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Nota a Corte EDU, Vallianatos e altri c. Grecia

Con la decisione del 7 novembre, la Grande Chambre della Corte europea dei diritti umani ha giudicato illegittima la normativa greca che prevedeva unioni civili riservate soltanto a coppie formate da persone di sesso diverso, escludedo le coppie omosessuali, in quanto in contrasto con gli articoli 14 (divieto di discriminazione) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti umani .

 di Lucilla Conte*

1. Il tema della decisione

Con la pronuncia in commento, Vallianatos e altri c. Grecia (Grande Chambre, ric. n. 29381/09 e n. 32684/09), 7 novembre 2013, la Grande Chambre della Corte EDU  ha giudicato in contrasto con gli articoli 14 e 8 della Convenzione EDU la normativa, introdotta in Grecia con legge n.3719/2008 denominata  “Riforme concernenti la famiglia, i figli e la società”.

Tale legge istituisce per la prima volta in Grecia la possibilità di contrarre unioni civili, riservandola tuttavia esclusivamente a persone di sesso diverso (il dettato della Sezione I è chiaro: «A contract between two different-sex adults governing their life as a couple (“civil union”) shall be entered into by means of a notarized instrument in the presence of the parties. The contract shall be valid from the date of which a copy of the notarized instrument is lodged with the civil registrar for the couple’s place of residence. It shall be recorded in a special civil register»).

La ratio della legge n.3719, come emerge anche dalla relazione di accompagnamento, è quella di conferire un riconoscimento giuridico alle  unioni non matrimoniali – le quali rappresentano un modello relazionale affermatosi con un certa frequenza all’interno della società, e in rapporto al quale possono svilupparsi esigenze di tutela ulteriore (come quella del/dei figlio/i nati all’interno di tali unioni) cui il legislatore non intende restare indifferente.

Nella presente vicenda, tuttavia, l’attivismo del legislatore greco, nell’istituire un regime di unioni civili esclusivamente eterosessuali, agisce in un modo che è dalla Corte EDU giudicato imperfetto, in quanto non tiene conto dell’effetto discriminatorio che tale disciplina inevitabilmente comporta in relazione alle coppie omosessuali conviventi. Questo profilo relativo ad un potenziale contrasto con l’art.14 della Convenzione EDU, peraltro, era già stato evidenziato dalla Commissione nazionale per i diritti umani, e tuttavia marginalizzato dal Ministro della Giustizia greco sulla base della considerazione per cui la società non fosse ancora pronta ad accettare un riconoscimento giuridico anche per le unioni formate da persone dello stesso sesso.

2. La posizione dei ricorrenti e del Governo

I ricorrenti (Vallianatos e Mylonas, oltre ad altre sei coppie omosessuali anonime e all’associazione “Synthessi – Information, Awareness-raising and Research”, cui tuttavia non è riconosciuto dalla Corte EDU lo status vittima della violazione della Convenzione ai sensi dell’art.34 CEDU), lamentano non la mancata introduzione, in Grecia, di una disciplina delle unioni omosessuali tout-court, ma l’ingiustificata discriminazione derivante dalla esclusione delle coppie omosessuali dalla possibilità di contrarre un’unione civile ai sensi della legge n.3719/2008. Tale discriminazione si traduce in una violazione combinata degli articoli 14 e 8 della Convenzione e si pone in controtendenza con risoluzioni europee anche recenti (come quella dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa n.1728 del 29 aprile 2010) le quali sollecitano gli Stati membri ad assicurare (laddove la legislazione nazionale preveda tali forme di riconoscimento) eguale riconoscimento legale alle coppie formate da persone dello stesso sesso.

Il Governo, d’altro canto, lamenta il mancato esperimento, da parte dei ricorrenti, dei rimedi interni, in primis dell’azione per il risarcimento di cui all’art.105 della Introductory Law to the Civil Code greco. In particolare, viene sottolineato che, dal momento che in Grecia il controllo di costituzionalità è di tipo diffuso ed incidentale, i ricorrenti avrebbero dovuto porre alle corti interne la questione relativa alla natura discriminatoria della legge n.3719/2008, ai fini di valutarne la compatibilità costituzionale e la conformità con la Convenzione EDU (ratificata in Grecia con Decreto legislativo n.53/1974). Inoltre, il Governo dichiara come la legge n.3719 risponda principalmente ad esigenze sociali di regolazione e protezione nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, non contemplando quindi forme di tutela per le coppie formate da persone dello stesso sesso (§ 62 della pronuncia). Per queste ultime, a parere del Governo, resta la possibilità di ricorrere agli strumenti del diritto privato per regolare aspetti della loro vita in comune (§ 66 della pronuncia).

