Corte di Cassazione, prima sezione penale, sentenza del 14/10/2009 n. 41368

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. FAZZIOLI Edoardo – Presidente – del 14/10/2009
Dott. GIORDANO Umberto – Consigliere – SENTENZA
Dott. SIOTTO Maria Cristina – Consigliere – N. 2640
Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere – REGISTRO GENERALE
Dott. PIRACCINI Paola – Consigliere – N. 16410/2009
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) X X BEN MOHAMED, N. IL 30/04/1979;
avverso l’ordinanza n. 2736/2008 TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA, del 03/03/2009;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;
lette le conclusioni del P.G. Dott. BAGLIONE Tindari, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza del 3.3.09, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha respinto l’opposizione proposta da X X Ben Mohamed avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Venezia del 19.11.08, con il quale il X, detenuto presso la casa di reclusione di Lodè-Mamone, era stato espulso dal territorio dello Stato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16, a titolo di sanzione alternativa, in relazione alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, inflittagli per i reati di spaccio di stupefacenti e false dichiarazioni sulla propria identità personale. Ha ritenuto che sussistessero i presupposti per far luogo a detta espulsione; che la detenzione non costituiva causa di forza maggiore, tale da giustificare la mancata presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, sia perché era possibile espletare la procedura del rinnovo anche in carcere, sia perché era emerso che il rinnovo del permesso di soggiorno dell’opponente era stato respinto dal Questore di Napoli in data 11.3.06. Ha poi ritenuto che non sussistesse nei confronti dell’opponente il rischio di persecuzione per motivi di sesso, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in quanto non era certa la sua omosessualità; inoltre, per ritenere la sussistenza di atti persecutori contrari ai principi di libertà e dignità personali, occorreva che la sodomia fosse punita in Tunisia solo per il fatto che un soggetto fosse omosessuale; il che non sembrava ricorrere nel caso in esame, atteso che, dall’esibita copia del codice penale tunisino, era piuttosto da ritenere che in Tunisia la sodomia era punibile solo se detta inclinazione venisse ostentata attraverso comportamenti vietati.
Avverso detto provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha proposto ricorso per cassazione X X Ben Mohamed per il tramite del suo difensore, che ha proposto i seguenti quattro motivi di ricorso.
2 – violazione art. 70 o.p., art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b):
l’art. 70, comma 2 O.P. prevedeva che del Tribunale di Sorveglianza, che giudicava in grado di appello avverso i provvedimenti di cui all’art. 69 O.P., non poteva far parte il magistrato che aveva emesso il provvedimento; nella specie il magistrato di sorveglianza che aveva emesso il provvedimento di espulsione nei confronti di esso ricorrente non solo aveva fatto parte del Tribunale di Sorveglianza, che aveva deciso il gravame, ma aveva svolto altresì il ruolo di relatore, in tal modo violando la disposizione di legge anzidetta;
2. violazione art. 13, comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16; violazione art. 666 c.p.p., comma 5 per inosservanza della legge penale e di altre norme giuridiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)); mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)):
non sussisteva alcuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 per far luogo alla sua espulsione; in particolare non esisteva alcuna prova che la richiesta di rinnovo del suo permesso di soggiorno fosse stata effettivamente rigettata dalla Questura di Napoli, non avendo gli mai ricevuto alcuna comunicazione in ordine a tale rigetto; d’altra parte la circostanza era stata riferita dalla Questura di Treviso con una nota, alla quale non poteva attribuirsi alcun valore probatorio, essendo stato un ufficio differente e cioè la Questura di Napoli ad avere eventualmente rigettato la sua istanza di rinnovo del permesso di soggiorno. Mancando qualsiasi prova certa di tale rigetto, il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti era illegittimo. Era stato poi da esso ricorrente espressamente richiesto al Tribunale di Sorveglianza di Venezia, con memoria del 23.2.09, di esperire, ex art. 666 c.p.p., comma 5, ogni utile accertamento in ordine alla sua vicenda; ma tale sua richiesta non era stata tenuta in alcun conto. Esso ricorrente aveva regolarmente provveduto a richiedere il rinnovo del proprio titolo di soggiorno; in ogni caso sussisteva in suo favore l’esimente della forza maggiore, in ordine alla quale il Tribunale di Sorveglianza di Venezia non aveva speso alcuna parola;
3. Violazione art. 19, comma 1 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16, comma 9; violazione art. 19, comma 2 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea:
dell’art. 666 c.p.p., comma 5 e dell’art. 10 Cost.:
difetto di motivazione: inosservanza della legge penale e di altre norme di cui doveva tenersi conto nell’applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)):
esso ricorrente aveva manifestato le proprie tendenze sessuali al giudice nell’unico modo possibile; e sua madre aveva riferito in ordine alle persecuzioni da lui subite dagli altri componenti della sua famiglia per via del suo orientamento sessuale; in violazione del suo diritto di difesa, sua madre non era stata sentita in rogatoria per il tramite dell’autorità consolare italiana in Tunisia affinché riferisse su quanto sopra.
