Corte di cassazione, sez. 1, Sentenza n. 2852 del 21 gennaio 2013
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto – Presidente –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –
Dott. ROMBOLÀ Marcello – Consigliere –
Dott. BONITO Francesco M. – rel. Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) X N. IL 23/08/1979;
2) Y N. IL 19/07/1966;
avverso la sentenza n. 20/2010 CORTE ASSISE APPELLO di CATANIA, del 29/07/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per la parte civile, Avv. Chiarenza Sergio e Tortaj Giuseppe;
udito il difensore avv. Arena Rosario per Y G..
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa il giorno 11 febbraio 2010 la Corte di assise di Catania condannava X alla pena di anni ventitré di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, e Y alla pena dell’ergastolo, perché colpevoli dell’omicidio premeditato del marito della donna, F, raggiunto da undici coltellate dopo essere stato stordito con un farmaco ad azione ipnotica. A sostegno della decisione i giudici di prime cure ponevano la confessione auto ed eteroaccusatoria resa nella immediatezza dei fatti dalla X, i dati relativi al traffico telefonico delle utenze mobili in uso ai due imputati, le dichiarazioni rese dai prossimi congiunti del F e della X, le testimonianze dei due vigili urbani che incontrarono gli imputati insieme ad un cittadino di colore la sera del delitto attorno all’una di notte, l’incidente probatorio per acquisire le dichiarazioni di K , il cittadino extracomunitario notato dai vigili insieme ai due imputati, le chiamate notturne dei due al 112 con la minaccia di presentare reciproche querele, l’intercettazione ambientale allorché i due imputati vennero portati in Questura, le consulenze di parte e le perizie di ufficio in ordine alla capacità di intendere e volere della X ed in ordine alla sua personalità (tre perizie, una del GIP, una della corte di assise ed una della corte di assise di appello) gli esiti dell’esame autoptico del CT medico legale confermati dai periti indicati dal GIP per l’incidente probatorio, gli accertamenti di P.G. sul luogo del delitto.
L’insieme delle riferite acquisizioni processuali consentiva ai giudici di merito di ricostruire la vicenda nei termini seguenti: la X, separata dal marito a cagione delle difficoltà familiari insorte per i tradimenti omosessuali di quest’ultimo, aveva da
qualche tempo intrecciato una relazione sentimentale con il Y, intenzionato a rendere stabile tale rapporto con la convivenza; negli ultimi tempi la donna aveva però dimostrato una qualche intenzione di riprendere uno stabile rapporto coniugale, circostanza molto mal sopportata dall’amante; la sera del 22 giugno 2007 l’imputata si incontrò col marito intrattenendosi presso l’abitazione di quest’ultimo; in tale circostanza riuscì a somministrargli un sonnifero e dopo circa trenta minuti consentì all’amante di entrare in casa. Questi, approfittando anche della attenuata capacità di reazione della vittima, colpì il F con nove coltellate al torace, una alla regione ascellare ed una alla coscia destra cagionandone la morte. A questo punto gli imputati lasciarono l’appartamento teatro dell’omicidio, iniziando una sorta di pantomima per le strade cittadine, scandita dall’incontro verso l’una di notte con due vigili urbani e con reciproche denunce di molestie al 112. Dopo una telefonata della X alla madre della vittima per denunciare il prolungato silenzio del marito, la mattina del 25 giugno 2007, infine, ad iniziativa della madre stessa veniva ritrovato presso la sua abitazione il cadavere della vittima. 1.2 Avverso la pronuncia di primo grado proponevano appello gli imputati.
La X lamentava: a) il mancato riconoscimento del vizio di mente perché almeno parzialmente incapace di intendere e di volere al momento del fatto, b) il riconoscimento della riduzione di pena per il rito abbreviato, richiesto ritualmente dall’imputata con la condizione, non accettata dal GIP, di una nuova perizia psichiatrica sulla sua persona, c) il mancato riconoscimento della prevalenza sulle contestate aggravanti delle riconosciute attenuanti generiche. Il Y invece, da parte sua, protestava la sua innocenza lamentando l’insufficienza probatoria della chiamata di correo della coimputata dappoiché non riscontrata, nonché la mancata concessione delle attenuanti generiche.
