Corte di Appello di Catania, prima sezione civile, sentenza del 14 luglio 2010
nella causa iscritta al n, 1584/2008 RG
promossa da
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, e Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura dello Stato;
Appellanti
contro
G., nato a Catania xx, c.f. xx, elettivamente domiciliato in Catania Via xx nello studio dell’avv.to Giuseppe Lipera che rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione nel nome del nuovo procuratore del giudizio di primo grado;
Appellato-appellante incidentale
avente ad oggetto: azione di condanna
All’udienza del 7 maggio 2010 le parti precisavano come in atti. La Corte, indi, poneva la causa in decisione previa assegnazione dei termini, se pur ridotti, per lo scambio delle memorie conclusive.
Svolgimento del processo
Con l’atto di citazione notificato in data 25 gennaio 2002 M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, ed esponeva:
che in data 12 maggio 2001 esso attore aveva dichiarato all’Ospedale Militare di Augusta, ove era stato sottoposto a visita medica di leva, di essere omosessuale:
che a seguito di siffatta dichiarazione era stato esonerato dal servizio;
che il successivo 1 ottobre 2001 gli era stato indi notificato da parte dell’Ufficio della Motorizzazione Civile di Catania il provvedimento di revisione della patente di guida, per vero all’epoca di già rilasciata, predisponendosi un nuovo esame di idoneità psicofisica;
che siffatta convocazione era stata disposta stante che l’Ospedale Militare di Augusta aveva ritenuto di comunicare, proprio alla stregua della dichiarata identità sessuale, la mancanza dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta degli automezzi;
che, così facendo, entrambe le amministrazioni avevano violato la legge sulla privacy, laddove, in ogni caso, la vicenda si caratterizzava come un tipico atto di discriminazione sessuale,
Tanto premesso, chiedeva condannarsi gli enti pubblici convenuti al risarcimento del danno morale nella misura di €, 500.000,00.
Integratosi il contraddittorio, si costituivano, epperò tardivamente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, specificata mente chiedendo, in via pregiudiziale, la sospensione del procedimento ex art. 295 cpc per avere il M. nelle more impugnato il provvedimento n. 1195/19 del 19 settembre 2001 a mezzo del quale l’Ufficio della Motorizzazione Civile di Catania aveva disposto la visita medica collegiale, all’uopo rilevando che tal decisione giurisdizionale implicava rilevanti riflessi sull’incoato procedimento. Nel merito, chiedevano, poi. il rigetto della domanda si come infondata in fatto ed in diritto.
Nel mentre, M. si costituiva nel nome del nuovo procuratore.
Con la sentenza n. 2997/2008, emessa in data 2 luglio 2008, l’adito Tribunale accoglieva la domanda e condannava gli enti convenuti, in solido tra di loro, al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni
morali, della complessiva somma di €. 100.000,00 oltre agli interessi legali dalla sentenza al soddisfo. Condannava, altresì, i convenuti alla refusione delle spese processuali.
Avverso detta sentenza, con atto di citazione notificato in data 6 ottobre 2008, proponevano appello il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, per i seguenti specifici motivi:
(1) essere privo di legittimazione passiva esso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti stante l’intervenuto conferimento, con il D.Lgs. 296/2000, alla Regione Sicilia di qualsivoglia attribuzione e competenza in materia di motorizzazione civile;
(2) la legittimità dell’assunto comportamento: di esso Ministero della Difesa per avere agito, non già per ragione di discriminazione sessuale, bensì per l’accertata patologia d’ordine psicologico diagnosticata al m. in esito alla visita di leva, sì come peraltro attestato dalla disposta riforma dal servizio militare per “parafilie e disturbi della identità in genere”; di esso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per avere conseguentemente disposto la visita medica collegiale al precipuo fine dì accertare le condizioni di idoneità alla guida; 3) la debenza della comunicazione ai sensi e per gli effetti degli 119 Nuovo Codice della Strada ed artt. 319/320 del relativo artt.
Regolamento di esecuzione ed attuazione;
(4) l’insussistenza di qualsivoglia violazione della legge sulla
privacy;
(5) l’insussistenza di qualsivoglia pregiudizio d’ordine morale
stante che la patente di guisa non è stata giammai revocata, comunque liquidato in violazione dei necessari parametri di adeguatezza ed equità.
Chiedevano, per l’effetto, ad integrale accoglimento del mezzo di gravame, la riforma dell’impugnata statuizione con il rigetto della domanda attrice di danni.
Integratosi ritualmente il contraddittorio, si costituiva M., il quale chiedeva il rigetto dell’appello ed, in via incidentale, riformarsi la sentenza di primo grado in punto di qantum riconosciuto, si come inidoneo a ricomprendere il danno morale occorso.