3. Le argomentazioni sviluppate dalla Corte EDU

La Corte EDU, facendo proprie le argomentazioni addotte su questi punti dai ricorrenti, sottolinea come il requisito del preventivo esperimento dei rimedi interni previsto dall’art.35 della Convenzione debba essere valutato alla luce della azionabilità in concreto di tali rimedi.

In particolare, il rimedio compensativo interno di cui all’art.105 della Introductory Law to the Civil Code non farebbe venire meno la violazione continua degli articoli 14 e 8 della Convenzione operata dalla l. n.3719/2008. Tale normativa, infatti, si colloca in aperto contrasto con la prospettiva di vita familiare individuata dalla Corte EDU e nella quale è ricondotta ogni ipotesi stabile di convivenza, etero od omosessuale, con conseguente comparabilità delle due situazioni (cfr. Corte EDU, Schalk e Kopf c. Austria, decisione del 15 marzo 2010, §78).

In relazione  a questo quadro, la normativa greca in oggetto determina una selezione in grado di produrre discriminazione, e che viene valutata dalla Corte in termini di verifica della sua obiettività e razionalità. La Sezione 1 della l. n.3719/2008, riservando espressamente la possibilità di contrarre un’unione civile soltanto a due persone di sesso diverso, introduce una differenza di trattamento basata sull’orientamento sessuale la quale – come è noto –  per risultare ammissibile richiede giustificazioni particolarmente chiare e circostanziate (riducendo, di conseguenza, anche il margine di apprezzamento statale, cfr. §77 della pronuncia).

L’argomento governativo, relativo al possibile utilizzo degli strumenti di diritto privato per regolare aspetti della vita della coppie omosessuali conviventi, a giudizio della Corte EDU non persuade: esso infatti non pare tenere conto del rilievo pubblico derivante dal riconoscimento giuridico nei confronti dell’unione in quanto tale, e del fatto che «same sex couples are just as capable as different sex couplet of entering into stable committed relationships» (§81 della pronuncia).

Da ultimo, la Corte EDU è molto chiara nel mantenere distinte le prospettive del riconoscimento delle unioni non matrimoniali e della tutela della filiazione (che invece la normativa greca, anche strategicamente, sembra volere mescolare tra di loro), ritenendo non opportuna una funzionalizzazione delle prime alla seconda (§83 della pronuncia).

La Corte EDU, poi, nota (al §90 della pronuncia) una significativa asimmetria: le unioni civili introdotte con la legge n.3719/2008 si configurano come una opzione nella disponibilità delle coppie eterosessuali, mentre risultano negate alle coppie omosessuali (rispetto alle quali esse costituiscono l’unico strumento per ottenere un riconoscimento giuridico della propria unione).

La Grecia, dunque, introducendo una normativa sulle unioni civili riservata alle sole coppie formate da persone di sesso diverso, si è collocata (insieme alla Lituania) in una posizione isolata nel contesto europeo, ove invece la posizione delle coppie eterosessuali ed omosessuali conviventi può giovarsi di orizzonti di tutela maggiormente omogenei. La Corte precisa che tale posizione isolata non implica, di per sé, una violazione della Convenzione, ma impone che vengano addotti argomenti convincenti per motivare l’esclusione di determinate categorie di soggetti dagli obiettivi della normativa nazionale.

Questo, nel presente caso, non avviene, e la Corte EDU, pertanto, dichiara con un voto di 16-1 la violazione congiunta degli articoli 14 e 8 della Convenzione.

La Corte di Strasburgo, all’interno della pronuncia, richiama la sua più recente giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’articolo 8 della Convenzione, combinata con l’art.14 della stessa: la nozione di vita privata e familiare di cui all’art.8 CEDU non  può, infatti, essere confinata alle sole coppie eterosessuali coniugate o stabilmente conviventi, potendo infatti essere estesa ad altre ipotesi di unione (come quelle omosessuali), come affermato dalla stessa Corte EDU in Schalk e Kopf c. Austria, (ric. 30141/04 decisione del 15 marzo 2010, § 94) e, successivamente ribadito in X e altri c. Austria (ric. 19010/07 decisione del 19 febbraio 2013). Pertanto, laddove il legislatore intenda innalzare il livello di protezione giuridica nei confronti delle unioni di fatto (istituendo, come nel presente caso, una disciplina a loro dedicata), non potrà agire in modo selettivo, limitandolo esplicitamente e  programmaticamente alle sole coppie eterosessuali.