1.3 Con sentenza del 29 luglio 2011 la Corte di assise di appello di Cagliari, in riforma della impugnata sentenza, riconosceva in favore della X la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p. ed in favore del Y le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti e per l’effetto riduceva la pena della X ad anni quindici di reclusione e quella del Y ad anni ventiquattro di reclusione.
Rilevava la corte territoriale, per quanto di interesse nel presente giudizio di legittimità, che gli esiti della perizia collegiale disposta nel corso del giudizio di secondo grado, peraltro confermativa di quella acquisita in prime cure, evidenziava a carico della X un disturbo della personalità di entità e natura tali da non scemare, neppure parzialmente, la sua imputabilità per i fatti contestatigli. In riferimento al gravame invece del Y osservava la “Site di secondo grado che le accuse della coimputata risultavano credibili perché riscontrate dalla presenza in loco dell’appellante confermata dalle celle agganciate dalle sue telefonate, dalla testimonianza dei VV.UU. i quali, in orario immediatamente successivo al delitto, li notarono insieme, dalla testimonianza del cittadino senegalese amico della X incontratosi subito dopo il delitto con i due imputati. 2. Ricorrono per cassazione avverso la sentenza di appello entrambi gli imputati, assistiti dai rispettivi difensori di fiducia. 2.1 Nell’interesse della X la difesa ricorrente sviluppa due mortivi di impugnazione.
2.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 89 c.p. e difetto di motivazione sul mancato riconoscimento del vizio parziale di mente, in particolare osservando:
– tutte le perizie eseguite nel corso del processo hanno confermato che l’imputata è affetta da un disturbo della personalità borderline;
– la questione processuale che pone siffatto accertamento è la valutazione della sua incidenza sulla capacità volitiva dell’imputata;
– a tale questione i giudici di merito hanno dato una risposta negativa immotivata ed apodittica;
– anche i periti si sono espressi sulla presenza del disturbo, ma non sulla sua consistenza, gravità ed intensità;
– i giudici di secondo grado hanno accreditato un movente dell’azione omicidiaria fondato sulla volontà di vendicare la ferita narcisistica procuratale dalla vittima allorché ne aveva scoperto le tendenze omosessuali, movente in aperta contraddizione con lo scarso livello intellettuale, culturale e psicologico dell’imputata;
– contrasta con le conclusioni peritali anche il comportamento post delictum della X, caratterizzato dalla piena confessione, dalla conflittualità manifestata verso il coimputato, dalle deliranti telefonate al 112 ed al 113, dalla preoccupazione circa la salute del marito manifestata al coimputato, che su questo la tranquillizzava.
2.1.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al negato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, sul rilievo che l’accertato disturbo della personalità avrebbe dovuto essere al riguardo maggiormente valorizzato.
2.2 Nell’interesse invece di Y il difensore sviluppa tre motivi di impugnazione.
2.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge in relazione all’art. 533 c.p.p., comma 1, art. 192 c.p.p., comma 3 in particolare deducendo:
– la corte di prime cure e quella di secondo grado hanno offerto una ricostruzione dei fatti diametralmente differente;
– la chiamata in correità della X, caratterizzata da plurime e contraddittorie versioni, non risulta suffragata da adeguati riscontri;
– non ricorre nella fattispecie un quadro probatorio idoneo a denunciare una verità processuale univoca, irrefutabile, logicamente sostenibile;
– le due sentenze di merito divergono su dati e circostanze fattuali assolutamente rilevanti, quali l’orario del delitto, gli spostamenti immediatamente precedenti e successivi dei coimputati, il valore da attribuire alle singole prove assunte;
– è poco esaustiva innanzitutto la valutazione di attendibilità soggettiva delle chiamate in correità, tenuto conto delle contraddittorie risultanze delle molteplici perizie psichiatriche;
– gli stessi periti Ferracuti e Tatarelli non hanno escluso la possibilità che la X si sia inventato il coinvolgimento del Y;
– rimane fortemente dubbia l’ora in cui il delitto venne consumato e questa circostanze è di assoluta importanza per la ricostruzione della vicenda;
– persiste sui fatti di causa e sulla colpevolezza del Y un ragionevole dubbio che va risolto in favore dell’imputato;
– lo stesso P.M. di prime cure concluse per l’assoluzione del ricorrente.
