Categoria: identità di genere

Alla Corte Costituzionale l’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio a seguito della sentenza di rettificazione di sesso di uno dei partner

 di Francesca Barbato*

 

Pubblichiamo l’ordinanza del Tribunale di Lucca del 14 gennaio 2022 con la quale sono state sollevate plurime questioni di legittimità costituzionale con riferimento a disposizioni centrali in ordine all’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio in conseguenza della rettificazione di sesso di uno dei due componenti della coppia.

Il caso

Nella vicenda in esame XXX , presa piena coscienza della propria disforia di genere di tipo MtF (indicata erroneamente nell’ordinanza FtM) – così come risultante da una relazione psicologica eseguita dal consultorio transgenere di Torre del Lago -, identificandosi irrevocabilmente nel genere femminile, ha adito il Tribunale toscano chiedendo che venisse autorizzato l’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile a femminile con conseguente rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso, ed ordinato all’ufficiale di stato civile di iscrivere il matrimonio con il compagno in luogo dell’unione civile nel registro degli atti di matrimonio. XXX aveva, infatti, contratto un’unione civile nel 2019 con il proprio compagno ed entrambi intendevano conservare il vincolo familiare attraverso l’automatica conversione dell’unione civile in matrimonio a seguito della rettificazione anagrafica.

Nell’esaminare la domanda il Tribunale ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale di cui al combinato disposto degli artt. 1, comma 26, L. 20 maggio 2016, n. 76; 31, commi 3 e 4 bis, D.Lgs. 1°settembre 2011, n. 150 e 70 octies, comma 5 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, in relazione agli artt. 2, 3, 117 Cost. e 8 e 14 CEDU quali ai parametri interposti ai sensi dell’art. 117 Cost.

Il giudice di Lucca è partito dalla disamina dell’art. 1, primo comma, del D.P.R.  3 novembre 2000, n. 396 secondo cui “La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali” e dell’art. 31 del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 in forza del quale “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”.

 Al riguardo il Tribunale ha richiamato gli approdi raggiunti dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, in virtù dei quali la lettura sinottica delle norme de qua non deve portare a ritenere l’intervento chirurgico pre-condizione necessaria della pronuncia di mutamento di sesso, ma solamente un possibile mezzo strumentale a un pieno benessere psicofisico (Corte cost. n. 221/2015; Cass n. 15138/2015).

Di seguito il giudice ha chiarito come nella fattispecie in esame XXX non ha effettuato un intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma una terapia ormonale, chiedendo la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri di stato civile, dichiarando di aver acquisito l’identità di genere femminile attraverso un percorso psicologico comprovante la definitività e irreversibilità di tale orientamento, prescindendo dalle caratteristiche anatomiche degli organi sessuali.  Conseguentemente, in caso di riscontro positivo di quanto allegato nel corso del giudizio, XXX vanterebbe astrattamente l’aspettativa legittima di acquisire una nuova identità di genere anche in assenza di un intervento di adeguamento dei caratteri sessuali.

In siffatte circostanze XXX in una con la suddetta richiesta, deducendo di avere contratto con il proprio partner un’unione civile, ha domandato di ordinare all’ufficiale dello stato civile del Comune di Lucca di iscrivere nel registro degli atti di matrimonio l’unione matrimoniale in luogo di quella civile, in considerazione dell’assenza di un divieto in tal senso da parte dell’ordinamento a svantaggio della coppia in seguito all’acquisto di una nuova identità di genere di uno dei componenti.

Tuttavia il Tribunale ha osservato che “l’interdipendenza tra pronuncia di rettificazione e sorti dell’unione civile in precedenza contratta tra persone dello stesso sesso non forma oggetto di lacuna normativa” (così, p. 4).

Difatti viene ricordato come l’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016 preveda (more…)

Le persone omosessuali e transgender in carcere e il tempo immobile del Covid19


di  Fabio Gianfilippi*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il contributo analizza la condizione delle persone omosessuali e transgender nel sistema penitenziario italiano, anche alla luce delle tutele antidiscrimnatorie introdotte in questa materia in sede di riforma dell’ordinamento penitenziario nell’anno 2018 e già oggetto di alcune prime pronunce giurisdizionali, interrogandosi sulla difficile stagione del carcere chiuso durante l’ormai lungo tempo dell’emergenza sanitaria da COVID19 e sulle ricadute sulla quotidianità penitenziaria per le persone LGBT+ detenute nelle sezioni separate istituite per la loro protezione.

The paper illustrates the condition of homosexual and transgender inmates in the Italian penitentiary system, against the backdrop of the relevant anti-discrimination provisions introduced in 2018 – that have already been reviewed in some case law – and taking into account both the difficulties caused by the closed prison regime throughout the long-lasting COVID-19 related health emergency and its effects on the daily penitentiary life for LGBT+ persons that are detained in separate sections established for their protection.

* Magistrato, Ufficio di Sorveglianza di Spoleto

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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Freedom and responsibility of women, between patriarchy and neoliberalism


di  Orsetta Giolo*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il saggio propone un’analisi della relazione attualmente esistente tra le concezioni genderizzate della responsabilità e della libertà delle donne, l’iper-responsabilizzazione neoliberale e la retorica del care mainstreaming. Indagando nella prospettiva femminista le conseguenze della soggettività neoliberale, particolare attenzione è dedicate all’impatto che le trasformazioni in corso della responsabilità e della libertà producono sulla vita delle donne, nonché sulla loro condizione giuridica e politica.