La ratio che sta alla base del riconoscimento giuridico delle unioni non matrimoniali risiede, infatti, nell’opportunità di valorizzare positivamente ipotesi e situazioni relazionali non riconducibili allo schema matrimoniale, e in ogni caso meritevoli di tutela non soltanto per i risultati (di carattere solidaristico ed assistenziale) che producono all’interno del tessuto sociale, ma anche in quanto costituiscono formazioni sociali all’interno delle quali i singoli individui trovano occasione di positiva realizzazione personale (su questo profilo, cfr. Corte costituzionale italiana, sent. n.138/2010, nella sua argomentazione in riferimento al parametro di cui all’art.2 Cost., che è dalla stessa Corte individuato quale fondamento giuridico per l’introduzione di una futura disciplina legislativa per le convivenze tra persone dello stesso sesso). Limitare, come avviene nella legge greca, gli obiettivi dell’introduzione di una disciplina per le convivenze al principale fine della protezione giuridica dei figli nati all’interno di una unione non matrimoniale eterosessuale, costituisce a giudizio della Corte EDU, un percorso né logico, né razionale. Esiste infatti una sproporzione tra il mezzo identificato (l’introduzione di una disciplina delle unioni civili) e il fine dichiarato come principale (la protezione dei figli biologici dei conviventi): lo strumento adottato, infatti, costituisce uno schema di tutela ampio e da un lato non esclusivamente riconducibile alle sole esigenze di protezione nei confronti della prole (la cui esistenza, peraltro, costituisce una eventualità); dall’altro lato, proprio in riferimento all’interpretazione della nozione di vita familiare fornita dalla Corte EDU, non può essere limitato alle sole coppie eterosessuali.

In concreto, dunque, il Governo greco non è riuscito a difendere in modo convincente una normativa che di fatto traduce in termini giuridici un giudizio morale sull’omosessualità, escludendola da un perimetro di tutela esplicitamente riservato alle sole coppie formate da persone di sesso diverso.

Operazioni di questo tipo sono state definite dalla Corte Suprema degli Stati Uniti con un’espressione suggestiva: “writing inequality” (US Supreme Court, United States v. Windsor, decisione del 26 giugno 2013, p.22 del testo della pronuncia): in quel caso, si trattava all’interno del Defense Of Marriage Act del 1996, del riferimento, ai fini della applicazione della normativa federale, alle sole coppie eterosessuali coniugate (con conseguente esclusione delle coppie omosessuali legittimamente coniugate); in questo caso, si tratta del riferimento, ai fini della possibilità di contrarre un’unione civile, alle sole coppie eterosessuali (con conseguente esclusione delle coppie omosessuali conviventi).

Questa operazione di selezione, espressamente indicata all’interno dei testi normativi, li espone giocoforza ad un più stringente controllo in funzione antidiscriminatoria.

4. Questioni relative agli effetti e al seguito della pronuncia

Vallianatos e altri c. Grecia si colloca tra le pronunce della Corte di Strasburgo (in tema di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale con particolare riferimento alla sfera della vita privata e familiare) in cui la normativa oggetto del ricorso viene esaminata attraverso un utilizzo combinato degli articoli 14 e 8 della Convenzione (tra tutte, Karner c. Austria, n.40016/98 del 24 luglio 2003; Kozak c. Polonia, n.13102/02 del 2 marzo 2010; P.B. e J.S. c. Austria, n.18984/02, 22 luglio 2010; Schalk e Kopf c. Austria, n.; X e altri c. Austria, n.19010/07 del 19 febbraio 2013). Come si è avuto modo di vedere più sopra, la distinzione operata dalla normativa greca, che introduce, accanto all’istituto del matrimonio, un nuovo strumento giuridico (unione civile) limitato alle sole coppie formate da persone di sesso diverso – con conseguente esclusione delle coppie omosessuali dalla possibilità di accedervi – costituisce il prodotto di una discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale «unacceptable under the Convention» (§77 della pronuncia).

