Minore nato da due donne in Spagna: l’atto di nascita può essere trascritto in Italia
7 gennaio, 2015 | Filled under genitorialità, italia, NEWS, OPINIONI, orientamento sessuale |
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di Marco Gattuso
Con decreto della Corte d’appello di Torino del 29 ottobre 2014 (vedi qui la massima), reso noto oggi dal nostro portale ARTICOLO29, viene riconosciuta per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico la trascrivibilità dell’atto di nascita, formato all’estero, del figlio di una coppia omosessuale.
Con una decisione davvero storica, la Corte d’Appello di Torino, ribaltando le conclusioni cui era giunto il Tribunale, ha ordinato la trascrizione del certificato di nascita di un bambino nato da due donne in Spagna. Il bambino, dunque, è figlio di due madri anche per la legge italiana. Si tratta del primo caso per il nostro Paese: il Tribunale per i minorenni di Roma con sentenza del 30 luglio 2014 (vedi qui la prima nota di Marco Gattuso in ARTICOLO29 e qui il commento di Joelle Long in ARTICOLO29) aveva consentito, per la prima volta, ad una co-madre di adottare il figlio della compagna, oggi vi è il riconoscimento della doppia maternità sin dalla nascita.
Nella specie una donna italiana ed una spagnola avevano avuto un bambino a Barcellona: la donna italiana aveva trasferito il proprio ovulo alla donna spagnola che, dopo fecondazione con seme proveniente da un donatore, aveva portato a termine la gravidanza. Abbiamo, dunque, sia la fecondazione eterologa mediante donazione del seme da parte di un donatore esterno alla coppia, sia la scissione fra la madre genetica (cui risale l’ovocita fecondato) e la madre biologica (che ha condotto la gestazione).
La Corte ha smentito il tribunale di primo grado (decreto del tribunale di Torino del 21 ottobre 2013), che aveva ritenuto la contrarietà della trascrizione all’ordine pubblico, poichè ha rilevato che il superiore interesse del minore è principio fondamentale dell’ordinamento italiano e che nella specie vi è certamente il preminente interesse del minore a mantenere uno stabile rapporto con entrambe le madri. L’interesse del bambino deve essere riconosciuto a maggior ragione tenuto conto che le due donne, sposate a Barcellona, sono attualmente divorziate e che senza la trascrizione dell’atto di nascita il bambino, affidato dal Tribunale di Barcellona ad entrambe le madri, non sarebbe italiano e non potrebbe venire in Italia con la mamma italiana.
Il giudice d’appello riforma dunque il provvedimento di primo grado che aveva ritenuto preclusivo della trascrizione il principio immanente nel nostro ordinamento secondo il quale la madre è soltanto colei che partorisce il bambino, con la conseguenza che l’unico rapporto di filiazione rilevante sarebbe quello tra il bambino e la madre che aveva condotto la gestazione, nella specie spagnola, e con l’ulteriore conseguenza che al bambino non poteva riconoscersi la cittadinanza italiana atteso che la stessa deve essere attribuita secondo il principio dello ius sanguinis; secondo i giudici di primo grado non poteva, allora, procedersi alla trascrizione, essendo la medesima prevista dall’ordinamento dello stato civile (d.p.r. 396/2000) soltanto per i cittadini italiani o gli stranieri residenti in Italia; rilevava, inoltre, il tribunale di Torino come la trascrizione del certificato di nascita spagnolo dovesse assumersi contraria ai principi di ordine pubblico desumibili dalla Costituzione e, comunque, dalle norme ordinarie, che si riferiscono espressamente ai concetti di padre e madre, di marito e moglie.
