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Matrimonio tra persone dello stesso sesso e denaturalizzazione della norma. Elementi di riflessione a partire dal dibattito francese sul «Mariage pour tous»

 

Il «mariage pour tous» e la Francia: un’analisi attenta della gestazione e della nascita di una legge che ha coinvolto per mesi un Paese intero. La sociologa Sara Garbagnoli ci racconta da Parigi il movimento in favore dell’apertura del matrimonio, gli ondeggiamenti ed i ripensamenti degli intellettuali e del Partito socialista, i passaggi parlamentari ed il problema dell’obiezione di coscienza dei sindaci (poi definitivamente superato dalla Corte costituzionale), le reazioni della Conferenza episcopale francese, le «Manif pour tous» e l’ascesa della sua eccentrica leader Frigide Barjot, i gruppi di estrema destra e le aggressioni omofobe, la perseveranza della Guardasigilli Christiane Taubira e le critiche della filosofa Beatriz Preciado, per una legge che segna un passaggio dirimente e che attira comunque anche critiche, in particolare per la mancata apertura della procreazione medicalmente assistita (che resta consentita alle sole coppie eterosessuali con problemi di sterilità), per la mancata previsione di una presunzione di genitorialità nel corso del matrimonio, per la carenza di regolamentazione della gestazione di sostegno. Ed in effetti l’argomento della difesa della filiazione biologica sembra sostituire nel dibattito pubblico i vecchi argomenti della difesa del preteso ordine naturale della famiglia. Con questo intervento, ARTICOLO29 inizia ad ospitare alcuni contributi di approfondimento sociologico e filosofico sui temi della tutela giuridica dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.(MG).

di  Sara Garbagnoli[1]

Intervento presentato il 21 giugno 2013 al convegno organizzato da Rete Lenford e Amnesty International ai Cantieri della Zisa nell’ambito del Palermo Pride.[2]

 

Ringrazio gli organizzatori del convegno per avermi chiesto di intervenire a questa giornata di studio dedicata a «Il diritto di famiglia tra natura e diritto: Francia, Regno Unito e Italia a confronto». Ho accettato con non poca apprensione l’invito rivoltomi da Antonio Rotelli (non sono giurista e sono ancora dottoranda), ma anche con un grande piacere per ragioni certamente legate alle mie predisposizioni posizionali e alla mia traiettoria di vita (la mia non-eterosessualità, i miei interessi di ricerca – sto, infatti, svolgendo una ricerca presso l’Ehess di Parigi sulle resistenze istituzionali al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso in Italia).[3] Tuttavia, mi piace pensare che il fondo del mio interesse trascenda queste determinazioni e questi accidenti esistenziali e si motivi in ragione dell’importanza politica e analitica delle questioni che il tema della giornata solleva e che (le riassumerei così) riguardano e interrogano, da un lato, il modus operandi della norma sessuale ovvero le forme della sua tanto efficace naturalizzazione attraverso una serie di dispositivi sociali che la iscrivono nelle categorie mentali e nelle categorie istituzionali, negli automatismi corporali, linguistici e, dall’altro (ma le cose, mi pare, vadano insieme), lo statuto delle rivendicazioni minoritarie che, tale norma investono, sovvertono, defatalizzano, estirpandola dalla trascendenza in cui il senso comune la iscrive. Naturalmente, uso il termine «minoritario» in senso sociologico come ciò che è proprio di un gruppo sociale inferiorizzato materialmente e simbolicamente in un dato contesto sociale.[4]

Nell’intervento di oggi ho isolato dal contesto politico francese (sono consapevole della parzialità della ricostruzione) alcuni elementi che mi pare possano entrare in risonanza, per prossimità o contrasto, con quanto succede (o, piuttosto, non succede) in Italia a proposito dell’apertura del matrimonio a coppie dello stesso sesso e fornire spunti di riflessione critica. Sia detto qui tra parentesi: ogni tentativo di comparazione solleva la questione della comparabilità ovvero ci invita a cercare di pensare insieme, da un lato, il processo di politicizzazione delle questioni sessuali che si sta dispiegando da circa quattro decenni su scala sovra- e internazionale grazie alle rivendicazioni di cui i movimenti femministi e lgbti/q si sono fatti portatori e, dall’altro, le sue specificità congiunturali nazionali, cercando, in tal modo, di non cadere in trappole che svierebbero l’analisi, deviandola verso forme di culturalismo, di etnocentrismo, di teleologismo, di nominalismo che si producono quando si impiegano classi, classificazioni, processi, campi d’azione, istituzioni o retoriche come fossero meri invarianti metatemporali e metastorici.

Per cominciare l’analisi in situ ho scelto le parole con cui il Cardinal Angelo Bagnasco, Presidente della C.E.I., ha aperto nel maggio scorso l’annuale assemblea generale dei vescovi italiani perché, mi pare, esprimano il denominatore comune di una vulgata eteronormativa che, con specificità proprie ed esiti differenti, satura tanto lo spazio pubblico italiano che quello francese:

«La famiglia – patrimonio incomparabile dell’umanità – (…) è un bene universale e demolirla è un crimine. La famiglia affonda le sue radici nell’essere dell’uomo e della donna (…). La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento. (…) Dobbiamo riconoscere che, è necessaria una sorta  di bonifica culturale al fine di discernere le categorie concettuali che descrivono o  deformano l’alfabeto dell’umano, con i suoi fondamentali come la persona, la vita e l’amore, la coppia e la famiglia, il matrimonio e la libertà educativa, la giustizia. È da questa attenzione di tipo antropologico che dipende la possibilità di una società umana o, al contrario, di un coacervo che  sarà disumano e spietato» (A. Bagnasco, Discorso di apertura dell’Assemblea Generale della C.E.I., 2013).