È stata già sottolineata (R. Conti, La Corte dei diritti umani e le unioni civili negate alle coppie omosessuali. Osservazioni a primissima lettura su Corte dir. uomo, Grande Camera, 7 novembre 2013 – ric. n. 29381/09 e n. 32684/09) l’opportunità di riflettere sugli effetti della pronuncia Vallianatos e altri c. Grecia sul piano nazionale, soprattutto in relazione al fatto che i ricorrenti avevano “bypassato” le azioni giudiziarie interne. Ciò era avvenuto, a giudizio dei ricorrenti (sulla base di considerazioni in parte condivise dalla stessa Corte EDU) in quanto il rimedio pecuniario disponibile in base al dettato dell’art.105 della Introductory Law to the Civil Code non avrebbe potuto configurarsi come satisfattivo in relazione alla continuata e permanente violazione degli articoli 14 e 8 CEDU operata dalla legge n. 3719/2008, senza intervenire in alcun modo sull’asimmetria creata da quest’ultima tra coppie eterosessuali ed omosessuali conviventi in relazione all’accesso alle unioni civili.

La pronuncia della Corte di Strasburgo non incide su questo quadro, e neppure formula, sul punto, specifiche raccomandazioni alle autorità greche. L’art.46 della CEDU non è esplicitamente richiamato, e si fa riferimento all’art.41 della Convenzione quale fondamento posto alla base del risarcimento del danno non patrimoniale da corrispondersi ai ricorrenti «if the internal law of the High Contracting Party concerned allows only partial reparation to be made».

In relazione agli elementi appena richiamati, appaiono forse eccessive le preoccupazioni manifestate dal giudice Pinto de Albuquerque nella sua opinione dissenziente, in cui viene sottoposto a critica l’atteggiamento della Corte EDU, la quale sceglie di valutare la questione nel merito nonostante i ricorrenti abbiamo omesso di percorrere le vie giudiziarie interne. La Corte di Strasburgo in questo caso, a parere del giudice dissenziente, ha agito non in qualità di mero legislatore negativo, ma di «supra-national positive legislator», proponendo soluzioni legislative specifiche in relazione ad un «social problem» non risolto dalla normativa nazionale (p. 47).

In realtà, le questioni poste all’interno di tale opinione dissenziente risultano ridimensionate già all’interno del fraseggio della stessa pronuncia, in cui la Corte EDU appare principalmente impegnata non tanto a fornire indicazioni di politica legislativa generale, quanto ad individuare in modo chiaro e puntuale il profilo discriminatorio evidente nella normativa greca oggetto del ricorso. La valutazione, nel merito, operata dalla Corte pur senza che i ricorrenti abbiano esperito le vie di giudizio interne ai sensi degli artt. 35 e 13 della Convenzione risulta possibile, inoltre, in relazione al sistema costituzionale greco, che per la sua diffusività non consente, almeno in tempi brevi, un controllo di costituzionalità capillare nei confronti della normativa greca sulla unioni civili.

Sono proprio queste caratteristiche, insieme alla scarsa capacità del rimedio di cui all’art.105 della Introductory Law to the Civil Code di fornire una reale soddisfazione (anche a fronte del fatto che il regime di cui alla legge n.3719/2008 trova il suo perno nella figura del notaio, passibile di azione disciplinare qualora non si conformi alle disposizioni di legge che inequivocabilmente parlano di un’unione civile tra persone di sesso diverso, cfr. §42). In particolare, sono proprio i ricorrenti ad osservare che: «on account of the diffuse and incidental nature of the review of constitutionality, no procedural rules existed in domestic law providing for the amendment of a legislative provision deemed to be unconstitutional and thereby enabling notary to draw up civil union contracts for same sex couples as well» (§45 della pronuncia).

La Corte EDU non agisce dunque come “positive legislator”, ma individua uno specifico profilo  discriminatorio all’interno della normativa nazionale greca, dando conto del panorama legislativo europeo (composito ed in evoluzione) sul tema di riconoscimento di una disciplina giuridica per le convivenze, all’interno del quale la Grecia e la Lituania si collocano in una posizione isolata in quanto sono gli unici stati in cui è stata introdotta una disciplina giuridica delle convivenze esclusivamente eterosessuali, e in cui permangono una serie di Stati (quali l’Italia) ove tali strumenti giuridici risultano assenti sia per le coppie eterosessuali che per le coppie omosessuali. Con la pronuncia in commento, la Corte di Strasburgo sottolinea, ancora una volta, come la nozione di vita familiare presupposta dall’art. 8 della Convenzione «is not confined to marriage – based relationships and may encompass also other de facto “family” ties where the parties are living together out of wedlock» (Schalk e Kopf c. Austria, cit. §91). Sarà compito dei legislatori nazionali quello di fornire strumenti legislativi il più possibile omogenei per le coppie eterosessuali ed omosessuali conviventi, al fine di non porsi in contrasto con gli articoli 14 e 8 della Convenzione.

*  Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università del Piemonte orientale “Amedeo Avogadro” (Dipartimento di studi per l’economia e per l’impresa)

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