La causa, sulle conclusioni delle parti precisate come in atti, veniva posta in decisione all’udienza collegiale del 7 maggio 2010, previa concessione dei termini, epperò ridotti, per lo scambio delle comparse conclusionale e delle repliche.
Motivi di diritto
Ritiene la Corte inammissibile il primo motivo di gravame principale, esattamente quello a mezzo del quale è dedotta la carenza di legittimazione passiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sul rilievo che, con il D.Lgs. 296/2000, lo Stato ha conferito alla Regione Sicilia qualsivoglia competenza in materia dì motorizzazione civile, dunque, proprio quelle attribuzioni l’esercizio illegittimo delle quali si assume essere stato fonte di danno ingiusto. Poche parole per osservare che, a ben vedere, l’eccezione afferisce, non già alla legitimatio ad causam, bensì alla titolarità passiva del rapporto litigioso, cioè alla identificabilità o meno del Ministero appellante come soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall’attore. Essa, dunque, è questione che comporta la disamina e la decisione attinente al merito della controversia di guisa che, contrariamente a quanto dedotto, non è rilevabile d’ufficio, tanto meno in ogni stato e grado del giudizio, ma deve essere sollevata, epperò tempestivamente, dalla parte interessata, in ogni caso soggetta alla ordinaria disciplina dell’onere probatorio. A differenza, cioè, della carenza di legittimazione passiva – certamente rileva bile d’ufficio, salvo il limite del giudicato eventualmente formatosi – il difetto dell’effettiva titolarità attiva del rapporto giuridico è rimesso al potere dispositivo delle parti, le quali sono tenute a dedurlo nei tempi e modi previsti per le eccezioni, rectius, nella vigenza del sistema novellato dalla legge n. 353 del 1990, ratione temporis applicabile, nel termine assegnato dal giudice per la Proposizione, da parte del convenuto, delle eccezioni non rilevabili d’ufficio (specificata mente, Casso 3 giugno 2009 n. 12832 e Casso 15 settembre 2008 n. 23670; in generale, per la differenza tra la legittimatio ad causam e l’eccezione in punto di tìtolarità del rapporto e del conseguente differente regime processuale, cfr., fra le tante, Casso 16 maggio 2007 n. 11321 – Casso 24 marzo 2004 n. 5912 – Casso 22 novembre 2002 n. 16492 – Casso 18 agosto 2003 n. 12091). E ciò è quanto è mancato nella fattispecie in esame stante che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti risulta avere proposto per la prima volta
l’eccezione soltanto con l’interposto mezzo di gravame: tanto basta per dichiarare inammissibile in parte qua l’impugnazione.
Infondato è, d’altra parte, il secondo motivo di impugnazione con il quale si censura l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale per avere ritenuto la condotta assunta dal Ministero della Difesa inficiata da ragioni di discriminazione sessuale.
Per meglio argomentare è .dato di richiamare il fatto: M., sottoposto a visita di revisione dell’esame di idoneità alla leva, dichiara di essere omosessuale e, così, viene giudicato non idoneo dall’Ospedale Militare di Augusta a svolgere il servizio di leva obbligatorio, in quanto affetto da “disturbo dell’identità sessuale”. In seguìto, l’Ospedale;) Militare comunica alla Motorizzazione Civile di Catania che il M., a causa del disturbo diagnosticato, risulta “non essere in possesso dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per /a condotta di automezzi”. Pertanto, la Motorizzazione dispone la revisione della patente di guida ai sensi dell’art. 128, d.lgs. n. 285/1992 e sottopone il M. alla visita medica collegiale, che ne riconosce la idoneità al possesso del titolo solo per un anno.
Ora si ponga attenzione ai parametri normatìvi di riferimento, in particolare, al regolamento recante norme iri materia di accertamento dell’idoneità a/ servizio militare approvato con DM 4 aprile 2000, n. 114, in attuazione dell’art. 1, comma 5, della legge 20 ottobre 1999, n. 380, per vero contenente l’allegato elenco delle imperfezioni e delle infermità, causa di non idoneità al servizio militare: tra quelle rubricate come infermità psichiatriche, la lettera i) dell’art. 16 – per l’appunto, la fattispecie normativa regolamentare richiamata dal Ministero della Difesa per la dichiarazione di non idoneità al servizio di leva del M. – contempla “le parafilie e i disturbi dell’identità di genere” e, nel settore di siffatta patologia, il comportamento sessuale viene preso in
considerazione “qualora dovesse determinare situazioni cliniche di sofferenza soggettiva o di disfunzionamento re/azionale o sociale (disadattamento, disturbi d’ansia, distimici, etc.) oppure qualora sia espressione sintomatica di disturbi psichiatrici primari, per i quali si applicherà il comma relativo al disturbo accertato”.