The objective of this analysis is to try to understand what relationship presently exists between gendered conceptions of responsibility and women’s freedom, neoliberal hyper-responsibilisation and the rhetoric of care mainstreaming. In the following pages I shall try to reflect on the consequences of the neoliberal subjectivity in a feminist perspective, focusing above all on the impact that the transformations of responsibility and freedom produce on the life of women, as well as on their legal and political condition.

* Professoressa associata di Filosofia del diritto, Università di Ferrara

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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The more things change, the more they stay the same: On the epistemology of queer critique


di  Mariano Croce*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

This article takes issue with the criticism against those that I call “sinister accounts”, that is, analyses contesting pieces of legislation, policy measures and judicial decisions that are generally considered as steps towards a more equal and free society. According to some scholars, such a radical, hypercritical attitude, typical of many queer critiques, tends to produce pedantic and dismissive readings of political and legal advancements and thus fails to capitalize on the limited resources of Western liberal democracies. Even more importantly, from a social-theoretical perspective, sinister accounts are charged with draining social agents of any autonomy and self-awareness in that they are described as unconsciously complying with invisible hegemonic forces. With reference to accounts of the detrimental effects of non-conventional relationship recognition and in the light of a particular notion of the work of concepts in social life, I try to rebut this criticism by showing that sinister accounts contribute to opening fissures into the vision of social agents in order for the latter to (re)discover the silenced alternatives that various processes of normalization and naturalization inevitably conceal. 

* Professore associato di Filosofia del Diritto, Sapienza Università di Roma

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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Online Misogyny as a Hate Crime: An Obstacle to Equality?


di  Kim Barker, Olga Jurasz*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Campaigns to make misogyny a hate crime are prevalent, but such claims confuse the situation, and detract from the core issues. Suggestions that misogyny and hate are interchangeable are unhelpful, and such suggestions miss the nuance and holistic understanding that this area of law requires. To suggest that misogyny be a hate crime misrepresents the challenges of misogyny and misogynistic prejudice. As such, this paper outlines the challenge posed by misogyny online, and argues that it poses a significant participatory challenge for life in a digital society and represents a significant obstacle to equality. In making this argument, the impact of online misogyny is given unique consideration, situating misogyny within the gender equality framework. 

* Senior Lecturers in Law, Open University Law School (UK)

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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La parità di genere nelle elezioni dei piccoli Comuni: quali garanzie per l’uguale accesso alle cariche elettive? Note a margine di Consiglio di Stato, Sez. III, ord. 4 giugno 2021, n. 4294

di  Paola Torretta*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il Consiglio di Stato, con ordinanza 4 giugno 2021, n. 4294, ha sollevato questione di legittimità costituzionale rispetto alla disciplina del procedimento elettorale per le elezioni dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, nella parte in cui non assicura la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali e perché non prevede il “regime sanzionatorio sub specie “esclusione della lista” per le liste elettorali presentate in violazione del principio di parità dei sessi. L’autore, pur condividendo le motivazioni che sostengono la non conformità a Costituzione della normativa impugnata, esprime perplessità rispetto alla richiesta di una pronuncia additiva di prestazione, in ragione della consolidata giurisprudenza costituzionale sulla discrezionalità del legislatore in materia elettorale.

The Council of State referral order of June 4, 2021, n. 4294 raised the question of unconstitutionality of the legislation concerning the electoral procedure for the elections of municipalities with a population of less than 5,000 inhabitants “in the part it does not provide for the necessary representation of both genders in the electoral lists” and because it does not provide for the “sanctioning regime sub specie “exclusion of the list”” for the electoral lists presented in violation of the principle of equality between men and women. The author, while sharing the reasons supporting the non-compliance of the contested rules with the Constitution, expresses perplexity with respect to the request for a ‘benefit additive’ judgement, due to the consolidated orientation of the Constitutional court about legislative discretion in the field of the electoral rules. 

* Professore Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Parma

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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Terre di mezzo e mine vaganti: il riconoscimento giuridico del genere della persona trans

di  Nausica Palazzo*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il contributo tenta di ricostruire in chiave critica l’approccio dei sistemi giuridici contemporanei, in particolare europei, al riconoscimento dell’identità di genere (RGIG). La comunità trans gode di una insufficiente protezione giuridica. Ciò è conseguenza diretta dell’approccio dei sistemi giuridici occidentali all’elevazione delle identità al piano del giuridico, approccio che ad oggi utilizza identità singolari anziché plurali, statiche anziché fluide. Da ciò consegue l’esclusione dalla protezione e egida del diritto di soggetti esibenti identità non conformi. Dal punto di vista procedurale, un simile approccio si traduce nella creazione di tutta una serie di requisiti per ottenere il RGIG che, a più attenta analisi, difficilmente si giustificano dal punto di vista dell’interesse pubblico. Si pensi in particolare al requisito della sterilizzazione forzata o della riassegnazione chirurgica del sesso – insieme di requisiti che il contributo inquadra in termini di “sanzione” per aver attraversato i confini del genere dato nonché “misura preventiva” volta a impedire futuri attraversamenti. A partire da tali premesse, il saggio affronta in primis il tema della rilevanza giuridica delle identità attraverso il prisma delle teorie queer; di qui si prefigge analizzare il costo di categorie giuridiche “non inclusive” – per come sopra definite – nel contesto della Corte europea dei diritti dell’uomo; a seguire, il contributo offre una breve disamina del principio di autodeterminazione come principio cardine della disciplina giuridica il RGIG; segue una breve analisi della sua diffusione nel contesto europeo e della sua compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il quinto paragrafo, infine, tenta di tirare le somme, procedendo alla riscrittura di un estratto del famoso caso Hämäläinen per dimostrare come il diritto possa efficacemente inglobare i postulati delle teorie queer, senza che il queer si traduca in mera decostruzione di processi iusgenerativi.