2.2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente la illogicità della motivazione di condanna, in particolare lamentando:
– la ricostruzione dei fatti da parte del giudice di secondo grado contrasta irrimediabilmente con le acquisizioni probatorie del processo;
– alle ore 23,50 il Y, come provato da tabulati telefonici, si trovava al centro di Catania e dunque lontano dalla scena del delitto;
– l’imputato è stato in compagnia dell’amico Z, come da questi testimoniato, dall’una, l’una e quindici alle due;
– l’imputato ha incontrato la X soltanto verso le due, due e venti;
– di qui l’impossibilità per l’imputato di essere presente sulla scena del delitto all’ora indicata dalla corte di secondo grado, attesa la sua certa presenza in luoghi lontani da essa prima e dopo quell’ora, senza indumenti sporchi di sangue e dopo essersi disfatto dall’arma;
– la testimonianza dei vigili urbani, in controtendenza rispetto alla ricostruzione difensiva, è insostenibile e smentita da dati oggettivi, come le telefonate al 112 certamente eseguite molto dopo l’orario indicato dai vigili medesimi;
– all’operatore del 112 la X, alle 3,30, racconta esattamente quello che hanno riferito i due VV.UU. a dimostrazione che trattasi dello stesso episodio e che gli stessi hanno certamente equivocato sugli orari.
2.2.3 Col terzo ed ultimo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p., sul rilievo che il mancato giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti delle concesse attenuanti generiche risulta immotivato, dappoiché non considerate le puntuali deduzioni difensive in ordine alla sostanziale incensuratezza dell’imputato ed al suo stile di vita, improntato al rispetto delle regole della civile convivenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non possono trovare accoglimento.
1.1 Prendendo le mosse dalla censura difensivamente articolata nell’interesse di X, richiama la Corte l’ormai noto insegnamento di questa Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione, secondo cui, in tema di imputabilità, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i “disturbi della personalità”, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di “infermità”, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di “infermità” (Cass., Sez. Unite, 25/01/2005, n. 9163, Raso, rv. 230317; Cass., Sez. 1, 18/02/2009, n. 17853).
Sempre secondo il superiore insegnamento, nell’accertamento dei connotati di gravità ed intensità dei disturbi della personalità, il giudice deve procedere avvalendosi degli strumenti tutti a sua disposizione, dell’indispensabile apporto e contributo tecnico nonché di ogni altro elemento di valutazione e di giudizio desumibile dalle acquisizioni processuali (Sez. Unite, 25/01/2005, cit).
In sintesi, pertanto, i disturbi della personalità incidono sulla imputabilità quando: a) sono caratterizzati da gravità ed intensità tali da incidere sulla capacità di intendere e volere, b) sussiste un nesso eziologico tra gli stessi e la specifica condotta criminosa in forza del quale possa affermarsi che il fatto reato ha avuto causa ed ed è stato determinato dal disturbo mentale, e) i requisiti detti sono stati accertati con l’indispensabile contributo tecnico e con la valutazione di ogni altro elemento acquisito al processo considerato utile.
Nel caso in esame il giudice dell’appello ha motivatamente e criticamente valutato le conclusioni della perizia collegiale di ufficio, la quale ha escluso, motivatamente, sia la gravità del disturbo di personalità diagnosticato in capo all’imputata, sia l’incidenza di esso sulla determinazione criminosa pur considerata nel momento della ideazione ed in quello dell’esecuzione. Non solo, i giudicanti di secondo grado hanno anche considerato le analoghe conclusioni rese dai periti di prime cure, altresì argomentando sul comportamento dell’imputata prima e dopo l’azione delittuosa e, soprattutto, sul tentativo messo in campo dalla medesima per sviare l’accertamento peritale attraverso imprecisioni, stravaganze e risposte volte proprio allo sviamento dell’accertamento in atto. La Corte di secondo grado, infine, ha avuto cura di valutare criticamente anche la perizia disposta dal GIP, evidenziando come il disturbo psicotico breve diagnosticato in quella sede e valutato come incidente sulla capacità di intendere e volere dell’imputata in realtà facesse riferimento a comportamenti significativi tenuti però successivamente al delitto eppertanto non esaustivi ai fini del giudizio sullo stato psicotico antecedente al delitto. Il motivo va pertanto giudicato non fondato.