Era stato poi prodotto da esso ricorrente copia del codice penale tunisino, dal quale emergeva che per il reato di sodomia era prevista la pena del carcere fino a tre anni; era stato altresì allegato il resoconto di un cittadino francese, il quale aveva riferito delle persecuzioni da lui subite solo perché sorpreso in un appartamento di Tunisi mentre intratteneva un rapporto sessuale con un altro uomo. In Tunisia non veniva dunque tutelata la libertà sessuale. Una volta rientrato in Tunisia, esso ricorrente avrebbe poi corso il rischio di sicura carcerazione per l’espiazione della pena da lui in parte scontata in Italia, non sussistendo alcun trattato bilaterale fra l’Italia e la Tunisia che riconosceva le sentenze emanate in ciascuno dei due paesi; e tale argomentazione era stata ritenuta irrilevante dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia senza alcuna motivazione;
4)- violazione art. 19, comma 1 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16, comma 9; violazione L. 28 febbraio 1990, n. 39, art. 1; art. 2 e segg., della direttiva C.E.E. 29.4.04 n. 83. recepita nell’ordinamento italiano col D.Lgs. n. 251 del 2007; inosservanza della legge penale e di altre norme di cui doveva tenersi conto nell’applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e):
esso ricorrente aveva presentato alla Questura di Nuoro istanza intesa ad ottenere il riconoscimento dell’asilo politico, ovvero lo status di rifugiato politico, ovvero la cd. protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, che aveva reso esecutiva in Italia la direttiva CEE 83/04.
Il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto conto di tale sua istanza, disattendendo le disposizioni di legge, in forza delle quali il cittadino straniero non poteva essere allontanato dal territorio nazionale finché non fossero state esaurite le procedure relative all’esame dell’istanza rivolta ad ottenere la protezione umanitaria. Con ulteriore memoria del 1.10.09 il difensore del ricorrente ha ribadito che, nella specie, non sussistevano i requisiti previsti dalla legge per far luogo all’espulsione del medesimo, in quanto il ricorrente aveva presentato regolare istanza intesa ad ottenere il permesso di soggiorno od almeno il riconoscimento dello status di rifugiato politico; ed infatti in esito alla sua liberazione per fine pena, avvenuta nel maggio 2009, la Questura di Nuoro aveva consegnato ad esso ricorrente un biglietto, con il quale era stato invitato ad eleggere domicilio per ricevere le comunicazioni dalla commissione territoriale competente per l’esame della domanda, da lui presentata per ottenere la protezione umanitaria. La liberazione di esso ricorrente per fine pena, nel frattempo intervenuta, rendeva comunque impossibile l’applicazione della sanzione alternativa dell’espulsione, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16. Il provvedimento impugnato andava pertanto annullato.

Il motivo di ricorso proposto da X X Ben Mohamed sub 1) è infondato.
Non sussiste invero la ravvisata illegittimità del provvedimento impugnato, per aver fatto parte del Tribunale di Sorveglianza il Magistrato di Sorveglianza, che aveva in precedenza disposto la sua espulsione dal territorio dello Stato.
Non risulta infatti che il ricorrente abbia tempestivamente provveduto a ricusare innanzi al Tribunale di Sorveglianza di Venezia il Magistrato di Sorveglianza, che aveva emesso il decreto di espulsione nei suoi confronti e che era fra i componenti del collegio di detto Tribunale, innanzi al quale il decreto di espulsione era stato da lui impugnato.