The present paper seeks to critically assess the contemporary approach to legal gender recognition. The trans community is insufficiently protected by the law: too often policymakers are unaware or willingly ignoring the cost that categorizations reflecting static – as opposed of fluid –, singular – as opposed of multiple – identities impose on group “outsiders”. A similar approach has resulted in the establishment of a plethora of conditions to obtain legal gender recognition. On careful examination, these conditions hardly withstand scrutiny. A major example concerns practices involving sterilization o sex reassignment procedures: such practices yield a profound impact on human bodies. Such an impact should more correctly be framed in terms of ‘punishment’ for having trespassed the boundaries between genders, as well as a wall to prevent that person from making her choice reversible. Based on this premise, the paper first explores the topic of legal categorizations through the lens of queer theory; it then moves to analyze the cost insufficiently inclusive categories impose on group outsiders unable to align with the dominant understanding of identity underlying a certain category; it then takes the European Convention of Human Rights as a case study to demonstrate how this approach is detrimental to the trans community, and particularly to individuals unwilling to undergo gender reassignment procedures; section 4 explicates the many advantages of an approach to legal gender recognition based on self-determination. Ultimately, section 5 takes stock of the discussion and moves to rewrite a passage in the Hämäläinen decision, to illustrate how queer tenets can be effectively embedded into the law, without ‘queer’ implying a mere deconstruction of jurisgenerative processes.  

* Postdoctoral Fellow, Hebrew Unversity of Jerusalem

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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Spesso non binarie, sempre non conformi: la “piena depatologizzazione” delle soggettività trans

di  Francesca Saccomandi*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’attivismo trans e non binario italiano ha nel 2020 reso pubblicamente manifesta la richiesta di una completa riforma del diritto in materia di identità di genere, che passi per la piena e completa depatologizzazione dei generi non conformi. Il contributo evidenzia la necessaria connessione tra depatologizzazione e critica al binarismo di genere, interrogando le fonti del diritto italiano più rilevanti in materia.

The depathologization of gender non-conforming identities is a shared common ground for many Italian trans and non-binary collectives, associations, political bodies. Through the critical analysis of the Italian Constitutional case-law on the matter, this article investigates the possible meanings and the necessary conditions of this process.

Sommario

1. Introduzione – 2. La persona trans nella giurisprudenza costituzionale – 2.1. La sentenza 98/1979: i primi quesiti sulla “questione transessuale” – 2.2. Il mutato atteggiamento della Corte costituzionale: la sentenza n. 161/1985 – 2.3. L’adeguamento dei caratteri sessuali, da divieto a condizione necessaria – 3. La regola che costruisce l’eccezione: binarismo di genere e corpo trans – 3.1. La situazionalità storica della regola binaria – 3.2. Il genere come performance e i corpi trans come fuori copione – 3.2.1. Dove prima non c’era che una sequela di fatti, nasce il genere – 3.2.2. Opinio iuris atque necessitatis: il binarismo di genere – 3.2.3. Le sanzioni: violenza transfobica e patologizzazione – 3.2.4. Abolire il genere significa moltiplicarlo – 4. Conclusioni.

* Dottoressa in Giurisprudenza, Università degli Studi di Bologna

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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Protection of Transgender Employees from Discrimination: Is There Convergence Between the Approaches of the US Supreme Court and the Court of Justice of the European Union?

di Turkan Ertuna Lagrand*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

On June 15, 2020, in its landmark decision of R.G. & G.R. Harris Funeral Homes Inc. v. Equal Employment Opportunity Commission, the United States Supreme Court held that an employer who fires an individual merely for being transgender violates existing US law. This judgment is significant not only for being the first case before the Supreme Court relating to the rights of transgender individuals, but also because in this judgment the Court breaks away from a number of settled approaches ingrained in the reasonings of US Courts of various levels. In building up on this case law and considering what its effects might be on the legal protection afforded by the European Union at first sight the two courts seem to be on the same page. Indeed, the Court of Justice of the European Union dealt with the same issue in 1996 in P. v S. and Cornwall County Council, which became the first case law in the world preventing discrimination because a person is transgender. This paper investigates the extent to which the reasonings leading up to these judgments converge and finds, next to clear parallels, a number of elements which diverge. By looking into these varying approaches, the courts, lawyers and activists can better contribute to advancing the rights of transgender persons by looking into these different approaches.

