferto della co-mamma in caso di morte del figlio

Pubblichiamo la sentenza del tribunale di Reggio Emilia del 2 marzo 2016 con la quale viene riconosciuta, per la prima volta, la relazione parentale fra una co-mamma ed il figlio ai fini del risarcimento del danno per lesione del diritto alla vita parentale.
Si tratta di un triste caso di sinistro stradale con morte di un ragazzo di appena diciotto anni, nato nell’ambito di una coppia eterosessuale, i cui genitori si erano separati molto presto e la cui mamma aveva intrapreso una relazione affettiva e di convivenza con un’altra donna. Il Tribunale ha accertato, a mezzo di prove testimoniali, la sussistenza di un vero e proprio rapporto genitoriale instauratosi fra il ragazzo e la convivente della madre biologica, la quale sin dalla più tenera età del bimbo aveva svolto funzioni di cura, educazione, affettive, del tutto analoghe a quelle di un genitore (nell’ambito dell’accurata istruttoria orale, un testimone ha riferito: «C mi disse che F era per lui una seconda madre»; altro teste, l’aiuto allenatore nella squadra di calcio del ragazzo, ha ricordato «delle sere veniva a prenderlo agli allenamenti F. C diceva che era la zia. So che teneva molto a F. Sia la madre che la F lo aiutavano nella gestione dei compiti e della vita familiare»; una testimone, amica di famiglia: «sia la madre che F si occupavano di C. F faceva sempre da mangiare. D stirava. Si alternavano nella gestione di C a seconda degli impegni. F era per C una seconda madre. C ubbidiva a F che si comportava come una madre nel senso che gli chiedeva di rispettare degli orari e lui li ubbidiva e la rispettava. Scherzava sempre con tutte e due. Era molto fisico le abbracciava e le baciava»).
Rammentata la giurisprudenza interna in materia di tutela del danno non patrimoniale da lesione della vita parentale, il Tribunale richiama altresì la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani che ha ricondotto le coppie omosessuali nell’ambito della nozione di vita familiare (rilevandone efficacemente la diretta cogenza nell’ordinamento italiano), riconoscendo quindi l’evidente lesione nel caso concreto ed applicando, dunque, i parametri che le cd. “tabelle milanesi” prevedono per il danno subito da un genitore (rilevando che sono quelli che «più si avvicinano al rapporto che si era creato tra le parti tenuto, altresì, conto anche della CTU medico legale effettuata sulla F che ha evidenziato come il rapporto interpersonale con il figlio della compagna fosse connotato da: “affettività-familiarità-attaccamento di natura materna”»).
Nella specie, trattandosi di un’evidente fattispecie di “famiglia ricomposta” il ruolo genitoriale è stato riconosciuto e risarcito tanto alle due mamme che al padre, il quale aveva pure mantenuto un forte legame col figlio, pur non convivendo col medesimo (è dunque di fattispecie distinta dal fenomeno delle “famiglie arcobaleno”, (more…)

La sentenza perfetta. Paternità omosessuale e diritti del bambino

Osservazioni a prima lettura sull’ultima sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma in tema di “stepchild adoption”.

 di Angelo Schillaci*

1. Premessa

 Per una felice coincidenza, il primo passaggio in giudicato di una sentenza che dispone l’adozione coparentale a favore del partner omosessuale si è prodotto in relazione ad una coppia di padri. Ad oggi, pertanto, esiste – anche agli occhi del diritto – una famiglia formata da due padri e dal loro bambino: essa può essere pensata in termini giuridici, e gode di riconoscimento. Tale circostanza non è senza significato, se solo si guarda indietro al dibattito pubblico delle ultime settimane su genitorialità omosessuale, unioni civili e cd. stepchild adoption.

La sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma depositata il 23 dicembre 2015 e resa pubblica il 21 marzo 2016, contiene infatti una serie di indicazioni preziose per chi voglia ricostruire, in prospettiva giuridica, i termini delle questioni che sono state agitate sulla scena pubblica, tra cui, in ordine sparso: la confusione tra scelta, desiderio e “diritto” di essere genitore, l’alternativa tra soggettività del bambino e sua riduzione a “oggetto” di condotte e desideri degli adulti, il recupero del dato della differenza sessuale nella riflessione sulla genitorialità omosessuale, nonché il vero e proprio corto circuito – politico e mediatico, ma anche giuridico e culturale – tra riconoscimento dei diritti del bambino già nato e disciplina delle tecniche di procreazione assistita.

Una sentenza, insomma, “perfetta” per rileggere il dibattito pubblico degli ultimi mesi, riportando sul piano dell’argomentazione giuridica, e dunque depotenziando, tensioni e conflitti.