Dunque, come è del tutto ovvio nell’ambito di un ordinamento giuridico nel quale è riconosciuta come condizione dell’uomo, degna di tutela in conformità ai precetti costituzionali, la libertà di vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali (Cass. 25 luglio 2007 n. 16417), l’omosessualità non costituisce di per sé stessa un disturbo della sessualità, tanto meno psichiatrico, e solo se implica specifiche inferenze patologiche può essere rilevante nella piena esplicazione della vita civile, per stare alla fattispecie in esame, l’assolvimento dell’obbligo della leva come la legittimazione alla guida degli autoveicoli.
Ebbene, ciò posto in punto di diritto, va affermato che proprio riguardo alle condizioni psicofisiche del M. si annida la confusione e, conseguentemente, l’errore inficiato da colpa in cui è incorso il Ministero della Difesa: come ben ha scritto il Giudice di primo grado, sul punto richiamando le identiche conclusioni assunte dal TAR Catania con la sentenza 28/10 — 7/12/2005 che ha annullato il provvedimento di revisione della patente di guida n. 1195/1 9 del 19 settembre 2001, dalla documentazione sanitaria in atti e dagli stessi accertamenti spiegati dall’autorità militare medica, non è dato di ascrivere all’odierna parte appellata alcuna specifica patologia, essendosi di contro dato atto della “assenza di turbe del pensiero e della percezione” (cartella clinica militare) nonché del pieno possesso delle capacità cognitive e del funzionamento psichico consono all’età (valutazione psicologica USL 3 di Catania), solo essendosi rilevato, sul versante emotivo, un’affettività “non ancora matura ed adattata” dalla quale traspaiono “sentimenti di fragilità ed insicurezza e timori di contatto con l’ambiente” (ancora la detta valutazione psicologica). Sicchè, se Marinferm Augusta ha egualmente ritenuto di attestare la mancanza dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per la. condotta degli automezzi, ciò lo ha fatto valorizzando il dichiarato stato di ‘omosessuale, per tal via elevando l’identità sessuale a pretesto di un trattamento deteriore e lesivo della dignità della persona umana, nel chè, per l’appunto, consiste la denunziata discriminazione sessuale.
Vi è, poi, un ulteriore profilo di colpa ascrivibile al Ministero della Difesa, esattamente quello afferente alla intervenuta violazione della normativa sulla privacy. E’ noto che, a tenore della normativa già vigente all’epoca dei fatti (art. 22 L. 1996 n. 675), i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale del cittadino possono essere
oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante, laddove, poi, per stare al caso specifico, il trattamento di siffatti dati da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, “è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite”. Ora, certo che sia che il trattamento di cui alla richiamata fattispecie normativa è integrato dalla comunicazione in qualunque forma effettuata (art. 1 comma 2°, letto G della L. 675/1996), è proprio con la nota rimessa alla Motorizzazione Civile di Catania che il Ministero della Difesa è incorso nella denunziata violazione. Vi è, invero, che le disposizioni di legge richiamate a fondamento del disposto trattamento dei dati afferiscono all’istruttoria amministrativa funzionale al rilascio della patente di guida essendo, nello specifico, statuito (art, 11 9 Nuovo Codice della Strada) che gli accertamenti dei requisiti fisici e psichici per il conseguimento della patente possono essere svolti, fra gli altri, da medici militari in servizio permanente effettivo, epperò, al contempo, che, in ipotesi di dubbie risultanze, il giudizio di idoneità va demandato alla competenza della commissione medica locale (art. 319 Regolamento di esecuzione). E’ siffatto quadro normativa di riferimento che il Ministero della Difesa adduce a fondamento e giustificazione della disposta comunicazione, peccato, però, che l’ambito di svolgimento delle funzioni mediche nella dedotta fattispecie è tutt’affatto diverso, non essendosi trovato Marinferm Augusta a dovere accertare in capo a M.le condizioni psicofisiche per il rilascio della patente di guida bensì, ben diversamente, a verificare lo stato di idoneità condizionante l’avviamento alla leva militare, l’esito dei cui accertamenti avrebbe dovuto essere limitato, dunque, alle sole procedure di reclutamento. E tale è la ragione per la quale va ulteriormente sanzionato di illiceità il comportamento del Ministero della Difesa, laddove è venuto a “trattare” i dati afferenti all’identità sessuale del M. in assenza di qualsivoglia patologia ed in mancanza di specifica disposizione di legge autorizzativa.
Con il chè si viene a rigettare il terzo ed il quarto motivo di gravame principale ed, al contempo, ad affermare, con la statuizione impugnata, la concorrente responsabilità civile del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che pure ha violato la richiamata legge sulla privacy per avere utilizzato, nello specifico, i dati acquisiti da Marifnfern Augusta senza verificare la legittimità delle informazioni assunte, per tal via disponendo la convocazione di M. innanzi alla commissione medica provinciale per la verifica delle condizioni psicofisiche di idoneità alla guida.