Vediamo, dunque, come e attraverso quali agenti sociali un tale discorso oscurantista e retrogrado si è fatto sentire nello spazio pubblico francese e che effetto ha prodotto nello spazio parlamentare. Vorrei procedere in tre tempi: dare qualche coordinata storica sulla legge, analizzarne, poi, brevemente il contenuto e proporre, da ultimo, qualche riflessione.

I.

L’apertura del matrimonio civile a coppie dello stesso sesso era uno dei punti del programma politico presentato da François Hollande al momento della sua candidatura alla Presidenza della Repubblica francese. Un mese dopo la sua elezione del maggio 2012, una coalizione di partiti di centro-sinistra ha vinto le elezioni legislative, riportando il centro-sinistra al governo in Francia dopo dieci anni dalle dimissioni del governo Jospin nel maggio del 2002. Come ha ricordato il giurista Daniel Borrillo nel corso del suo intervento alla «Commission des Lois» del Senato nell’ambito delle audizioni sul progetto di legge cosiddetto «mariage pour tous» (matrimonio per tutti), nel corso dell’ultimo decennio i tribunali francesi sono stati a più riprese aditi da alcuni ricorsi di coppie dello stesso sesso che chiedevano l’estensione di diritti familiari spettanti alle coppie eterosessuali, ma, contrariamente a quanto avvenuto in altri Paesi, hanno sempre sentenziato in modo restrittivo, rimandando alla discrezione del Parlamento la scelta, le modalità e i tempi di un loro eventuale riconoscimento.[5] È, dunque, solo nel 2013, per iniziativa del governo, su impegno del Presidente della Repubblica e attraverso le vie parlamentari che un tale progresso giuridico ha visto la luce. Nella sua presentazione all’Assemblea Nazionale, la Guardasigilli, Christiane Taubira, ha introdotto il testo di legge presentandolo come una ulteriore e necessaria tappa verso una società più giusta, iscrivendolo in un cammino di riforme legislative progressiste dell’istituto matrimoniale. La forza e la passione intellettuale con cui la Ministra della Giustizia francese ha, non solo difeso il testo di legge, ma senza sosta contrastato gli argomenti omofobi sollevati dalle opposizioni parlamentari, rivendicando a spada tratta pari dignità per le persone omosessuali e per ciascun membro delle famiglie omogenitoriali ne hanno fatto l’emblema incarnato di questa battaglia di lotta contro le discriminazioni.

Nello spazio pubblico francese nel corso dei quasi quindici anni che ci separano dall’adozione della legge istitutiva dei PaCS nel 1999 da questione politicamente impensabile il matrimonio same-sex è diventato una vera e propria posta in gioco elettorale. Tale metamorfosi è avvenuta grazie ad una doppia concomitanza: l’evoluzione del contesto internazionale ed un costante dialogo intellettuale e politico tra associazioni militanti, attivisti e intellettuali (penso, in particolare, ai giuristi Daniel Borillo e Caroline Mecary e ai sociologi Didier Eribon e Eric Fassin) che ha portato alla costituzione di un fronte associativo di sostegno alla rivendicazione ampio, solido e molto differenziato al suo interno[6] fino a giungere a spostare il confine tra pensabile ed impensabile (la maggioranza dei francesi si dice oggi a favore del «matrimonio egualitario»).[7] Un tale mutamento ha fatto sì che il principale partito della coalizione di centro-sinistra, il Parti Socialiste, non potesse più prescindere, nolens volens, da tale rivendicazione diventata così, nel giro di pochi anni, uno dei marcatori distintivi del suo programma politico rispetto a quelli dei partiti di centro-destra.

Storicamente, dunque, l’apertura del matrimonio a coppie di persone dello stesso sesso è una battaglia che non ha riguardato (se non solo di recente) il Partito socialista, né la maggioranza degli intellettuali a lui vicini. Politicamente, la genesi della rivendicazione si iscrive, piuttosto, nella capacità di ascolto e reazione della piccola formazione dei Verdi che è entrata in risonanza con una serie di iniziative, appelli,[8] convegni – ricordo, in particolare le giornate di studio «Au-delà du Pacs. L’expertise familiale à l’épreuve de l’homosexualité» nel 1999 e «Au-delà du mariage. De l’égalité des droits à la critique des normes» nel 2013 (tra i fautori, Daniel Borrillo, Didier Eribon e Éric Fassin). Nel 2004, sulla scia di una tripla attualità politica (la vittoria elettorale del progressista José Luis Zapatero in Spagna, l’azione del sindaco di San Francisco Gavin Newson che per un mese ha consentito a migliaia di coppie dello stesso sesso di sposarsi e una aggressione omofoba perpetrata ai danni di un giovane nel nord della Francia), il movimento in favore del matrimonio per le persone dello stesso sesso è cresciuto in forza e impatto. Si arriva così alla celebrazione di un matrimonio tra due uomini officiato in comune – con un forte atto di disobbedienza civile aspramente criticato dal Partito Socialista – dal sindaco verde di Bègles, Noël Mamère, e alla contestuale presentazione di una proposta di legge sul matrimonio egualitario, sempre a firma di Mamère, che sarà temporaneamente privato delle sue funzioni pubbliche (e il matrimonio dichiarato nullo). Da quel momento ci sono voluti ancora quasi dieci anni perché il «mariage pour tous» fosse adottato dal Parlamento francese il 23 aprile scorso dopo un dibattito parlamentare ed extraparlamentare che è stato uno dei più lunghi e aspri della quinta Repubblica.