1.2 Manifestamente infondato si appalesa invece il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del Y, giacché di palese, evidente e diffusa genericità.
Come innanzi sintetizzato, con la doglianza in esame la difesa ricorrente censura la motivazione impugnata dappoiché diametralmente opposta a quella di prime cure nella ricostruzione dei fatti, perché non ricorrente un quadro probatorio logicamente sostenibile, perché inattendibile la X attese le sue plurime versioni e i contrastanti esiti peritali sulla sua imputabilità, perché dubbia l’ora del delitto.
Orbene, diversamente da quanto difensivamente opinato, le ricostruzioni offerte dalle motivazioni di prime e seconde cure divergono unicamente sull’ora del delitto, motivatamente e con certezza indicata dalla corte di secondo grado poco dopo la mezzanotte del 23.6.2007 (dalla mezzanotte alla 0,45) ne’ la difesa istante indica con precisione, oltre l’ora, altri dati di divergenza e soprattutto nulla argomenta in ordine alla loro decisività. Generica è, altresì, la censura rivolta “al quadro probatorio”, le cui decisive illogicità neppure vengono indicate. Quali le plurime versioni della X e perché da tale pluralità, si ribadisce, non specificata, debba dedursi la non attendibilità dell’autoaccusa e della chiamata in correità non viene precisato dalla difesa deducente. Gli esiti peritali sulla imputabilità della X, infine, non risultano affatto contrastanti, sol che si faccia riferimento a quella acquisita dalla Corte di primo grado e da quella di appello.
1.3 Manifestamente infondato si appalesa altresì il secondo motivo di impugnazione proposto nell’interesse del Y. Ed invero giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo). Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata. L’ora del delitto indicata dalla corte di secondo grado non è affatto incompatibile con le telefonate effettuate quella notte dall’imputato ed evocate dalla difesa. Dette telefonate, in termini molto logici, sono interpretate dalla corte medesima come volte proprio a costruire una prova d’alibi in realtà miseramente fallita, anche perché ricostruiti motivatamente dai giudicanti i tentativi di compiacenti testimonianze da parte degli amici dell’imputato e perché punto fermo della ricostruzione degli accadimenti accreditata nella motivazione impugnata la relazione dei VV.UU., i quali all’una di notte parlarono con i due imputati, ormai in forte contrasto tra di loro, e con l’amico senegalese della X, anch’egli presente in quella occasione. Detta testimonianza è stata ribadita in dibattimento in termini di assoluta certezza, di guisa che prevale essa logicamente sulle contrarie deduzioni difensive. 1.4 Infondati considera infine la Corte il secondo motivo sviluppato dalla difesa della X ed il terzo motivo illustrato dalla difesa del Y, entrambi relativi all’impugnato bilanciamento paritario delle riconosciute attenuanti generiche con le contestate aggravanti. È noto l’insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, raffermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. 2, 02/12/2008, n. 2769) giacché il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322). Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell’irrogazione della pena (Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n.30284;
Cass., Sez. 2, 11/02/2010, n. 18158) ovvero, il che è lo stesso, la gravità della condotta giudicata.
Nel caso di specie la Corte ha dapprima illustrato le ragioni delle doglianza e ad esse ha poi opposto, quanto alla X, la motivazione di prime cure, ribadendo l’importanza del ruolo assunto dalla medesima nel grave fatto di sangue ostativo ad un diverso e più favorevole bilanciamento. In riferimento invece al Y, la Corte ha valorizzato negativamente l’efferatezza delle modalità esecutive dell’omicidio, per pervenire all’equivalenza delle riconosciute generiche con le contestate aggravanti al fine di consentire l’inflizione della pena di giustizia.
Palese pertanto, in applicazione dei principi innanzi esposti, l’infondatezza della censura sin qui delibata sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge. 2. Alla stregua delle esposte considerazioni i ricorsi in esame devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro tremila cinquecento per quelle assistite dall’avv. Chiarenza ed in complessivi Euro tremila per quelle assistite dall’avv. Testaj, oltre, per tutte, accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2013