La Corte d’appello rileva, per contro, come la procedura disciplinata dall’ordinamento dello stato civile (d.p.r. 396/2000) sia finalizzata esclusivamente a regolare l’attività di certificazione, mentre l’individuazione del rapporto di filiazione deve desumersi nella specie secondo le norme del diritto internazionale privato (legge 218/1995). Rileva, allora, la Corte come l’articolo 33 della l. 218/1995 disponga che lo stato di figlio sia determinato dalla legge nazionale del figlio o se più favorevole, dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita, e che lo stato di figlio legittimo acquisito in base alla legge nazionale di uno dei due genitori non possa essere contestato che alla stregua di tale legge. Ad avviso dei giudici torinesi, pertanto, poiché nella specie il minore è nato in Spagna e, secondo la legge spagnola, è figlio di entrambe le madri, e poiché vige certamente nel nostro sistema il principio del favor filiationis (confermato dall’art. 13, III comma l. 218/1995 che consente il rinvio alla legge straniera «soltanto se esso conduce all’applicazione di una legge che consente lo stabilimneto della filiazione»), il minore deve essere ritenuto anche per il nostro ordinamento figlio di entrambe le madri ed ha, dunque, assunto la cittadinanza italiana ius sanguinis in quanto figlio (anche) di madre italiana.
Ad avviso dei giudici di secondo grado, inoltre, è da escludere che la trascrizione del certificato di nascita sia impedito dai principi dell’ordine pubblico internazionale.
I giudici rammentano al riguardo come tali principi, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, debbano intendersi come «principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un dato periodo storico» e fondati su esigenze, comuni ai diversi ordinamenti, «di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, sulla base di valori sia interni che esterni all’ordinamento purché accettati come patrimonio condiviso in una determinata comunità giuridica sovranazionale». Fra i principi che concorrono a determinare l’ordine pubblico internazionale ricorrono, allora, anche quelli desumibili dalla Convenzione europea dei diritti umani secondo l’interpretazione della Corte Edu (erroneamente indicata, per mero lapsus calami, come Corte di «Giustizia»), oltre che ovviamente quelli desunti dalla Costituzione e dai principi fondamentali dell’ordinamento posti a garanzia dei diritti fondamentali (non, dunque, qualsiasi principio generale dell’ordinamento, ma solo quelli preposti alla protezione dei diritti inviolabili della persona). A tale proposito la Corte torinese ha quindi modo di rammentare i recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte costituzionale che con sentenza n. 138/2010 ha riconosciuto la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali (e, aggungiamo noi, l’obbligo – ancora inevaso – del Legislatore di provvedere senza indugio ad emanare una legge organica); della Corte di Strasburgo che con la nota sentenza Schalk e Kopf c. Austria ha sancito che il diritto al matrimonio a norma dell’art. 12 della Convenzione è riconosciuto anche alle coppie omosessuali, pur rimandando per la garanzia di tale diritto alla legislazione degli Stati aderenti, e che due persone del sesso unite in coppia sono titolari del diritto alla «vita familiare» a norma dell’art. 8 Cedu; della Corte di cassazione che con la nota sentenza n. 4184/2012 ha ribadito come la relazione tra due persone dello stesso sesso rientri anche per l’ordinamento italiano nella nozione giuridica di «vita familiare» (dunque già oggi in Italia due persone dello stesso sesso formano, tecnicamente, una «famiglia»); la recente giurisprudenza della nostra Consulta in materia di fecondazione eterologa (sentenza del 9 aprile 2014 n. 162, vedi il commento di Alessandra Pioggia in GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere n. 2014/02) da cui si desume l’estensione del diritto alla «vita familiare» anche ai figli generati con procreazione assistita eterologa; le sentenze gemelle di Strasburgo del 26 giugno 2014, Labasse c. Francia e Mennesson c. Francia, (vedi qui il commento di Carmelo Danisi in ARTICOLO29) con cui è stato riconosciuto che la mancata trascrizione del rapporto di filiazione fra un padre ed i propri figli nati all’estero mediante gestazione per altri (o surrogazione di maternità) lede il diritto alla vita privata del minore; la giurisprudenza della medesima Corte di Strasburgo che, con la sentenza X e altri c. Austria ha affermato che la nozione di vita familiare si attaglia anche alla relazione fra il minore ed i membri delle coppie dello stesso sesso che, a prescindere dal dato biologico, abbiano assunto responsabilità genitoriale nei suoi confronti (dunque, ancora una volta, visto il carattere vincolante per l’Italia delle interpretazioni di Strasburgo, due persone dello stesso sesso con i loro bambini formano, tecnicamente, una «famiglia» anche per l’ordinamento giuridico italiano).
