Una prima analisi delle motivazioni del Tribunale costituzionale spagnolo (sentenza n. 198 del 6 novembre 2012)
(di Marco Gattuso)
I parametri costituzionali
Il Tribunal Constitucional rigetta il ricorso con il quale era stata impugnata la Legge n. 13 del 2005 osservando, innanzitutto, come tutte le motivazioni del ricorso debbano essere ricondotte sostanzialmente all’unico motivo attinente alla ritenuta violazione dell’articolo 32, I comma della Costituzione spagnola il quale stabilisce che «El hombre y la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad jurídica»[1].
Il tribunale esclude che la normativa che ha aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso abbia comportato una modificazione della immagine del matrimonio tale da mutarne radicalmente la natura.
Il tribunale rileva come nel 1978, data di promulgazione della nuova Costituzione spagnola, il Legislatore costituzionale avesse inteso regolamentare l’istituto del matrimonio avendo particolare riguardo alla necessità di proclamare il principio di eguaglianza tra i coniugi in seno a tale istituzione, oltre che di costituzionalizzare gli istituti della separazione e del divorzio. Il Tribunale esclude, invece, che il Legislatore costituzionale avesse affrontato in alcun modo la questione dell’orientamento sessuale dei nubendi e che avesse intenso escludere il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Pur essendo evidente che il Legislatore del 1978 non ebbe la volontà d’estendere l’esercizio del diritto anche alle unioni omosessuali, dal punto di vista d’una stretta interpretazione letterale l’articolo 32 si limita comunque ad identificare i titolari del diritto di contrarre matrimonio senza specificare con chi i medesimi siano legittimati a perfezionare il vincolo. Secondo la giurisprudenza costituzionale spagnola, il diritto al matrimonio deve essere visto come diritto a titolarità individuale ma non ad esercizio individuale poiché non può esservi matrimonio senza mutuo consenso e poiché il vincolo matrimoniale genera in capo ai coniugi una pluralità di diritti e doveri ope legis. Il Tribunale evidenzia come la nuova redazione del codice civile introdotta dalla legge 13/2005 attenga all’esercizio del diritto e non alla sua titolarità. Non siamo innanzi ad un ampliamento dell’elenco dei titolari del diritto individuale, ma siamo innanzi ad una modifica delle forme del suo esercizio.
Interpretazione evolutiva: un albero vivente
Il Tribunale costituzionale spagnolo esclude che si possa dare luogo ad una interpretazione strettamente “originalista” della Costituzione. Richiamando la celebre espressione utilizzata dalla Corte suprema del Canada nel 1930 e richiamata dalla stessa Corte canadese nella sentenza del 9 dicembre 2004 sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, il Tribunale spagnolo afferma che la Costituzione deve essere vista come un albero vivente. Secondo il Tribunale, il testo costituzionale per sua natura contiene grandi principi che devono applicarsi a condizioni che i suoi redattori neppure immaginarono, così che i poteri pubblici e lo stesso Tribunale costituzionale sono chiamati ad attualizzare tali principi e a conferire alle norme un contenuto che permette di leggere il testo costituzionale alla luce dei problemi contemporanei e delle esigenze della società attuale.
Si pone dunque la questione se il matrimonio, così come risulta adesso sulla base della regolamentazione impugnata, continui ad essere riconducibile alla nozione di «matrimonio» quale emerge nel contesto socio giuridico attuale. Ritiene il Tribunale che in conseguenza delle riforme introdotte dalla legge impugnata, la istituzione matrimoniale si mantenga in termini perfettamente riconoscibili nell’immagine che, attraverso un’evidente evoluzione, la società spagnola attuale ha del matrimonio, come «comunità di affetto che genera un vincolo, o società di mutuo aiuto tra persone che si trovano in identica posizione nel seno di tale istituzione e che volontariamente decidono di unirsi in un progetto di vita familiare comune»[2].
L’unica differenza che può rinvenirsi fra l’istituzione matrimoniale precedente e quella successiva alla legge del luglio 2005 attiene al genere dei due contraenti. Si tratta allora di verificare se, alla luce degli elementi che conformano la nostra cultura giuridica, tale elemento rende o meno il matrimonio irriconoscibile.
Cultura giuridica
Tra gli elementi che conformano la nostra cultura giuridica, il Tribunale indica innanzitutto il diritto comparato, dando specifica elencazione delle nazioni di affine civiltà giuridica che hanno già introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso alla data di deposito della sentenza, e l’evoluzione del diritto internazionale, rammentando la recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che con la decisione Schalk e Kopf c. Austria del 24 giugno 2010 ha riconosciuto come dalla lettera dell’articolo 12 della Convenzione non possa desumersi l’impossibilità di introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ne consegue che l’evoluzione verificatasi nel diritto comparato e nel diritto europeo dei diritti umani ha messo in evidenza l’esistenza di una nuova “immagine” del matrimonio via via più estesa, seppure non uniforme, per cui nel mondo occidentale si deve oggi prendere atto d’una concezione plurale del matrimonio.
Il Tribunale, inoltre, sottolinea l’evoluzione della realtà sociale, dando specifico conto dei dati statistici (in particolare gli esiti dell’Eurobarometro) che attestano come si sia consolidato negli ultimi anni nell’opinione pubblica un consenso maggioritario con riguardo all’apertura del matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso.
Anche la dottrina, secondo il Tribunale, pur non esprimendo una posizione unanime, evidenzia una tendenza crescente a riconoscere che l’integrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nell’istituzione matrimoniale è una realtà suscettibile d’essere assunta nella nostra cultura giuridica.
