Affido dei minori a coppie gay e lesbiche: le recenti evoluzioni della giurisprudenza italiana
4 maggio, 2014 | Filled under genitorialità, italia, OPINIONI, orientamento sessuale |
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In seguito alla nota sentenza della Corte di Cassazione n. 601/2013, che ha riconosciuto che le coppie gay e lesbiche hanno la possibilità di allevare minori in quanto non vi è alcuna evidenza scientifica che l’identità di genere dei due genitori comporti un qualche condizionamento per l’equilibrato sviluppo del minore, l’Autrice rammenta come la giurisprudenza italiana abbia subito un’ulteriore evoluzione con la recente decisione del Tribunale dei minori dell’Emilia Romagna del 31 ottobre 2013 che ha dato in affido temporaneo una bambina di tre anni, con una difficile situazione familiare, ad una coppia di due uomini che la piccola già conosceva e frequentava (orientamento successivamente confermato anche dal Tribunale per i minorenni di Palermo, con il decreto del 4 dicembre 2013). Tali nuovi orientamenti giurisprudenziali sono in linea con l’ampio concetto di legame familiare, richiamato dalla Carta di Nizza, che impedisce le discriminazioni fondate sul sesso e sull’orientamento sessuale e con l’evoluzione della nozione di “famiglia” ai sensi della Convenzione europea dei diritti umani. Tale evoluzione del diritto europeo non può essere ignorata dal nostro Paese poiché quando si tratta di scelte relative all’affidamento dei minori si deve tener conto della capacità di dare cura e amore degli affidatari e non del loro orientamento sessuale.
di Ida Grimaldi*
Con decreto del 31 0ttobre del 2013 il Tribunale dei Minori di Bologna ha dato in affidamento temporaneo una bambina di tre anni a una coppia omosessuale. Il caso, da taluni ritenuto clamoroso, ha suscitato scalpore, dando il via a non poche polemiche in relazione, più in generale, alla natura, alla tradizione, alla procreazione, e, più in particolare, alla tutela del benessere della minore.
E’ bene tuttavia, segnatamente per quanto attiene all’ultimo aspetto, calarsi, da un lato, nel caso concreto della minore e, dall’altro, avere cognizione non solo della normativa attuata nella situazione specifica ma anche e, soprattutto, di quali siano stati gli orientamenti e le motivazioni dei giudici nel prendere quella decisione.
La peculiarità del caso concreto rende infatti opportuno ricostruire il quadro normativo di riferimento, al fine di individuare l’esatto significato del termine “famiglia”. Il primo nucleo di aggregazione cui la Costituzione dà riconoscimento è la famiglia, società naturale fondata sul matrimonio. Negli ultimi decenni, tuttavia, accanto alla famiglia legittima, è emerso un nuovo modello di convivenza: la famiglia di fatto. Il dibattito si è recentemente allargato al riconoscimento delle unioni tra omosessuali che in Italia non ricevono una reale tutela giuridica. Il nostro Paese, a questo proposito, si configura in una posizione anacronistica rispetto ad altri Paesi europei. Va ribadito, infatti, l’ampio concetto di legame familiare, richiamato dai dettami della Carta di Nizza, che impedisce le discriminazioni fondate sul sesso e sull’orientamento sessuale. Ne discende che l’evoluzione della nozione e del concetto di “famiglia”, ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti Umani, non può essere ignorata dal nostro Paese.
E’ per questo che la Corte di Cassazione, con sentenza 4184 del 15 marzo 2012, ha stabilito che il matrimonio civile tra persone omosessuali, celebrato all’estero, debba aver rilevanza per l’ordinamento italiano. La Prima Sezione, invero, rigettando il ricorso di due cittadini italiani dello stesso sesso, unitisi in matrimonio all’estero, i quali rivendicavano il diritto alla trascrizione dell’atto nei registri dello Stato Civile Italiano, ha affermato, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale ed europea, che quel matrimonio non è “inesistente” per l’ordinamento interno, ma è solo “inidoneo” a produrvi effetti giuridici.
Ha affermato, altresì, in senso generale, che omosessuali conviventi in stabile relazione, di fatto sono titolari del diritto alla “vita familiare” e possono agire in giudizio in “specifiche situazioni” per reclamare un “trattamento omogeneo” rispetto ai conviventi matrimoniali.
La nozione “europea” di famiglia, derivata dalla nozione di “vita familiare” di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), non si contrappone dunque, per il diritto italiano, ad una nozione “meno ampia” di famiglia, ma entra direttamente nell’ordinamento con efficacia vincolante sia per l’interprete sia il legislatore italiano, poiché si tratta di norme direttamente vincolanti che si iscrivono nell’ordinamento giuridico a livello sovraordinato rispetto alla legge ordinaria. Ne consegue che la nozione di famiglia è già mutata di fatto anche nell’ordinamento italiano, includendo già le famiglie formate da persone dello stesso sesso.