II.

Con la legge sul «matrimonio per tutti», che rende possibile la celebrazione di un matrimonio civile tra due persone dello stesso sesso residenti in Francia[9] la differenza dei sessi ha cessato di essere una precondizione del diritto al matrimonio.[10] Come ha sottolineato Borrillo, dal punto di vista dei rapporti coniugali orizzontali, la riforma ha prodotto un regime che non discrimina tra coppie di sesso diverso o sesso uguale: tra le une e le altre vige un’uguaglianza di diritti (patrimoniali, successori, di rappresentanza,  pensionistici, di acquisizione della nazionalità) e di doveri (coabitazione, fedeltà, sessualità obbligatoria, dovere di soccorso e di assistenza). Quanto ai rapporti verticali, invece, la legge prevede l’accesso alla genitorialità unicamente attraverso il meccanismo dell’adozione, che è attualmente consentita in Francia ai singoli e alle coppie sposate.[11] Dal punto di vista dell’uguaglianza una tale limitazione costituisce, così, il vulnus più problematico della legge, ma non l’unico, tanto che, solo sintomaticamente, il collettivo Oui oui oui (nato per sostenere la rivendicazione di piena uguaglianza giuridica per le coppie formate da persone dello stesso sesso) ha definito l’adozione della legge una «vittoria amara».[12]

Alcuni esempi che mi pare possano corroborare questo giudizio:

– In dicembre il Partito Socialista ha annunciato di volere inserire un emendamento per consentire la PMA (procreazione medicalmente assistita), ma sotto la pressione delle opposizioni fuori e dentro il Parlamento, abbandona l’idea nonostante avesse i numeri per poterlo votare. In Francia la AMP (Assistenza medica alla procreazione) è consentita dal 1994 a coppie eterosessuali sposate, pacsate o in regime di concubinaggio da almeno due anni con problemi di sterilità o in cui uno dei membri sia portatore di malattie gravi trasmissibili al nascituro.[13] Nel suo recente intervento al convegno «Au-delà du mariage», Daniel Borrillo ha ricordato come l’accesso all’AMP sia stato giuridicamente costruito non come un diritto (come nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza o della contraccezione), ma come una via per risolvere problemi che discendono da patologie mediche e che riguardano un modello parentale ben specifico (bi-genitoriale e etero-genitoriale). Non autorizzando la fecondazione assistita, rimane, così, irrisolta la questione delle tantissime donne, eterosessuali o omosessuali, che per poter avere un figlio si recano all’estero (Spagna, Belgio e Olanda sono i Paesi più vicini).

– L’emendamento che prevedeva di sostituire i termini «padre» e «madre» con  «genitore» (che ha suscitato le ire delle opposizioni parlamentari e dei manifestanti in piazza) è stato riformulato così: «le disposizioni del codice civile che si riferiscono a «padre» e «madre» si applicano a genitori dello stesso sesso».

– Il 20 novembre davanti all’Associazione dei sindaci, il Presidente della Repubblica ha maldestramente aperto alla possibilità di riconoscere ai sindaci il diritto di esercitare una forma di obiezione di coscienza. Dinanzi all’indignazione delle associazioni (in primis dell’Interlgbt, i cui rappresentanti sono stati immediatamente ricevuti all’Eliseo), Hollande ha ritrattato, ma il fronte che si opponeva alla legge è stato galvanizzato da questo passo falso politico.[14]

– La legge non prevede alcuna tutela per i figli nati da un progetto di coppia same-sex ora separatesi e la loro situazione resta precaria.

– In una coppia eterosessuale la presunzione di paternità fa sì che il marito non abbia bisogno di adottare il bambino che la moglie partorisce. La legge sul «matrimonio per tutti» non ha esteso la nozione di «presunzione di paternità» (che avrebbe potuto essere configurata, ad esempio, come una più generale «presunzione di genitorialità»). Così, se due donne decidono di sposarsi mentre una delle due è incinta dopo aver fatto ricorso alla fecondazione assistita all’estero, occorre che la sua compagna adotti il bambino che nascerà.

– Non è stata affrontata la questione della gestazione di sostegno (una relazione del Senato del 2008 ne aveva chiesto l’adozione per le coppie eterosessuali). In pieno dibattito, a fine gennaio, la Guardasigilli emette una circolare ministeriale in cui reclama la necessità di non discriminare i bambini di padre francese nati all’estero attraverso la gestazione di sostegno (si tratta di 44 casi negli ultimi 4 anni, di cui 11 nel 2012) chiedendo ai tribunali di applicare la legge che prevede la trascrivibilità in Francia del loro atto di nascita.