Infine, il Tribunale evidenzia come le modifiche legislative introdotte dalla legge del 2005 non hanno prodotto alcuna disfunzione nell’istituzione matrimoniale, né con riguardo al regime economico, né all’ordine successorio, né agli aspetti personali né, tantomeno, nell’ambito del diritto pubblico avuto riguardo ai destinatari delle norme concernenti il regime tributario, le prestazioni di sicurezza sociale, le norme del sistema penale ecc…
Il Tribunale conclude quindi che la legge 13/2005 ha modificato l’istituzione matrimoniale in modo conforme alla nostra cultura giuridica senza renderla in assoluto irriconoscibile rispetto all’immagine che tale istituzione ha nella società spagnola contemporanea.
Diritto costituzionale al matrimonio
Nella sentenza n. 222/1994 il Tribunale aveva ritenuto che si dovesse ammettere la piena costituzionalità del “principio eterosessuale” come principio qualificante del vincolo matrimoniale così come previsto dal codice civile; secondo il Tribunale del 1994, i poteri pubblici possono assicurare una tutela privilegiata all’unione familiare costituita da uomo e donna rispetto all’unione omosessuale, oppure possono stabilire un sistema di equiparazione attribuendo ai conviventi omosessuali gli stessi diritti della coppia coniugata, come propugnato dal Parlamento europeo.
Nella decisione del 2012, il Tribunale esclude tuttavia che la sentenza del 1994 possa intendersi come consacrazione costituzionale dell’eterosessualità del matrimonio. Da tale decisione può desumersi, infatti, soltanto che il principio di eterosessualità del matrimonio è opzione valida per il legislatore e, per altro verso, che un’eventuale regolazione della convivenza more uxorio tra omosessuali ha copertura costituzionale.
Libertà matrimoniale
Il tribunale si chiede se la legge impugnata limiti in qualche modo l’esercizio del diritto da parte delle persone eterosessuali nelle stesse condizioni in cui lo esercitavano anteriormente. Con riguardo a tale questione, il tribunale ha dunque buon gioco nel rilevare che la regolamentazione che consente l’esercizio del diritto da parte delle persone omosessuali non tocca in alcun modo il contenuto essenziale del diritto, non lo altera, non lo converte in altro diritto, non impedisce alle coppie eterosessuali di sposarsi liberamente o di non sposarsi: le persone eterosessuali non hanno visto ridurre in alcun modo la loro sfera di libertà.
Posto che la riforma si inserisce in una tendenza verso l’equiparazione dello statuto giuridico delle persone omosessuali e delle persone eterosessuali, che ha preso l’avvio con la depenalizzazione delle condotte omosessuali (il Tribunale cita la sentenza della Corte di Strasburgo Dudgeon c. Regno Unito del 1981) e successivamente con il riconoscimento della tutela antidiscriminatoria nei trattati internazionali e nella Carta europea dei diritti fondamentali, il Tribunale rileva come il riconoscimento alle persone omosessuali del diritto di sposarsi segni l’ulteriore passo verso la garanzia della dignità della persona e del libero sviluppo della personalità, potendosi, peraltro, riconoscere che, come detto, il meccanismo scelto dal legislatore per compiere tale passo non è l’unico tecnicamente possibile.
Non compete peraltro al Tribunale costituzionale giudicare l’opportunità o la convenienza della scelta del legislatore nel momento in cui le opzioni legislative si mantengono in un ambito di conformità col testo costituzionale. Lasciando da parte il dibattito se le persone omosessuali godessero già del diritto a contrarre matrimonio prima della riforma normativa, il Tribunale costituzionale rileva, comunque, come il legislatore spagnolo avesse varie opzioni a sua disposizione, tutte rispettose del dettato costituzionale tra cui ha legittimamente optato per la scelta del matrimonio, in luogo, ad esempio, delle unioni civili propugnate dai ricorrenti.
Diritto all’adozione
Con riguardo, infine, alla questione relativa all’adozione, che aveva rappresentato una delle argomentazioni principali dei ricorrenti, il Tribunale osserva come la normativa impugnata non contenga alcuna esplicita disposizione al riguardo limitandosi ad affermare la possibilità d’adottare da parte delle coppie coniugate, senza allusione alcuna all’orientamento sessuale degli adottanti. Il Tribunale si limita, allora, a ricordare la nota sentenza della Corte di Strasburgo nel caso Frette c Francia, del 26 febbraio 2002, nella quale è stato evidenziato come l’interesse superiore del minore debba essere sempre tutelato nel caso concreto nell’ambito della verifica cui devono essere sottoposti gli eventuali adottanti a prescindere dal loro orientamento sessuale. Il dovere di protezione integrale dei figli permane in ogni ambito, a prescindere dall’orientamento sessuale degli adottanti, né può ritenersi, in astratto, che tale interesse sia leso per il solo fatto che si permetta alle persone omosessuali di adottare, in forma individuale o congiuntamente. Un’eventuale lesione dei principi costituzionali entrerebbe in gioco soltanto ove la legislazione non garantisse che nel procedimento di adozione l’obiettivo fondamentale permanga la conservazione dell’interesse del minore, circostanza che non occorre nel caso di specie posto che la normativa del codice civile, così come modificato dalla legge del 2005, assicura che la decisione giudiziaria terrà sempre in conto primario l’interesse dell’adottato e l’idoneità ad esercitare la potestà da parte dell’adottante o degli adottanti, idoneità che nulla ha a che vedere con l’orientamento sessuale della persona.