Un’ulteriore apertura in questo senso, ampliando il concetto all’affidamento dei minori, si è avuta nel gennaio 2013 con sentenza n. 601 della 1 sez. civile della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto alle coppie omosessuali che danno le adeguate garanzie, la possibilità di allevare minori, in quanto non è scientificamente dimostrato che l’orientamento sessuale comporti un condizionamento per l’equilibrato sviluppo di un minore. E’ stato altresì definito “un mero pregiudizio” il diniego all’affidamento di minori a coppie omosessuali sulla mera base della loro omosessualità.
Questa sentenza non ha un carattere normativo, ma disciplina un caso concreto che, nel mentre potrà in futuro influenzare positivamente o negativamente il legislatore, ha già indirizzato alcuni Tribunali in tal senso: si arriva così al decreto del Tribunale dei Minori dell’Emilia Romagna del 31 ottobre 2013. Una bambina di tre anni, con una difficile situazione familiare, viene data in affido temporaneo ad una coppia omosessuale di due uomini che la piccola già conosceva e frequentava.
Sulla decisione hanno influito l’affetto che i due affidatari hanno dimostrato nei confronti della bambina e il fatto che, prima che il Giudice Tutelare disponesse l’affido temporaneo per due anni, la bimba, figlia di genitori stranieri vicini di casa, già viveva con loro da febbraio, per quello che informalmente gli operatori dei servizi sociali definiscono un “periodo di prova”. Ha influito anche la testimonianza di chi, conoscendo la situazione della convivenza, l’ha descritta “molto felice e tranquilla”.
Ciononostante, la decisione ha destato clamore tanto da portare il Pubblico Ministero ad impugnare il provvedimento, avanzando dubbi sull’opportunità della decisione dei servizi sociali e del Giudice Tutelare. Tali dubbi sono stati tuttavia fugati dal Tribunale, il quale ha rilevato che le indagini approfondite del Giudice Tutelare hanno dato atto dei benefici ricevuti dalla bambina grazie all’affidamento alla coppia. L’accertata capacità, in concreto, della coppia di garantire amore e protezione alla minore e di favorirne una crescita equilibrata risulta la vera ratio di questa decisione. Va rilevato inoltre che, nel caso di specie, ci si riferisce all’istituto dell’affido consensuale eterofamiliare temporaneo dei minori e degli adolescenti, istituto che non è preordinato all’adozione, ma al perseguimento del benessere dei bambini, assicurando a quelli in gravi difficoltà un contesto di cure amorevoli da parte di persone a ciò idonee.
Le caratteristiche fondamentali di tale fattispecie sono, infatti, l’eccezionalità e la temporaneità, il consenso formalizzato degli esercenti la potestà, il mantenimento dei rapporti con i genitori in previsione del rientro nella famiglia d’origine, l’inserimento del minore in una “famiglia” che non ha con lui legami di parentela.
Viene dunque messo in rilievo, a livello di normativa primaria, l’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, intitolata “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” (come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149), norma che consente di disporre l’affidamento «ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli (leggasi, il minore) ha bisogno» o, in via residuale, a una «comunità di tipo familiare».
Per quanto riguarda l’adozione, invece, essa è consentita solo alle coppie sposate, e in Italia possono sposarsi solo le coppie di sesso diverso. Per inciso, le coppie eterosessuali che intendono adottare, pur essendo spesso costrette a lunghissime attese, difficilmente sono disponibili ad un affido temporaneo, e quindi precario, per il timore di affezionarsi troppo a figli che non saranno mai loro. Il risultato è che questi finiscono spesso in case famiglia con genitori impossibilitati a prendersi cura di loro. Non va dunque dimenticato lo scopo dell’affido etero familiare: il perseguimento del miglior interesse del minore.
Si ricordano altri due provvedimenti che hanno disposto l’affido temporaneo ad una coppia omosessuale: decreto del Tribunale dei Minori di Parma del 3 luglio 2013 e decreto del Tribunale dei Minori di Palermo del 4 dicembre 2013.
L’indirizzo della giurisprudenza italiana, alla luce delle decisioni dei tre Tribunali citati, pare dunque voler essere sgombro da pregiudizi nell’affermare che, quando si tratta di scelte relative all’affidamento dei minori, si deve tener conto in primis delle capacità di amore degli affidatari e non del loro orientamento sessuale, inserendo così de facto, se non de jure, il nostro Paese nello spirito e nel concetto di “famiglia” sia della Carta di Nizza, che della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
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* Avvocato cassazionista, già coordinatrice per il Veneto dell’Osservatorio Nazionale del Diritto di Famiglia e dei Minori, istituito dall’AIGA
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