Il 15 giugno 2020, nella sua storica decisione in R.G. & G.R. Harris Funeral Homes Inc. contro Commissione per le pari opportunità, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ritenuto che un datore di lavoro che licenzia un individuo semplicemente per essere transgender viola la legge statunitense esistente. Tale sentenza è significativa non solo per essere stata la prima causa dinanzi alla Corte Suprema relativa ai diritti delle persone transgender, ma anche perché la Corte si discosta da una serie di approcci consolidati radicati nelle argomentazioni dei tribunali statunitensi di vario ordine e grado. Basandosi su questa giurisprudenza e considerandone i relativi effetti sulla tutela giuridica offerta dall’Unione europea, a prima vista, le due giurisdizioni sembrano essere sulla stessa linea. Infatti, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affrontato la stessa questione nel 1996 in P. contro S. e Cornwall County Council, che è diventata la prima giurisprudenza al mondo a prevenire la discriminazione perché una persona è transgender. Questo articolo analizza fino a che punto le argomentazioni che portano a tali conclusioni convergano rispetto ad una serie di elementi di chiara divergenza. Esaminando questi diversi approcci, giudici, avvocati e attivisti possono contribuire meglio a far avanzare i diritti delle persone transgender.

* Senior Lecturer, Erasmus University Rotterdam

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-1)

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Il riconoscimento dell’identità di genere tra sport e non discriminazione: la vicenda di Caster Semenya


di Elena Falletti*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Caster Semenya è una atleta sudafricana diventata nota per aver vinto delle medaglie olimpiche nelle gare atletiche di mezzofondo, la sua specialità. Recentemente è stata protagonista di una importante decisione del CAS (Court of Arbitration for Sport), il tribunale arbitrale per lo sport. La questione in discussione riguarda il fatto che il corpo di Caster produce naturalmente, e non attraverso il doping, una quantità di testosterone che, secondo le altre atlete e la IAAF, le fa guadagnare un vantaggio sleale nelle competizioni atletiche. Siffatta produzione ormonale è dovuta alla sindrome che caratterizza Caster dalla sua nascita, ovvero il 46XY. Al fine di equiparare le “forze” sulla pista atletica, la IAAF ha limitato la tolleranza di 5 nanomoli di testosterone per litro di sangue per le atlete con sindrome 46XY. Caster ha sfidato questa disposizione davanti al CAS, mentre la IAAF ne ha sospeso l’applicazione. Il 1 ° maggio 2019, la Corte Arbitrale per lo Sport ha rigettato l’istanza e Caster nel frattempo ha mutato i suoi obiettivi sportivi. L’interesse di questa decisione va oltre la questione sportiva perché impone una conformità di genere anche a scapito della salute e delle qualità individuali che dovrebbero rendere unica ogni persona. Lo scopo di questo contributo è dimostrare perché la decisione del CAF non riguarda solo la salute degli atleti, ma consiste nella violazione di una barriera che deve rimanere insormontabile: il rispetto della dignità (e quindi delle caratteristiche) della persona.

 

Caster Semenya is a South African athlete famous for winning Olympic medals in the middle distance race, her specialty. She was recently the subject of a decision by the Court of Arbitration for Sport. Caster’s body naturally produces, and not through doping, a quantity of testosterone which according to her competitors and the IAAF makes her to gain an unfair advantage in athletic competitions. This hormonal production is due to the syndrome that characterizes Caster from her birth, namely the 46XY. In order to “equalize” the “forces” on the athletic track, the IAAF has set a limit of 5 nanomoles of testosterone per liter of blood on the runners who had the 46XY syndrome. Caster challenged this provision before the CAS and the IAAF suspended it for a certain period. On May 1st 2019, the Court of Arbitration for Sport rejected her claim, and in the meantime Caster changed her sport goals.The interest of this decision goes beyond the athletics matter because it imposes a gender conformity even to the detriment of the health and of individual qualities that should make each person unique. The purpose of this paper is to demonstrate why the CAF decision does not only concern the health of the athletes, but it consists of the violation of a barrier that must remain insurmountable: the respect for the dignity (and therefore for the characteristics) of the person.

 

*Ricercatrice di diritto privato comparato presso LIUC

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-1)

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Anche i rifugiati transgender hanno diritto al cambio del nome: un passo avanti nel riconoscimento dei bisogni dei richiedenti e rifugiati SOGI in ambito CEDU

di Carmelo Danisi e Nuno Ferreira *

 

