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Omogenitorialità biologica, intenzionale e sociale in una recente sentenza inglese

                                                                di Elisa Battaglia

La England and Wales High Court ha stabilito un precedente destinato ad avere importanti conseguenze sul concetto di paternità nelle famiglie omogenitoriali. Con la  pronuncia del 31 gennaio 2013, S. c. D. e E. e T. c. X. e Y., la Corte ha infatti riconosciuto a due uomini gay, che hanno donato il loro sperma a due coppie lesbiche, il diritto di far parte della vita dei loro figli biologici.

I fatti: S. e T., uniti sentimentalmente da tanti anni, accolgono la richiesta di D. ed E., una coppia lesbica che desidera avere un bambino ricorrendo allo sperma di un donatore. Le due coppie sono legate da forte amicizia e sono vicine di casa. Viene deciso che S. non sarà il padre formalmente ma, cosa per i due uomini più importante, lo sarà agli occhi del bambino. S. desidera infatti partecipare alla crescita del bambino come figura genitoriale di riferimento. Tuttavia, nessun accordo scritto viene stipulato tra le parti. Inizialmente i rapporti tra le due coppie restano ottimi e i bambini (poco dopo nascerà anche una sorella tramite lo stesso padre donatore) crescono, accuditi dalle due mamme. Le dinamiche che si instaurano – le coppie si fanno visita regolarmente, trascorrono alcune festività assieme, i bambini fanno conoscenza con alcuni membri della famiglia del padre e anche del suo compagno – sono positive, tanto che, dopo qualche anno, D. ed E., presentano a S. e T. una coppia di amiche (X. e Y.) che desidera avere un figlio tramite procreazione assistita. Questa volta è T. a donare il proprio sperma e a diventare padre di fatto.

Occorre precisare che nel Regno Unito, a partire dal 2008, il donatore non può essere legalmente riconosciuto come padre del bambino quando la coppia che ha utilizzato il seme donato, sia essa eterosessuale o omosessuale, è unita in matrimonio o ha contratto una civil partnership. Lo Human Fertilization and Embryology Act 2008, al paragrafo 42, prevede infatti che, se al momento in cui avviene l’inseminazione artificiale per mezzo di una clinica registrata la donna è unita in una civil partnership, la sua compagna sarà considerata a tutti gli effetti come genitore del bambino (a meno che non sia provato che si opponeva all’inseminazione artificiale). In Europa, solo la Spagna fa valere regole analoghe. La legge stabilisce una presunzione di “genitorialità”, valevole anche per le coppie dello stesso sesso, analoga alla presunzione di paternità che nel nostro ordinamento opera unicamente per le coppie eterosessuali sposate.

Nel Regno Unito, dunque, i bambini nati tramite procreazione assistita, all’interno delle coppie lesbiche sposate o unite in una civil partnership (di qualsiasi nazionalità), sono iscritti all’anagrafe come figli delle loro due mamme (indicate sul certificato di nascita quali “genitore 1” e “genitore 2”). Come evidenziato dal Giudice Baker nella pronuncia in commento, la legge del 2008 riflette gli importanti cambiamenti sociali intervenuti negli ultimi anni e tiene conto dell’esigenza di considerare il ruolo del genitore sociale (“supportive parent”). S. e T. non potevano dunque essere riconosciuti come padri dei bambini perché la legge non lo avrebbe consentito, nemmeno se lo avessero chiesto le parti coinvolte, le quali, peraltro, non avevano mai avuto questa intenzione. Davanti alla High Court non è infatti in discussione lo status giuridico delle mamme. La controversia concerne invece il ruolo affettivo che i donatori desiderano svolgere nella vita dei bambini: nessun ruolo formalmente riconosciuto, secondo le coppie di madri, semmai qualcosa di simile alla figura dell’“amico di famiglia”; uno status equiparabile a quello di un genitore, con precisi diritti di visita e di partecipazione all’educazione del minore, secondo la richiesta dei due donatori.

Ed ecco come la High Court ha risolto il dissidio, partendo dalla premessa che la riforma attuata tramite lo Human Fertilization Act 2008, la quale pone le coppie lesbiche e i loro bambini esattamente sullo stesso piano  giuridico di altre categorie di genitori e bambini, deve essere presa in considerazione nella soluzione della controversia. È vero infatti che tale atto, nell’attribuire l’esclusiva potestà genitoriale in capo alla coppia di madri, esclude qualsiasi diritto del padre biologico. Il giudice però ritiene preferibile decidere in base a una rigorosa valutazione dei fatti della causa, tra i quali assume rilievo primario la circostanza che i ricorrenti sono stati autorizzati dalle madri a stabilire un rapporto con i bambini. Non solo: entrambe le coppie desideravano che il donatore fosse una persona conosciuta e da loro stimata, non un donatore anonimo. I bambini avrebbero così potuto conoscere le proprie origini, rafforzando e arricchendo la loro identità di individui e garantendo loro la presenza di una figura maschile positiva. Secondo il giudice, da tale scelta, attuata liberamente dalle madri, dipendono conseguenze necessarie quanto al potenziale rapporto padre-figlio: il comportamento tenuto dalle parti prima e dopo le gravidanze lascia intendere che i padri potevano vedere i loro figli e avere un ruolo nelle loro vite dando così vita a quel legame “familiare” che la Convenzione europea per i diritti umani tutela all’art. 8. A sostegno, la High Court richiama espressamente la sentenza dalla Corte di Strasburgo nel caso Anayo c. Germania, 21.12.2010, n. 20578/07, con cui la Corte ha tutelato il rapporto tra un padre biologico, donatore, e i suoi figli (gemelli), in virtù del legame affettivo instauratosi tra i tre.

In conclusione, per la High Court la potenziale rilevanza della paternità biologica non può essere eliminata dall’esclusione dello status di genitore legittimo. Accanto ai genitori “legittimi” può ben esistere un’altra figura di riferimento, che la Corte definisce genitore “sociale” o “psicologico”. Secondo quanto chiarito nel caso Re G [2006] UKHL 43, [2006] 2FLR 629, il concetto di genitore “sociale” o “psicologico”  attiene all’importanza che una determinata persona assume di fatto nella vita di un minore. Ci si riferisce alla relazione che si sviluppa attraverso le richieste del bambino e l’accoglimento da parte dell’adulto di tali richieste e bisogni, inizialmente ad un livello basilare di nutrizione, conforto e amore, e successivamente ad un livello più strutturato di guida, socializzazione, educazione e protezione.

È importante evidenziare come sia la stessa coppia lesbica, in quanto unica depositaria della responsabilità genitoriale, ad avere il potere di incoraggiare o consentire al padre biologico di trasformarsi in genitore “psicologico”. Numerose donne, che si avvalgono della fecondazione eterologa non conoscono il donatore, altre, pur conoscendone l’identità, lo escludono da subito dalla vita dei propri figli, ed esercitano nel far ciò un diritto riconosciuto loro dall’ordinamento. Nel caso in commento, invece, le due coppie di madri hanno consentito costanti contatti tra i loro figli e i padri biologici e hanno reso questi ultimi figure importanti nella vita dei bambini.

A tale titolo, i ricorrenti hanno diritto di richiedere, con diverso giudizio, un “contact order” e cioè un provvedimento che consenta loro di far visita ai bambini su base regolare. Il giudice Baker ricorda però che, nel decidere in merito alle concrete modalità della frequentazione padri-figli, si dovrà tenere conto della posizione di vulnerabilità in cui si vengono a trovare le coppie di madri coinvolte, le quali, in questo modo, vedono il loro nucleo familiare messo in discussione.

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