La filiazione resta, dunque, l'”impensato” della legge e proprio attorno a tale questione si sono cristallizzate ed espresse le resistenze più forti contro la sua adozione. Esse hanno preso la forma di un’agguerrita e violenta opposizione parlamentare (dove non si è esitato ad amalgamare omoparentalità e terrorismo islamico), di una serie di prese di posizioni ufficiali delle principali istituzioni religiose a difesa di un supposto «interesse (o diritto) del bambino ad avere un padre e una madre» (cui hanno fatto eco gli appelli di psicanalisti e giuristi a non creare bambini “senza origine”) e di una galassia di movimenti associativi, politici e religiosi, i principali dei quali si sono federati in un collettivo denominatosi «Manif pour tous» riconducibile per origine e forme di finanziamento alla Conferenza episcopale francese.[15]

Così, da inizio novembre ad oggi, ondate di violenza verbale, che ricordano i tempi dello striscione «I froci al rogo» esposto nel corso di una manifestazione anti-Pacs o i cori «I finocchi in campo di concentramento» scanditi a Bègles, hanno saturato lo spazio mediatico e riempito le strade e le piazze delle principali città francesi. I topoi classici che razzializzano l’individuo omosessuale come l’essere non normale, non naturale, perverso, narciso, egoista, minaccioso per la sopravvivenza della società, della civiltà, quando non si sposa ma anche quando si sposa – come la teorica queer Eve Kosofsky Sedgwick magistralmente mostra nei suoi libri l’omosessuale non è mai «come si deve» essendo prodotto da un mondo in cui gli eterosessuali detengono il privilegio epistemologico di definire ciò che è assoluto, universale: e non essendo «come si deve» l’omosessuale è ingiuriabile, violabile, verbalmente, fisicamente, violentabile[16] – i topoi classici dell’omofobia, dicevo, sono stati riattivati e traslati dall’individuo (omosessuale) alla coppia (omosessuale). In tal senso, si può parlare di una relativa diacronica stabilità del discorso omofobo con una ricorrenza delle retoriche utilizzate: l’argomento della «fine della civiltà» e della «sovversione dell’ordine naturale», l’argomento della slippery slope, l’argomento delle priorità (che sono sempre altre).

Papi, vescovi e cardinali hanno aperto le danze: il 15 agosto 2012 il Cardinale Vingtrois ha invitato tutte le diocesi a recitare una preghiera alla Madonna per il bene dei bambini e l’avvenire della civiltà, Benedetto XVI in settembre ha incoraggiato i francesi a « raccogliere la sfida » e a rispondere alla minaccia lanciata da un progetto di legge che mina  i fondamenti della natura umana. Le gerarchie ecclesiastiche hanno tenuto anche a chiuderle le danze: pochissimi giorni fa il nuovo Papa ha invitato i parlamentari francesi a non esitare ad «abrogare legislazioni contrarie» ai dettami della Chiesa. Ma Cardinali e Pontefici sono in folta compagnia. Molti psicanalisti e psicologi erano con loro, anche se, rispetto all’epoca del dibattito sul PaCS, il fronte non è più compatto: una petizione che ha raccolto più di 1500 firme di terapeuti ha chiesto di non usare la psicanalisi come strumento normativo contro l’adozione della legge. Centosettanta tra docenti e ricercatori di diritto hanno manifestato la loro opposizione all’adozione della normativa scrivendo una lettera ai senatori nella quali li invitavano a non votare una legge che avrebbe «privato di un’origine» i bambini di coppie dello stesso sesso perché «il desiderio egoista porta alla fabbricazione di bambini senza origine e all’organizzazione di un vero e proprio mercato di bambini».

Se Papi e cardinali sono intervenuti a monte e a valle del processo legislativo, nei mesi della discussione del progetto di legge la scena mediatica è stata occupata dalle migliaia di partecipanti alle manifestazioni organizzate dai contro-movimenti che si sono succedute con un ritmo martellante e sempre più accelerato sino a diventare veglie quotidiane o preghiere di strada che non hanno, tuttavia, suscitato nel mondo politico reazioni di indignazione pari a quelle che i politici francesi riservano abitualmente a manifestazioni religiose di altri culti. La gerarchizzazione delle reazioni politiche in funzione dell’appartenenza religiosa sono specifiche alla laicité francese da almeno un ventennio – ha scritto pochi giorni fa la femminista francese Christine Delphy sul suo blog.

La «Manif pour tous» riunisce 37 associazioni ed è finanziata con doni di principale provenienza dall’associazionismo familialista cattolico. Diverse inchieste  hanno mostrato come più della metà delle associazioni siano meri prestanome e, le restanti, siano direttamente legate alla Conferenza episcopale. Alcuni gruppi di estrema destra – Civitas è il più noto – hanno rivendicato una loro non assimilabilità alla «Manif pour tous», considerata troppo poco integralista, e hanno scelto di organizzare manifestazioni separate. A partire da aprile, dalla «Manif pour tous» si è staccata un’altra frangia estrema che ha dato vita al movimento cosiddetto del «Printemps français» che ha spinto ad una radicalizzazione dello scontro.

La portavoce della «Manif pour tous» è stata fino a maggio scorso l’umorista cattolica Frigide Barjot (il nome d’arte ricalca deformandolo in modo grottesco quello della Bardot) che nel corso dei mesi non ha smesso di giocare su un doppio registro.[17] Da un lato, Barjot rivendicava di essere «gay friendly», sfilando alle manifestazioni con il giubbino di un noto locale gay parigino e vantandosi di essere stata ai pride,[18] dall’altro, non esitava a parlare di «dittatura parlamentare» o a rilasciare gravi dichiarazioni come quella del 12 aprile : «Hollande vuole sangue? Ebbene ce l’avrà!».