Con la sua prima decisione riguardante il trattamento di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, ai sensi dell’art. 1(2) della Convenzione di Ginevra del 1951, in ragione della loro identità di genere, la Corte europea dei diritti umani (Corte EDU) ha adottato una posizione chiara a loro tutela. L’esame del caso Rana c. Ungheria (16 luglio 2020, no. 40888/17) risulta infatti fortemente ispirato tanto dal principio di eguaglianza e non discriminazione quanto dalla necessità che gli Stati europei garantiscano una protezione effettiva dei diritti sanciti nella Cedu e non illusori. L’azione dinanzi la Corte europea è stata avviata da un cittadino iraniano che, seppur nata donna, si era da sempre riconosciuto e comportato come uomo in Iran. Giunto in Europa, otteneva lo status di rifugiato in Ungheria proprio per la persecuzione temuta in base alla sua identità di genere. Poco dopo, il sig. Rana richiedeva alle autorità ungheresi competenti in materia di immigrazione di poter modificare il suo nome e il suo genere nei documenti di identità in maniera che potessero corrispondere alla sua reale identità di genere. Stabilendo che solo lo Stato di origine dei rifugiati poteva essere competente in materia di atti di nascita, le autorità ungheresi rigettavano tale richiesta. Tuttavia, chiamata a esprimersi sul caso, la Corte costituzionale ungherese intimava il legislatore di quel Paese a modificare il quadro giuridico esistente in modo da non escludere dalla procedura di modifica del nome coloro che, pur non essendo nati in Ungheria, vi risiedono. A suo avviso, tale riforma appariva necessaria per poter garantire un diritto fondamentale – quello al nome – che, specie ove segue l’affermazione di genere, ha un impatto diretto sull’identità e la dignità personale. Del resto, come aveva argomentato il sig. Rana dinanzi la Corte Edu, la mancata registrazione della nascita in Ungheria non poteva ritenersi un ostacolo insormontabile non potendo ragionevolmente essergli richiesto di rivolgersi per ottenere nuovi documenti alle stesse autorità iraniane dalle quali era fuggito.

La Corte Edu innanzitutto ribadisce come l’identità di genere costituisca un aspetto fondamentale della vita privata di un individuo, protetta (more…)

Quando l’odio (non) diventa reato. Il punto sul fenomeno dei crimini d’odio di matrice omotransfobica in Italia

di Giacomo Viggiani*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il contributo si propone di fornire un aggiornamento sul fenomeno dei crimini d’odio di matrice omotransfobica in Italia. In particolare, ci si concentrerà sulla percezione e sul contrasto di questi reati, rendendo per la prima volta noti in lingua italiana i dati raccolti all’interno di due progetti co-finanziati dalla Commissione Europea. Si farà poi il punto sugli strumenti a disposizione per la repressione di questi reati e sulla situazione dei servizi di supporto alle vittime.

The paper aims at providing an update on the phenomenon of anti-LGBT hate crime in Italy. In particular, it focuses on the awareness and tackling of these crimes, making available the data collected within two projects co-financed by the European Commission in Italian for the first time. It also takes stock of the tools available for the repression of these crimes and the situation of victim support services.

 

* Ricercatore di Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Brescia

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-1)

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“Because of … sex”: Inspirations from the European Court of Justice for the United States Supreme Court in the First Transgender Rights Case Before It

 

di Turkan Ertuna Lagrand*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Nell’estate del 2020, la Corte Suprema degli Stati Uniti si pronuncerà sul caso R.G. & G.R. Harris Funeral Homes Inc. v. Equal Employment Opportunity Commission, il primo caso relativo ai diritti dei transgender di cui la Corte sia mai stata investita. In assenza di leggi federali che proteggano le persone transgender dalle discriminazioni, la sentenza è destinata a diventare un punto di riferimento in materia, in particolare qualora la Corte dovesse rispondere affermativamente al quesito che le è stato posto, vale a dire se il Titolo VII del Civil Rights Act del 1964 proibisce le discriminazioni contro le persone transgender in base al loro status di transgender o agli stereotipi sessuali. La Corte di giustizia dell’Unione europea si è già occupata di analoga questione nel 1996, nella storica sentenza in P. c. S. e Cornwall County Council, in cui la Corte ha deciso che la Direttiva n. 76/207 del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne, che all’epoca – come oggi negli Stati Uniti – era l’unico atto legislativo disponibile, proteggeva le persone transgender da trattamenti discriminatori. Questo articolo intende offrire un contributo al dibattito sulla possibilità che il divieto di discriminare in base al sesso contenuto nel Titolo VII si applichi anche alle discriminazioni verso i transgender, analizzando la succitata pronuncia della Corte di giustizia e applicando i principi ivi utilizzati al caso pendente dinanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

In the summer of 2020, the United States Supreme Court will deliver its judgment on the first transgender rights case before it, R.G. & G.R. Harris Funeral Homes Inc. v. Equal Employment Opportunity Commission. In the lack of federal laws protecting transgenders from discrimination, the case will be a landmark, should it answer the question before it affirmatively, namely “whether Title VII [of the Civil Rights Act of 1964] prohibits discrimination against transgender people based on their status as transgender or sex stereotyping.’ The ECJ has dealt with the same issue in 1996 for its landmark decision of P. v S. and Cornwall County Council in which the European Court has decided that Council Directive 76/207 on the principle of equal treatment for men and women, which -like the US situation- was the only available piece of legislation at the time, protected transgender persons against discrimination. This paper offers a contribution to the debate around whether the prohibition contained in Title VII to discriminate “because of … sex” covers transgender discrimination by analyzing the said ECJ case, and applying the principles utilized therein to the case before the US Supreme Court.

* Senior Lecturer, Erasmus University Rotterdam

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-1)

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Transessualità e prenome d’elezione: Cass. Sez. I civ., ord. 3877/2020

di Giacomo Viggiani*

Lo scorso febbraio i supremi giudici hanno stabilito che chi avanza richiesta per la rettificazione anagrafica di sesso ex l. 164/1982 può scegliere liberamente il nuovo prenome, fatti salvi i limiti espressamente previsti dalla legge o i diritti di terzi.

