Affettività e sessualità in carcere secondo la Consulta
11 gennaio, 2013 | Filled under italia, NEWS, penale |
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Con la sentenza della Corte costituzionale n. 301 dell’11 dicembre 2012 è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’ufficio sorveglianza di Firenze in relazione all’esercizio del diritto all’affettività ed alla sessualità in carcere.
Il giudice fiorentino, con ordinanza del 23 aprile 2012 aveva dubitato della normativa penitenziaria nella parte in cui non consente di «intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il partner» mediante «“colloqui intimi” intramurali» senza «controllo visivo» (sotto vari profili, a dire il vero, l’ordinanza non era apparsa ben motivata, essendo in particolare davvero inaccettabile l’ambiguo riferimento a «masturbazione o omosessualità, indotte dalla situazione, che hanno una evidente caratteristica di innaturalità oltreché di degrado e avvilimento personale, pesantemente avvertito da chi vi è costretto», apparendo palese che non v’è alcuna innaturalità degli atti in sé ma esclusivamente ove non corrispondenti alle effettive esigenze ed ai desideri della persona). La Corte dichiara adesso l’inammissibilità del ricorso poiché il giudice ha omesso di dare indicazioni sulla rilevanza della questione nel caso concreto. Inoltre la Corte rileva l’impossibilità di intervenire secondo le indicazioni del giudice remittente che aveva richiesto l’eliminazione del controllo visivo durante i colloqui essendo evidente che tale misura di per sé sarebbe eccessiva (non garantendo alcun discrimine in ragione della diversa pericolosità dei detenuti e delle diverse esigenze di sicurezza) ed insufficiente (la mancanza di controllo visivo di per sé non garantisce le esigenze di intimità, necessitando di specifiche misure organizzative, che implicano, all’evidenza, scelte discrezionali di esclusiva spettanza del legislatore).
La Corte costituzionale afferma tuttavia la necessità di un intervento del Legislatore in materia. In ciò sta la novità della decisione. La Corte afferma infatti espressamente che «l’ordinanza di rimessione evoca, in effetti, una esigenza reale e fortemente avvertita, quale quella di permettere alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale di continuare ad avere relazioni affettive intime, anche a carattere sessuale: esigenza che trova attualmente, nel nostro ordinamento, una risposta solo parziale nel già ricordato istituto dei permessi premio, previsto dall’art. 30-ter della legge n. 354 del 1975, la cui fruizione – stanti i relativi presupposti, soggettivi ed oggettivi – resta in fatto preclusa a larga parte della popolazione carceraria. Si tratta di un problema che merita ogni attenzione da parte del legislatore, anche alla luce dalle indicazioni provenienti dagli atti sovranazionali richiamati dal rimettente (peraltro non immediatamente vincolanti, come egli stesso ammette) e dell’esperienza comparatistica, che vede un numero sempre crescente di Stati riconoscere, in varie forme e con diversi limiti, il diritto dei detenuti ad una vita affettiva e sessuale intramuraria: movimento di riforma nei cui confronti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha reiteratamente espresso il proprio apprezzamento, pur escludendo che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – e in particolare, gli artt. 8, paragrafo 1, e 12 – prescrivano inderogabilmente agli Stati parte di permettere i rapporti sessuali all’interno del carcere, anche tra coppie coniugate (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze 4 dicembre 2007, Dickson contro Regno Unito, e 29 luglio 2003, Aliev contro Ucraina)». La Corte costituzionale rigetta l’eccezione, dunque, riconoscendo comunque la rilevanza costituzionale dei diritti in gioco e rilevando, come detto, di non potere emettere una decisione in ragione delle diverse opzioni possibili che richiedono scelte rientranti nella discrezionalità del Legislatore («per avere eloquente dimostrazione della varietà delle soluzioni al riguardo prospettabili, è del resto sufficiente scorrere i numerosi progetti di legge sinora presentati in materia e non coronati da successo, nonché le discipline concretamente adottate in altri Stati, alle quali si accenna nella stessa ordinanza di rimessione»).
Da segnalare, infine, come nell’esprimere tale concetto la Corte paia riconoscere l’esigenza d’estendere la protezione dell’affettività e della sessualità anche fuori dal matrimonio: «nella prospettiva del giudice a quo, il «diritto alla sessualità» intra moenia dovrebbe essere, infatti, riconosciuto ai soli detenuti coniugati o che intrattengano rapporti di convivenza stabile more uxorio, escludendo gli altri (si pensi, ad esempio, a chi, all’atto dell’ingresso in carcere, abbia una relazione affettiva “consolidata”, ma non ancora accompagnata dalla convivenza, o da una convivenza «stabile»). Detta soluzione non solo non è l’unica ipotizzabile (come di nuovo attestano i progetti di legge in materia), ma non appare neppure coerente con larga parte dei parametri costituzionali evocati dallo stesso giudice a quo: talora “per eccesso”, talaltra “per difetto”.».
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