Il fatto che il ricorrente non si sia avvalso in tale sede ed in quel momento dello strumento della ricusazione non si riflette sulla validità degli atti compiuti dal magistrato che non avrebbe dovuto partecipare al procedimento, in quanto tale effetto non è previsto da alcuna disposizione di legge (cfr. Cass. 6^ 3.11.97 n. 11483, rv. 209473).
È altresì infondato il motivo di ricorso sub 2).
Con esso il ricorrente sostiene di non versare in una delle ipotesi previste dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 2 per far luogo nei suoi confronti al provvedimento di espulsione, oggetto della presente impugnativa, in quanto non era certo che la Questura di Napoli avesse rigettato la sua richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno.
Il ricorrente ha invero sollevato una questione di fatto improponibile nella presente sede di legittimità, atteso che, allo stato, non è dato porre in dubbio la veridicità di quanto riferito dalla Questura di Treviso con nota del 4.11.08, avere cioè la Questura di Napoli rigettato l’istanza di rinnovo di soggiorno del ricorrente con provvedimento dell’11.3.06.
Trattasi invero di informativa proveniente da ufficio pubblico, assistita in quanto tale da presunzione di veridicità e nella specie contestata dal ricorrente in modo solo generico.
Sono altresì infondati i motivi di ricorso sub 3) e sub 4), da trattare congiuntamente, siccome strettamente correlati fra di loro. Con essi il ricorrente lamenta che il Tribunale non ha tenuto conto dei rischi ai quali egli sarebbe andato incontro in caso di rientro in Tunisia, essendo egli omosessuale ed essendo la sodomia oggetto di persecuzione nel suo paese di origine, si che sussisteva nella specie la causa ostativa alla sua espulsione, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, essendo egli straniero oggetto di persecuzione per motivi di sesso.
Si rileva innanzitutto che il divieto di espulsione, previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 in favore di stranieri oggetto di persecuzione per motivi di sesso trova applicazione solo nell’ipotesi in cui la procedura per il riconoscimento di tale status sia stata attivata con esito positivo; il che nella specie non si è verificato (cfr. Cass. 2.10.03 n. 20938, rv. 228999). Si osserva inoltre che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora lo straniero condannato in Italia e destinatario di provvedimento di espulsione si opponga ad esso, chiedendo il riconoscimento dello status di perseguitato per motivi di sesso, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19; qualora su detta istanza, come nel caso in esame, non si sia ancora pronunciata l’apposita commissione centrale, è il Tribunale di Sorveglianza tenuto ad accertare, in via incidentale, la sussistenza dei presupposti, che potrebbero condurre, in concreto, al riconoscimento di tale status (cfr. Cass. 1^, 17.12.04 n. 2239, rv. 230546).
Nella specie in esame, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha correttamente effettuato tale accertamento incidentale, ritenendo, con motivazione ineccepibile nella presente sede di legittimità, siccome esente da vizi logici e da contraddizioni, che all’odierno ricorrente non competesse lo status di perseguitato per motivi di sesso, atteso che non era stato accertato che in Tunisia gli omosessuali fossero oggetto di discriminazione solo per tale loro status e non in quanto venissero sorpresi nell’atto di compiere atti esplicativi della loro diversa sessualità; e solo nella prima ipotesi poteva parlarsi di persecuzione per motivi di sesso, idonea, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, ad escludere l’espulsione dal territorio dello Stato.
Va poi rilevato che l’assenza di un trattato bilaterale fra l’Italia e la Tunisia in materia di validità delle sentenze penali emesse nei due paesi esclude di per sè che il ricorrente possa essere costretto ad espiare in Tunisia la pena, solo in parte scontata in Italia e ciò appare ancora più improbabile alla stregua di quanto dal ricorrente rappresentato nella sua memoria aggiuntiva del 1.10.09, di avere egli cioè espiato nel frattempo per intero la pena detentiva, alla quale era stato condannato in Italia.
Tale ultima circostanza di fatto infine è da ritenere ininfluente ai fini del presente ricorso, proposto e deciso con riferimento ad una situazione fattuale anteriore.
Pienamente legittimo è pertanto il decreto di espulsione adottato nei confronti del ricorrente.
Il ricorso proposto da X X Ben Mohamed va pertanto respinto.
Consegue a detta declaratoria, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2009