La controversia trova la sua scaturigine dal ricorso presentato da O.A., la quale aveva ottenuto dalla Corte d’Appello di Torino la rettificazione anagrafica di sesso da maschio a femmina ex art. 164/1982, ma non aveva ottenuto soddisfazione in punto di onomastica. A fronte di un prenome eletto dalla richiedente la rettificazione, i giudici distrettuale avevano infatti ritenuto che la tutela dell’«interesse pubblico alla stabilità e ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche» imponesse che il mutamento non potesse essere che la femminilizzazione del prenome attribuito alla nascita. Di conseguenza, accoglieva la richiesta di rettificazione, ma altresì rigettando qualsiasi prenome che non fosse quello derivante dalla mera femminilizzazione di quello precedente.

L’interessata presentava allora gravame avanti la Corte di Cassazione, argomentando come un prenome radicalmente diverso da quello fino a ora portava non fosse – come lo aveva qualificato la Corte distrettuale – un «voluttuario desiderio», ma anzi il punto estremo di gittata dell’atto autodeterminativo iniziato con la procedura di rettificazione. Si obiettava inoltre che l’automatismo di conversione non era sempre praticabile e che doveva essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità consolidatasi. (more…)

In dubio, pro matrimonio. A proposito di due decisioni fra matrimonio, unione civile e rettificazione di sesso.

di Denise Amram*

A quasi cinque anni dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che prevedeva l’obbligo di sciogliere il vincolo coniugale in caso di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due coniugi (Corte Cost. n. 170/2014, da cui artt. 2 e 4 l. 164/1982)[1], due decisioni di merito, pubblicate a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, sollecitano una rinnovata riflessione circa i rapporti intercorrenti tra identità di genere, matrimonio e unione civile.

I casi e le questioni.

Il caso deciso da Tribunale di Brescia, terza sezione civile, decreto del 17 ottobre 2019 n. 11990 concerne un matrimonio tra due persone dello stesso sesso contratto all’estero e trascritto quale unione civile in Italia, cui segue dichiarazione di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due partner e il contestuale sopravvenire del motivo di scioglimento dell’unione ai sensi dell’art. 1, comma 26, l.n. 76/2016[2].

L’ufficiale di stato civile rifiuta la richiesta della coppia che, costretta allo scioglimento del vincolo, chiede la conversione dell’unione civile in matrimonio sulla base del dato letterale dell’art. 70 octies del d.lgs. n. 396/2000 che dispone l’iscrizione nel registro delle unioni civili del vincolo tra persone unite in matrimonio in caso di passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due coniugi, ma non il viceversa. Il Tribunale di Brescia ordina l’iscrizione del vincolo nel registro del matrimonio sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma alla luce del principio di uguaglianza.

Sulla stessa scia, si inserisce la sentenza  del Tribunale di Grosseto del 3 ottobre 2019, n. 740 che, nell’ambito di un giudizio volto ad autorizzare con sentenza non definitiva uno dei coniugi a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali da maschili a femminili, affronta la questione relativa al mantenimento del vincolo matrimoniale laddove entrambi i coniugi, con tempi diversificati, stiano procedendo alla rettificazione anagrafica del sesso. Il Tribunale di Grosseto dispone che, nell’attesa di (more…)

I minori gender variant: aspetti e punti di vista – IL FOCUS di GenIUS

Pubblichiamo la anticipazione del FOCUS su I minori gender variant: aspetti e punti di vista dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

 

 

Nel FOCUS:

Storia di una bambina che fin da piccola ha mostrato gusti, atteggiamenti e modi di fare associati, nell’immaginario, a un bambino
Silvia Manzani

Minori Gender Variant: il ruolo che un’Azienda Sanitaria può (deve?) svolgere
Fulvia Signani, Nicoletta Natalini, Claudio Vagnini

Transfobia e pressione sociale
Paolo Valerio, Cristiano Scandurra, Fabrizio Mezza

La presa in carico psicologica di minori con sviluppo d’identità di genere atipico
Jiska Ristori, Francesca Mazzoli

La presa in carico di minori con sviluppo atipico dell’identità di genere – adolescenza
Daniela Anna Nadalin

La ricerca pubblica attenta alle identità di genere
Marina Pierdominici, Matteo Marconi, Maria Teresa Pagano, Paola Matarrese

Benefici e Rischi nel Trattamento Farmacologico con Triptorelina nella Disforia di Genere
Katia Varani, Fulvia Signani

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International Classification of Diseases (ICD-11). Sexual disorder chapter’ rephrase: the transgender Issue

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

di Benedetta Cappiello*

La tendenza a creare sistemi di catalogazione ha coinvolto anche il campo medico. La prima classificazione delle malattie risale al 1893 e dalla seconda metà del ‘900 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha ricevuto il compito di tenerla aggiornarla. Prima “del come” (catalogare) occorre però decidere “il cosa” e ciò merita attenzione qualora si tratti di aspetti legati alla sfera sessuale. Si tratta infatti di una scelta non solo giuridica, ma anche sociologica e politica. Con specifico riguardo a questo aspetto, la riformulazione dell’ICD è interessante poiché include i transgender nel capitolo sui disturbi sessuali non più in quello delle malattie mentali. La decisione arriva al termine di un lungo processo che ha coinvolto le Istituzioni, internazionali ed europee, in uno alle corti di giustizia, e merita di essere scrutinato, in particolare per le conseguenze che potranno derivarne.