2. Paternità omosessuale

La decisione rappresenta, anzitutto, un invito a recuperare il dato della differenza sessuale nell’approccio alla genitorialità omosessuale (more…)

Adozione da parte del papà sociale di un bimbo nato da maternità surrogata: la Procura di Roma non impugna e la sentenza diventa definitiva

Pubblichiamo la sentenza del tribunale per i minorenni di Roma, depositata il 23 dicembre 2015 e resa nota solo oggi, che dispone l’adozione in casi particolari da parte del padre sociale. La sentenza, che si inserisce nell’indirizzo ormai consolidato del tribunale capitolino (confermato anche dalla Corte d’appello di Roma e richiamato in forma adesiva anche dalla Corte d’appello di Milano) ha particolare rilievo, oltre che per l’accurata ricostruzione, in motivazione, della vicenda che ha condotto alla nascita del bambino, per tre particolari profili.

Per la prima volta, la sentenza non è stata impugnata dalla Procura competente, di talchè la sentenza è divenuta definitiva e si è prodotto l’effetto costitutivo della creazione di una doppia genitorialità di due persone dello stesso sesso (si tratta, ovviamente, per il genitore biologico di genitoralità piena e per il genitore non biologico, o sociale, di genitoralità con gli effetti dell’adozione in casi particolari). Per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico, dunque, un bambino viene riconosciuto figlio di due genitori dello stesso sesso, con sentenza non più impugnabile. Non potrebbe esservi segnale più vistoso del consolidamento della giurisprudenza di merito.

In secondo luogo, si tratta, a quanto è dato sapere, del primo caso di riconoscimento in Italia della bigenitorialità di due padri. E’ certamente un esito del tutto scontato, in quanto dal punto di vista giuridico appare del tutto coerente con l’orientamento che impone di ricercare la maggior  tutela possibile del minore a prescindere da ogni considerazione in ordine all’identità ed all’orientamento sessuale dei genitori. E’ dunque evidente che ciò che è stato affermato per due mamme non poteva che essere ripetuto per due padri (more…)

Entra in vigore in Portogallo la nuova legge sull’adozione

di Giovanni Damele*

Con la pubblicazione, il 2 marzo scorso, sul Diário da República è finalmente entrata in vigore in Portogallo la nuova legge che estende la disciplina delle adozioni alle coppie omogenitoriali. A partire da adesso, quindi, le coppie omosessuali, sposate o unite in “unione di fatto”, avranno gli stessi diritti e gli stessi doveri delle coppie eterosessuali. La legge – la n° 2/2016 – si limita infatti ad equiparare, sul piano tanto delle adozioni quanto delle altre relazioni famigliari, le coppie omosessuali alle coppie eterosessuali. L’ultimo passaggio che ha condotto, inevitabilmente, alla firma da parte del Presidente (cessante) della Repubblica Aníbal Cavaco Silva e alla conseguente pubblicazione si è consumato il 10 febbraio scorso, quando il parlamento monocamerale lusitano (Assembleia da República, d’ora in po AR) ha confermato senza modifiche il disegno di legge sul quale, il 25 gennaio precedente, il Presidente aveva posto il veto, giustificandolo con un messaggio all’AR nel quale sosteneva che l’iter di approvazione si era svolto senza il necessario approfondimento. Una motivazione che – fin da subito – era sembrata alquanto debole, e aveva piuttosto fatto pensare a un estremo tentativo di Cavaco Silva per evitare di apporre la sua firma a una disposizione che ha sempre dimostrato di osteggiare, lasciando quindi l’incombenza al presidente entrante, Marcelo Rebelo de Sousa. Sembra infatti difficile sostenere che non vi sia stato sufficiente approfondimento intorno all’adozione da parte delle coppie omosessuali, visto che il tema è stato materia di dibattito parlamentare – a fasi alterne – almeno dal 2009. Da quando, cioè, l’AR discusse e quindi approvò la legge sul matrimonio omosessuale. Tale legge, promulgata nel 2010 dopo essere passata attraverso lo scrutinio della corte costituzionale lusitana – sempre su richiesta di Cavaco Silva e in sede di controllo preventivo di costituzionalità – non prevedeva l’accesso all’adozione da parte delle coppie omosessuali. A tale soluzione di compromesso si era giunti, di fatto, per superare le divisioni tra i parlamentari sul tema e ottenere il più ampio consenso possibile intorno al progetto di legge. Una situazione che può far ricordare la recente vicenda del DDL Cirinnà, anche se (more…)