Sulla questione della filiazione era intervenuta a gennaio la filosofa queer Beatriz Preciado con una splendida tribuna su Libération intitolata «Chi difende il bambino queer» in cui ha posto al centro del dibattito sul «mariage pour tous» la naturalizzazione della norma sessuale e la sua inculcazione nei corpi e nelle categorie mentali:[19]

«Il-bambino-da-difendere di Frigide Barjot è il prodotto di un dispositivo che fa paura, è l’alibi che permette all’adulto di naturalizzare la norma. La polizia del genere sorveglia la culla dei nascituri per trasformarli in bambini eterosessuali. La polizia del genere esige qualità differenti dal bambino e dalla bambina. Lavora i corpi fino a far pensare gli organi sessuali come meramente complementari. Prepara la riproduzione dell’eterosessualità, dalla scuola al Parlamento, la industrializza. Il bambino che Frigide Barjot vuole proteggere è la creatura prodotta da una macchina dispotica. I manifestanti del 13 gennaio non hanno difeso il diritto dei bambini. Difendono il potere di educare i bambini secondo la norma sessuale e di genere. Costoro sfilano nelle strade per mantenere il diritto di discriminare, di punire, ma anche per ricordare ai genitori di bambini non-eterosessuali che il loro dovere è quello di vergognarsene, di rifiutarli, di correggerli. Noi difendiamo invece il diritto dei bambini a non essere educati forza-riproduzione dell’ordine sessuale eteronormativo».

Se osserviamo in un’ottica diacronica le vicende degli ultimi mesi e li paragoniamo a quanto avvenne all’epoca dell’approvazione del PaCS mi pare che si possano evidenziare alcune discontinuità maggiori.

(a) Una parte di chi è ferocemente contro la legge tiene a definirsi «non omofobo»: ci si dice non omofobi, per poi perpetrare forme di discriminazione nei confronti delle persone non-eterosessuali… Ma esiste davvero una soluzione di continuità tra insulti e violenze fisiche e la violenza simbolica delle istituzioni che negano pari dignità alle persone non eterosessuali prese individualmente o nella loro vita di relazione?

(b) Alcuni intellettuali o politici che si erano schierati contro le unioni e le famiglie omoparentali all’epoca dell’adozione del PaCS hanno affermato di aver cambiato idea. Il caso più eclatante di riposizionamento è certamente quello della sociologa Irène Théry, ma anche moltissimi leader socialisti erano fino a poco tempo fa contrari o reticenti: Ségolène Royal, Élisabeth Gigou, Marc Ayrault… (Lionel Jospin resta inquieto e perplesso). È certamente lecito cambiare idea ed è intellettualmente e politicamente corretto ammetterlo esplicitamente. Certamente è altrettanto lecito pensare che sia molto meno conveniente politicamente in Francia dire oggi che la famiglia è universalmente «l’articolazione della differenza dei sessi con la differenza delle generazioni» o che la differenza tra i sessi fondi l’ordine simbolico sul quale poggia la civiltà, la cultura, il pensiero, la parola, come Théry sosteneva allora nei suoi articoli e nel rapporto ufficiale per il governo sulla riforma del diritto di famiglia commissionatole dalla Ministra della Giustizia di allora (Élisabeth Gigou). O parlare (citando Pierre Legendre) di «concezione macellaia della filiazione» affermando che «gli ayatollahs dell’uguaglianza ci spingono verso un diritto che sarebbe assolutamente uguale per tutti. Cosa che ha di che inquietare molto».[20]

Questi cambiamenti di opinione si accompagnano all’emergere di una nuova posizione che non si richiama più ad una fantomatica «antropologia» fondata su un ipotetico «ordine simbolico» eterosessuale quale precondizione per l’ingresso nell’umanità, per l’accesso al pensiero e alla parola, ma ricorre all’argomento delle origini biologiche per definire se e come lo Stato debba riconoscere filiazioni giudicate «problematiche», «non naturali». Da più parti si comincia a chiedere di togliere l’anonimato dei donatori di gameti e l’iscrizione dell’origine biologica in quello che in Francia è il livret de famille, confondendo il diritto soggettivo di ognuno a conoscere, se lo desidera, le proprie origini biologiche e la costruzione simbolica della filiazione come sempre e comunque eterosessuale.[21] Detto altrimenti, il riconoscimento giuridico della procreazione medicalmente assistita sarebbe ammissibile a condizione di iscrivere la filiazione biologica nei documenti ufficiali, facendo in tal modo della famiglia omoparentale una famiglia sempre e comunque ricomposta. Ma la legge ha per missione di istituzionalizzare il sesso dei donatori di gameti o piuttosto quella di normare la funzione genitoriale? In tal senso, stiamo assistendo al sorgere di una nuova forma di doxa differenzialista che si ostina a riproporre il dogma della differenza sessuale come presupposto “naturale” dell’ordine familiare e riprodurre, in tal modo, l’inferiorizzazione della persone non eterosessuali e dei loro figli.[22]