The trend to shape system of cataloging, universally recognized, has also involved medical field. The first diseases’ classification dates back to 1893 and in the second half of 20th century the World Health Organization received the task of keeping it up to date. Before dealing with the “how” (to catalog) it is necessary to decide the “what” and this aspect deserves particular attention when it concerns sexual related aspects. These latter require not only a juridical choice, but also a sociological and political one. In this regard, ICD’ rephrase is interesting because it has qualified transgender’ issue as a sexual disorder, thus excluding it from chapter on mental illnesses. This decision comes at the end of a long process that has involved Institutions, international and European, and courts and it deserves to be scrutinized, in particular for the consequences that may trigger with it..

*Assegnista di ricerca in Diritto internazionale, Università degli studi di Milano
(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco, pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-1)

 

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La Corte costituzionale austriaca impone l’immediato riconoscimento del terzo genere

di Francesca Brunetta d’Usseaux*

Le persone intersessuali hanno diritto di ottenere una registrazione anagrafica “adeguata” alla loro identità sessuale: così titola il comunicato ufficiale della Corte Costituzionale austriaca dello scorso giugno.

Già a marzo di quest’anno i giudici avevano reso nota la propria intenzione di voler valutare la legittimità costituzionale del § 2, comma 2, riga 3 del Personenstandsgesetz del 2013, ovvero di quella disposizione della legge austriaca sullo stato civile, che indica il sesso, insieme ad esempio al nome o alla data di nascita, tra i dati personali cd. generali che devono essere inseriti nell’atto di nascita. Il contesto era quello del ricorso intentato da una persona intersessuale contro il rifiuto opposto dalle autorità amministrative e poi avallato anche dai giudici amministrativi, alla sua richiesta di correzione della relativa registrazione, limitata, per lo meno fino a quel momento, alla scelta tra “maschile” e “femminile”.

Facendo leva sul potere attribuito alla Corte dall’art. 140 del Bundes-Verfassungsgesetz, in virtù del quale questa può decidere di sottoporre a controllo di legittimità costituzionale una disposizione, qualora rilevante nel contesto di una causa pendente, i giudici si interrogano se la disciplina austriaca sia o meno compatibile con l’art. 8 della CEDU ed è proprio muovendo dalla tutela del diritto della personalità, nelle sue declinazioni di “identità, individualità e integrità”, che inferiscono il diritto di rifiutare un’attribuzione di genere che non sia corrispondente alla propria identità sessuale. L’indicazione dell’appartenenza di genere nelle registrazioni anagrafiche non è un obbligo imposto dalla Costituzione, ma si riconduce alla discrezionalità del legislatore, il quale, una volta effettuata quella scelta, deve assicurarsi che le modalità di attuazione rispettino le condizioni richieste dall’art. 8 CEDU. Ciò è tanto più necessario, sostiene la Corte, riprendendo peraltro la sentenza della Corte Costituzionale tedesca dell’ottobre dello scorso anno, perché si tratta di un aspetto centrale della persona, una caratteristica che la Corte non esita a definire “identitätsstiftend” fondante l’identità dell’essere umano.

Se fino a questo punto la disamina sembrerebbe preludere (more…)

Intersessualismo e “terzo sesso”: la rivoluzione copernicana della Corte costituzionale tedesca

  1. Con una sentenza, a dir poco rivoluzionaria nel pensiero giuridico occidentale, il Bundesverfassungsgericht, una delle corti costituzionali più autorevoli e influenti al mondo, decreta l’illegittimità della legge anagrafica tedesca nella parte in cui non consente, alle persone che lo richiedano, la iscrizione nello stato civile come appartenenti a un “terzo sesso”, distinto da quello maschile e femminile. Facilitati nel loro compito dalla previsione, secondo la recente riforma della legge sull’anagrafe del 2013, della possibilità di iscrizione nello stato civile senza indicazione del sesso, giudici di Karlsruhe fanno un passo avanti ritenendo che oltre alla indicazione della persona come “maschio” o “femmina” o come “non appartenente ad alcun sesso” debba considerarsi la iscrizione come appartenente ad un “terzo sesso”, se tale “positiva indicazione” corrisponde all’effettiva percezione soggettiva del genere. I giudici rilevano, invero, che il legislatore è libero di registrare o meno il sesso all’anagrafe, e di ascrivervi conseguenti effetti giuridici, ma che una volta scelto di iscrivere nello stato civile il sesso della persona, è discriminatorio non dare positiva annotazione della appartenenza ad un terzo sesso di coloro che sentono tale annotazione come corrispondente al proprio sesso effettivo. Secondo la Corte, infatti, “che il Costituente, nel 1949, nel formulare l’articolo 3, comma 3 prima frase della Costituzione potesse avere a mala pena in vista persone di un ulteriore sesso, non impedisce l’interpretazione costituzionale che queste persone, alla luce delle conoscenze odierne su ulteriori identità sessuali, siano incluse nella tutela contro le discriminazioni”. Attesa la pluralità di soluzioni, fra cui in astratto persino la cancellazione tout court del sesso nelle iscrizioni anagrafiche, il legislatore tedesco ha ora tempo sino al 31 dicembre 2018 per l’adozione di una nuova normativa.