La Corte, dunque, muovendo da tali premesse rammenta come anche nel nostro ordinamento abbia assunto ormai rilievo il concetto di responsabilità genitoriale connesso non tanto al mero dato biologico e genetico ma alla nozione di volontarietà della filiazione e di assunzione di fatto della responsabilità genitoriale; difatti, sin dal 1999 la Corte di cassazione (è la nota sentenza 2315/1999) ha escluso la legittimità del disconoscimento di paternità da parte del marito che avesse dato il consenso alla fecondazione eterologa nell’ambito di una coppia sposata, sovvertendo così l’antico principio secondo il quale la verità biologica fonda sempre e comunque il rapporto di filiazione (orientamento, peraltro, ribadito persino nell’ambito della legge n. 40 del 2004 che, pur vietando a suo tempo la fecondazione eterologa, ha comunque impedito tale disconoscimento).
Non è dunque dubbio che se deve aversi sempre prioritario riguardo all’interesse superiore del minore, come imposto oltre che dalla Costituzione anche dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 (ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176), non possa prescindersi dall’evidente interesse del minore alla stabilità, anche giuridica, del rapporto genitoriale, protetto dalla Convenzione come vita privata e familiare, ed al mantenimento della responsabilità assunta dal genitore nei confronti del minore.
È da rilevare la corretta sottolineatura dei giudici torinesi per cui nella specie oggetto di tutela è esclusivamente il rapporto verticale fra la co-madre ed il figlio mentre non appare in alcun modo rilevante la relazione orizzontale fra le due madri. Nel caso di specie, anzi, le due donne risultano attualmente divorziate e proprio tale circostanza assume, semmai, per il Collegio specifico rilievo ai fini della valutazione dell’interesse del minore, atteso che un eventuale mancato riconoscimento del rapporto di filiazione fra la co-madre italiana ed il bimbo interferirebbe con l’affidamento condiviso statuito dal Tribunale di Barcellona. Il mancato riconoscimento della filiazione (e della cittadinanza italiana) impedirebbe infatti il corretto svolgimento di tale affidamento condiviso, posto che la co-madre «in Italia non avrebbe titolo a spostarsi e tenere con sè il minore».
Afferma, dunque, la Corte che nel caso di minore nato all’estero da coppia omosessuale, in seguito a fecondazione medicalmente assistita eterologa con l’impianto di gameti da una donna all’altra, «l’atto di nascita del fanciullo può essere trascritto in Italia poiché, nel caso in questione, non si tratta di introdurre ex novo una situazione giuridica inesistente ma di garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da diverso tempo, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due donne che la legge riconosce entrambe come madri».
L’interesse del minore impedisce, dunque, il disconoscimento della rilevanza giuridica del rapporto di fatto validamente costituito «fra la co-madre ed il figlio».
Sui dati tenici che fondano tale decisione vi sarà modo di tornare. Sia consentita, tuttavia, un’ultima notazione. Dopo una prima fase (durata invero diversi anni) in cui i giudici italiani si sono limitati a rilevare le inadempienze del Legislatore in questa materia e a rimandare (e sollecitare) il suo intervento, questa decisione segna, ancora una volta, la presa di coscienza – sull’onda della vincolante giurisprudenza di Strasburgo e seguendo l’esempio delle più autorevoli Autorità giudiziarie occidentali (la Corte costituzionale tedesca, i giudici americani..) – dell’obbligo costituzionale di assicurare sin da subito adeguata protezione dei diritti fondamentali, vieppiù quando sono in gioco i diritti dei bambini che, verrebbe da dire, non hanno il tempo di aspettare le scelte del nostro Parlamento (unico in Occidente a non avere ancora provveduto).
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