Acclarata che sia la responsabilità civile di entrambi i Ministeri appellati, resta da esaminare la censura che investe la liquidata misura del danno morale. Sul punto, ritiene la Corte di dovere accogliere, nei limiti di cui infra, il motivo di gravame, apparendo esorbitante, oltre che del tutto privo di riscontro motivazionale, la somma di €. 100.000,00 riconosciuta dal Giudice di primo grado. Se, infatti, in materia di danno morale, la concreta liquidazione non può che essere rigidamente equitativa, vi è però che il ricorso a indici valutativi schematizzati non esime il giudice dall’operare la necessaria personalizzazione del risarcimento al precipuo fine di tendere al concreto adeguamento del ristoro al fatto lesivo patito. Ebbene, quanto al caso di specie, esclusa che sia la rilevanza del grado di colpa dei soggetti danneggianti, i parametri cui rapportare il chiesto risarcimento involgono innanzitutto la considerazione che l’acclarato atto di discriminazione sessuale, e la concorrente violazione della legge sulla privacy, si sono risolte unicamente nell’apertura della procedura di revisione della patente di guida mediante la convocazione del M. innanzi alla commissione medica provinciale per la verifica delle necessarie condizioni di idoneità psicofisica. Senonchè, è decisiva la considerazione che la patente di guida non risulta giammai revocata e che la stessa visita ha certificato la sussistenza delle condizioni di idoneità, se pur limitandole, senza specificazione di alcuna patologia, ad un anno. Vi è, poi, che l’illegittima diffusione dei dati afferenti all’identità sessuale è rimasta circoscritta ad un ambito assai ristretto, esattamente costituito da una commissione medica peraltro tenuta nei suoi componenti al segreto professionale, comunque composta da professionalità capaci di valutare le implicazioni della vicenda. Non vi è stato, dunque, pubblico ludibrio e la vicenda si è dipanata per via affatto riservata, come dedotto dalle pubbliche amministrazioni appellanti e non contestato dalla difesa di parte appellata. Di converso, però, la qualità di pubblica autorità della commissione cui è stato costretto a comparire ha certamente aggravato
le sofferenze psichiche indotte dal discriminante controllo di idoneità, non foss’altro che per la giovane età (appena 20 anni) e per le documentate induce l’adita Corte a ridimensionare la misura delle sofferenze psicofisiche ingiustificate pure inflitte a M. , e ciò per la singolarità e l’unicità della convocazione e l’ambito assai ristretto e professionale della diffusione. Si ritiene equo, per tali ragioni, riconoscere la chiesta indennità risarcitoria in complessivi E. 20.000,00, in moneta attuale. Con il che si viene ovviamente a rigettare l’unico motivo di gravame incidentale proposto da parte appellata, per vero afferente alla ritenuta esiguità del danno liquidato in primo grado: la misura riconosciuta dal Tribunale, lungi dall’essere modesta, va ritenuta spropositata, tanto più in mancanza di qualsivoglia elemento specifico di sofferenza giammai addotto dalla difesa del M..
L’assai consistente ridimensionamento della pretesa risarcitoria, come originariamente esercitata, giustifica il riconoscimento del diritto alla refusione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio in capo a M. , epperò nella sola misura di 1/2, ricorrendo giusti motivi per compensarne la restante porzione. La misura liquidata in dispositivo è rapportata al minor al valore del diritto, sì come riconosciuto.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Catania Prima Sezione Civile, definitivamente pronunziando in grado di appello nella causa RG.
1584/2008, così statuisce in riforma della sentenza n. 2997/2008 emessa dal Tribunale di Catania in data 2 luglio 2008:
Condanna il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, in solido tra di loro, al pagamento, in favore di M., a titolo di risarcimento dei danni, della somma di €. 20.000,00. Gli interessi al tasso legale come liquidati in primo grado. Compensa tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio nella misura di metà.
Condanna il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi ministri pro tempore, in solido tra di loro, alla refusione, in favore di M., della restante porzione di spese processuali che si liquidano in parte qua, quanto al giudizio di primo grado, in
complessivi €. 2.900,00, in essi compresi €. 400,00 per esborsi, €. 1.000,00 per diritti ed €. 1.500,00 per onorario, e, quanto al presente grado di giudizio, in complessivi €. 2.000,00, in essi compresi €. 1.000,00 per diritti ed €. 1.000,00 per onorario, oltre iva, cpa e spese generali.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio della Prima
Sezione Civile della Corte di Appello il 14 luglio 2010