Presentiamo la traduzione della parte motiva della sentenza ad opera di Roberto de Felice (con un breve resoconto dello svolgimento del processo) preceduta da un primo commento a caldo della prof. Francesca Brunetta d’Usseaux.

 

 

La Corte Costituzionale tedesca dichiara l’illegittimità costituzionale della legge sullo stato civile

di Francesca Brunetta d’Usseaux*

Il 10 ottobre scorso la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che prevedere, al momento della registrazione anagrafica, solo la scelta tra le voci “femminile“ e “maschile”, offrendo come unica alternativa l’omissione dell’indicazione del sesso (e non anche una terza esplicita denominazione), viola sia il diritto generale della personalità (ex Art. 2, comma 1 in combinato disposto con l’Art. 1, comma 1 Grundgesetz), sia il principio di non discriminazione (ex Art. 3, comma 3 GG).

La ricorrente, affetta dalla sindrome di Turner, si era rivolta ai giudici chiedendo di poter correggere l’iscrizione “di sesso femminile”, riportata nel registro delle nascite, sostituendo ad essa quella di “inter/diverso” o “diverso”. La Corte di primo grado (AG Hannover 13 ottobre 2014 -85III 105/14) aveva rigettato la richiesta, semplicemente affermando che tale possibilità non era prevista dalla legge. La ricorrente avrebbe al massimo potuto ottenere la cancellazione dal registro della dizione “femminile”. La decisione era stata confermata in secondo grado (OLG Celle, sentenza del 21.1.2015 – 17 W 28/14) ed infine anche dalla Corte di Cassazione Federale (BGH), la quale con sentenza del 22 giugno 2016 (XII ZB 52/15), occupandosi per la prima volta della questione dell’inserimento nel registro di stato civile di dati che si collocano di fuori del sistema sessuale binario, aveva rigettato l’istanza. Il legislatore tedesco, accogliendo con il Personenstandgesetz del 1.11.2013 (modificato poi nel 2014) la soluzione binaria, da un lato avrebbe riconosciuto l’intersessualità, dall’altro avrebbe optato per una soluzione costituzionalmente legittima. Infatti, se è vero che l’identità sessuale di una persona è tutelata dal diritto generale della personalità, è anche vero che al legislatore spetta un margine di apprezzamento circa la scelta della miglior soluzione da adottare. L’esplicita previsione di un sesso ulteriore, rispetto a quello maschile e femminile costituirebbe certo una possibile opzione, che però avrebbe inciso in maniera eccessiva su interessi ordinamentali dello Stato, a fronte di un’incertezza ancora esistente circa il modo migliore per affrontare la tutela delle persone intersessuali.

Stante la chiusura della giurisprudenza (more…)

La rettificazione anagrafica del sesso e l’intervento medico-chirurgirco tra istanza personale e certezza sociale

di Ilaria Rivera*

1. La sentenza n. 2176 del 2017 del Tribunale di Bologna e la facoltà di ricorrere all’intervento medico-chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica del sesso

Con la sentenza n. 2176/2017 del 7 giugno 2017 il Tribunale di Bologna, sezione I civile, autorizza congiuntamente la rettificazione anagrafica del sesso richiesta dalla parte attrice e la sottoposizione ad intervento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali primari.

La pronuncia ricostruisce previamente il quadro normativo nazionale entro cui si inserisce la vicenda in esame, che trova la principale fonte di sviluppo nella legge n. 164 del 1982[1], che, ai sensi dell’art. 1, stabilisce che la rettificazione anagrafica del sesso debba aversi sulla base dell’accertamento giudiziale, passato in giudicato, che attribuisca alla persona interessata un sesso diverso da quello attribuitegli all’atto di nascita a seguito delle intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali.

Tale norma, ad ogni modo, va letta in combinato disposto con il successivo art. 3, attualmente confluito nell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, a mente del quale il tribunale autorizza il trattamento medico-chirurgico “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali”.

Ad un’analisi sommaria delle disposizioni sopra richiamate, sembrerebbe emergere che la regola riposa nella necessità di sottoporsi, al fine dell’ottenimento della rettificazione anagrafica del sesso, all’intervento medico-chirurgico modificativo o demolitorio dei caratteri sessuali primari, che potrebbe escludersi solamente nell’ipotesi in cui risultasse sufficiente il trattamento medico ormonale.

Con un’operazione ermeneutica originale e – in buona misura – ragionevole, il giudice bolognese riconosce la facoltà e non già la necessità del trattamento chirurgico come precondizione della rettificazione anagrafica del sesso, innanzitutto sulla base del dettato letterale della legge, il cui art. 1 non specifica in alcun modo se il riferimento sia ai caratteri sessuali primari e sessuali ma soprattutto non implica lo stretto richiamo ai soli caratteri sessuali primari, perché anche i caratteri secondari potrebbero essere suscettibili di interventi modificativi, anche incisivi. In secondo luogo, proseguendo nel ragionamento, si escluderebbe la necessità del trattamento chirurgico anche in ragione dell’evoluzione della società, della progressione delle innovazioni scientifiche e, soprattutto, della modificazione degli stilemi culturali relativi alle questioni attinenti al transessualismo. (more…)