(c) Per opporsi alla denaturalizzazione dell’ordine sessuale prodotta da ricerche iscrivibili nell’ambito degli studi di genere e sessualità, la Chiesa cattolica ha inventato dalla fine degli anni ’90 una fantomatica «teoria del genere».[23] Si tratta di un artefatto teorico che deforma e caricatura quello che viene prodotto da alcuni decenni ormai nel campo degli studi di genere e sessualità affermando che tali ricerche sono mera «ideologia» che «nega la realtà» e fa del sesso e della sessualità questioni che sarebbero dell’ordine di scelte  «egoistiche e narcisistiche» di individui «astratti e asessuati». Gli studi di genere e sessualità affermano certamente l’immanenza dell’ordine sessuale (con le sue gerarchie tra i sessi e le sessualità), ma, contrariamente a quanto sostenuto da coloro che hanno inventato «la teoria del genere», indagano le modalità storiche e i processi sociali attraverso i quali le strutture sociali che definiscono tale ordine sono naturalizzate e iscritte come naturali nelle categorie mentali e istituzionali. La forza di tale strategia del Vaticano risiede nella vis formae propria dei discorsi d’autorità (com’è quello tenuto dalla Chiesa), capaci di produrre ciò che enunciano. Nel corso del dibattito sul «mariage pour tous» l’espressione «teoria del genere» è migrata dai testi del Vaticano alla protesta in piazza, facendo la sua comparsa negli slogan e sulle banderuole delle «Manif pour tous».[24] Scrivendone e performandola, il Vaticano è riuscito, così a farla esistere. È di pochi giorni fa una dichiarazione del Ministro dell’Education nazionale, Vincent Peillon, che ha affermato che il suo ministero lotta per l’uguagliaza tra donne e uomini, ma è «contro la teoria del genere che nega la differenza biologica».[25] In una lettera aperta inviata al Ministro da alcuni ricercatori che hanno reagito a questa forma di legittimazione di una impostura, gli autori hanno ricordato che la « teoria del genere » non esiste e che, lungi dal voler mostrare che non esistono differenze fisiologiche tra le persone – «sarebbe come pensare che gli studi sociali sulla razializzazione avessero per obiettivo di negare l’esistenza del colore della pelle» –, le ricerche che si iscrivono nel campo degli studi di genere studiano le modalità attraverso le quali differenze biologiche in sé non significative socialmente, lo diventano attraverso un sistema pervasivo di dispositivi sociali che producono i sessi (o il colore della pelle) come origine, fondamento naturale (ovvero immutabile) del posto che gli individui occupano in seno alla società.[26]

III.

Chiuderei proponendo tre considerazioni sull’articolazione tra norma e sovversione con cui ho aperto l’intervento.

1.

Mi pare che il dibattito sul cosiddetto «matrimonio omosessuale» mostri il nesso costitutivo che lega norma sessuale e lo Stato nazionale: la questione di quale sia la definizione legittima ed efficiente in un dato spazio nazionale di «coppia», di «famiglia», di «matrimonio» attraversa il corpo dello Stato tanto verticalmente che orizzontalmente (Parlamento, potere giudiziario) e si configura come la posta in gioco di una battaglia che coinvolge diversi attori istituzionali (in primis la Chiesa cattolica) nell’ambito della quale lo Stato funziona come «banca centrale di capitale simbolico» (l’espressione è di Pierre Bourdieu) che ha il potere di nominare e, nominando, attraverso la vis formae delle norme giuridiche, di creare le identità e le unioni legittime in un dato spazio nazionale in un dato momento storico. A tale proposito, a partire da interrogazioni e analisi prodotte già negli scritti del Black Feminism o da autori quali George L. Mosse o Joan Scott, si sta sviluppando un interessante cantiere di studi dedicato ai «nazionalismi sessuali» ovvero allo studio sincronico e diacronico degli intrecci tra fabbricazione della norma sessuale e costruzione dell’identità nazionale.[27]

2.

Riconoscere il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso è un atto che mina l’ordine familiare e l’ordine sessuale tradizionale ovvero i pilastri su cui poggia la riproduzione dell’ordine sociale. Per questo è così intollerabile da suscitare tante violente resistenze. Nel suo intervento al convegno «Au-delà du mariage» Didier Eribon ha parlato di atto di «sovversione strutturale» che mina l’integrità delle categorie mentali attraverso cui pensiamo e viviamo nel mondo e, per tale via, solleva la questione dell’impensato, dell’impensabile, di ciò che non viene interrogato perché “va da sé”, è evidente, è automatico (per esempio, la maggioranza di noi non ha problemi a compilare rapidamente e senza difficoltà un formulario dello stato civile). Producendo, per così dire, una torsione nel diritto, “queerizzando” (queer deriverebbe da torquere, torcere) ciò che di straight, di dritto, di eteronormato c’è nella norma giuridica, il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce ciò che lo storico George Chauncey nel suo magistrale saggio Why Marriage definisce la sovversione di una cosmologia, minando la credenza di senso comune che la gerarchizzazione tra eterosessualità e non-eterosessualità (e così pure la complementarietà tra uomini e donne) sia un fatto di natura.[28] Lungi dal produrre una reale uguaglianza di «poter fare o dire» per i soggetti minoritari, l’acquisizione di uno statuto giuridico rappresenta una importante rottura della soglia percettiva:  produce un «nome reale e irrevocabile: ciò che il diritto nomina esiste», dando vita, in tal modo, ad una «resistenza nuova» nei confronti dei dispositivi discorsivi (religiosi, morali, (pseudo)scientifici) che inferiorizzavano i gruppi minoritari.[29]

3.

Mi pare che la questione della rivendicazione in favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso ci inviti a pensare i gruppi minoritari oltre la tradizionale dicotomia che li rappresenta come un’illusione da dissipare per via di assimilazione AUT come una natura irriducibilmente differente da non tradire. La situazione minoritaria «si inserisce nella storia» (Guillaumin), è coessenziale all’oppressione, non le preesiste e cambia con il cambiare di quest’ultima. In questa capacità critica di lavorare sui limiti, di storicizzare, alterare, spostare, torcere le frontiere socialmente considerate come naturali ed intoccabili (tra uomini e donne, tra eterosessuali ed omosessuali, tra privato e pubblico, tra morale e politica, tra “noi” e “loro”) risiede il potenziale critico degli studi e delle rivendicazioni minoritarie. La sovversione da loro prodotta – che ne La grana della voce Roland Barthes definiva come «deviazione delle cose, portandole in un luogo diverso e nuovo» – opera mostrando che le strutture sociali dell’ordine sessuale sono costruite (e che lo sono molto solidamente!), aprendo così margini di manovra per pensarle (ed agirle) come variabili, contestabili, dis-facibili.

La lotta minoritaria si configura così, ad un tempo, come lotta situazionale (spostamento delle frontiere, diversa inclinazione delle gerarchizzazioni) e pensiero critico che immagina una loro disparizione. Penso alle riflessioni di Wittig o di Delphy sul disfacimento della pertinenza del sesso, all’invito di Foucault ad immaginare un «nuovo diritto relazionale», alle analisi di Deleuze o Guattari sulla “disedipizzazione” delle soggettività, all’utopia barthesiana di un mondo dove «non ci fossero che infinite differenze, così che differenziare non significherebbe più escludere». Il valore euristico di tali rivendicazioni e studi è quello di attaccare proprio il cuore del senso comune, della doxa: la credenza nella naturalità dei gruppi sessuali o, più in generale, dei gruppi sociali. Cito Colette Guillaumin a riguardo : «Si tratta del fatto che i problemi non sono più posti allo stesso modo. (…) Dalle rivendicazioni minoritarie le scienze sociali hanno acquisito il fatto che i gruppi sociali sono l’esito di relazioni e non meri “elementi” che costituiscono tali relazioni. (…) Dagli oppressi viene la contestazione radicale del fatto che si possa pensare il mondo in termini di essenze, da loro nasce il sapere che nulla avviene che non sia storia».  Non so quanto sia acquisito, per questo mi sembra importante continuare a lavorare perché nulla di ciò che avviene possa non essere pensato come dell’ordine della storia e della politica.


[1] Dottoranda presso l’EHESS di Parigi. Tra le sue ultime pubblicazioni «Denaturalizzare il normale. L’interrogazione paradossale degli studi di genere e sessualità» in Culture della sessualità. Identità, esperienze, contesti, dir. E. Asquer, «Genesis», 2012.

[2]  Come apparirà chiaro, alcune note sono state aggiunte successivamente.

[3] Tengo a ringraziare Daniel Borrillo per la generosità con cui segue e alimenta le mie ricerche sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ringrazio Francesco Bilotta, Marco Gattuso e Antonio Rotelli per l’interesse con cui hanno accolto la mia presentazione al convegno di Palermo e la disponibilità senza fine che non mancano di dimostrarmi e gli/le autori/trici dei referaggi per le preziose indicazioni fornitemi.

[4] In tal senso, penso, in particolare, alle ricerche di Colette Guillaumin sulla costituzione delle soggettività minoritarie: Colette Guillaumin, Sexe, Race et Pratique du pouvoir. L’idée de Nature, Paris: Côté-femmes, 1992 e L’idéologie raciste. Genèse et langage actuel, Paris: Gallimard, 2002 (ed. orig. Paris: Mouton & Co., 1972).

[6] Il fronte cui ci si riferisce spazia dai gruppi di sinistra radicale e queer come Act Up-Paris, Les Panthères Roses o le DurEs à Queer a Gaylib (associazione di lgbt di centro-destra legata fino al gennaio di quest’anno all’UMP, principale partito della destra francese), passando per Homosexualité et Socialisme (vicina al PS), David et Jonathan («movimento omosessuale cristiano»), l’APGL (Association des Parents Gays et Lesbiens) o l’Interlgbt (che federa le associazione che organizzano il Pride parigino).

[7] Per una critica della rivendicazione e una proposta politica alternativa, vedi l’articolo di Gianfranco Rebucini, «Mariage pour tous» et émancipation sexuelle. Pour une autre stratégie politique».

[8] Le Monde pubblica nel 1996 l’appello «Pour une reconnaissance légale du couple homosexuel» firmato da un gruppo di intelletuali (Pierre Bourdieu, Jacques Derrida, Didier Eribon, Michelle Perrot, Paul Veyne e Pierre Vidal-Naquet) e nel 2004 il «Manifeste pour l’égalité des droits» su matrimonio e diritti di filiazione a firma di Daniel Borrillo e di Didier Eribon.

[9] In ragione di accordi bilaterali che prevedono che la legge sul matrimonio da applicarsi in caso di matrimonio binazionale sia quella del paese d’origine, alcune coppie same-sex binazionali si stanno vedendo rifiutare la celebrazione del matrimonio in Francia. L’associazione Ardhis (che si occupa dei diritti di soggiorno delle persone non-eterosessuali) è già sul piede di guerra con il Ministero degli Esteri per la modifica degli accordi (vedi streetpress.com).

[10] Nel 2005 il Tribunale di Nanterre aveva rifiutato di celebrare un matrimonio tra una transessuale e una transgender (rispettivamente donna e uomo allo stato civile), a Nancy nel 2011 è stato, invece, celebrato il matrimonio tra due donne (una delle due transgender non avendo dato la prova dell’avvenuto cambio di sesso non ha beneficiato del cambio di stato civile da uomo a donna).  Sino ad oggi, se un congiunto desiderava cambiare sesso non poteva ottenere il cambiamento di stato civile restando sposato. v. Éric Fassin «Les leçons inattendues du mariage trans» pubblicato su Libération nel giugno del 2011.

[11] Per un inquadramento storico e critico della normativa che regola l’adozione, i procedimenti di «certificazione»  delle coppie e la naturalizzazione dell’ordine familiare eterosessuale rimando a Bruno Perreau,  Penser l’adoption. La gouvernance pastorale du genre, Puf, 2012.

[12] vedi ouiouioui.

[13] Legge di bioetica 2004-800, di cui alcune disposizioni sono state riviste dalla legge del 7 luglio 2011.

[14] Il 18 ottobre è stata resa pubblica la decisione del Conseil Constitutionnel di conformità alla costituzione delle disposizioni del codice civile riguardanti il matrimonio tra persone dello stesso sesso nella parte in cui non prevedono alcuna possibilità per i sindaci o per i loro sostituti di ricorrere all’obiezione di coscienza e dunque rifiutarsi di celebrare tale matrimonio. È stata così respinta la richiesta del «Collectif des Maires pour l’enfance» di riconoscere il diritto di obiettare, delegando la celebrazione al prefetto o ai suoi delegati. Per gli obiettori, sindaci e loro delegati, sono previste la reclusione fino a cinque anni e una pena pecuniaria di 75.000 euro come da circolare del 13 giugno scorso, inviata dal ministro dell’Interno Manuel Valls ai prefetti. Proprio di tale circolare, il Collectif aveva chiesto il 2 luglio l’annullamento al Conseil d’État che il 16 settembre aveva dichiarato ricevibile la questione, rimandandone il giudizio di constituzionalità al Conseil Constitutionnel. Vedi l’articolo di Fabio Chiovini «Corte costituzionale francese: i sindaci non possono rifiutarsi di celebrare i matrimoni fra persone dello stesso sesso» pubblicato il 21 ottobre su ARTICOLO29 ].

[15] Le Monde pubblica un’inchiesta in proposito il 21 marzo di quest’anno «Derrière la grande illusion de la “Manif pour tous”» .

[16] Negli ultimi mesi le violenze omofobiche sono triplicate in Francia. Vedi i siti internet si SOS-Homophobie (www.sos-homophobie.org) o dell’associazione Le Refuge (www.le-refuge.org).

[17] Barjot ha fondato ora il movimento «Avenir pour tous».

[18] Barjot ha tenuto, tra l’altro, ad inviare ufficialmente i suoi auguri alla prima coppia di uomini sposatasi a Montpellier nel giugno di quest’anno.

[19] vedi Liberation.

[20] Vedi a tale proposito il post del 2 dicembre pubblicato da Didier Eribon sul suo blog e, a seguire, la serie di post sotto la voce «Per una storia della discriminazione» (8, 10, 12 gennaio 2013). Sul continnum omofobo Théry/Barjot vedere il post del 26 aprile.

[21] Nel suo intervento al convegno «Au-delà du mariage», Daniel Borrillo ha parlato di rinaturalizzazione dell’ordine familiare eterosessuale.

[22] Vedere l’intervento di Daniel Borrillo al convegno « Au-delà du mariage» e l’intervista di Didier Eribon a Les Temps.

[23] Mi permetto di rinviare al mio articolo «Le Vatican contre le genre comme catégorie analytique. Structure et enjeux d’un discours d’institution réactionnaire» (in corso di pubblicazione).

[24] In Italia, in concomitanza con la discussione in sede parlamentare delle proposte di legge contro l’omofobia si è assistito ad un pullulare di convegni e interventi contro «la teoria del genere»: «Teoria del genere: per l’uomo o contro l’uomo?» (21 settembre a Verona), «Gender, omofobia, transfobia: verso l’abolizione dell’uomo» (22 settembre a Casale), «La legge sull’omofobia: fattispecie e conseguenze pratiche» (30 settembre a Pavia), «Ideologia del gender, omofobia e unioni civili omosessuali, un itinerario contro la famiglia» (1 ottobre a Milano), «Ideologia del Gender: quali ricadute sulla famiglia ?» (24 ottobre a Milano).

[25] L’espressione  «teoria del genere» è usata dal Ministro senza le virgolette.

[26] «La théorie du genre: réponse au ministre Vincent Peillon» di Alexandre Jaunait, Anne Revillard, Laure Bereni e Sébastien Chauvin, Libération, 10 giugno 2013.

[27] Sui nazionalismi sessuali v. le ricerche di Éric Fassin e il numero monografico di «Raisons politiques» (49/2013) diretto da A. Jaunait, A. Le Renard, E. Marteau.

[28] George Chauncey, Why Marriage: The History Shaping Today’s Debate Over Gay Equality. Basic Books, 2004.

[29] Colette Guillaumin, L’idéologie raciste. Genèse et langage actuel. Gallimard, [1972] 2002.

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