Corte d’Appello di Bologna, decreto del 18 maggio 2011
La Corte d’Appello di Bologna
I sezione civile
riunita in camera di consiglio nelle persone dei giudici
dr. Immacolata Fischetti Presidente
dr. Fausto Casari consigliere
dr. Melania Bellini consigliere rel. est.
sciogliendo la riserva dell’udienza 14.I.2011, pronuncia questo
decreto
nel procedimento camerale tra
il Ministero dell’Interno – reclamante, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato con domicilio eletto nei suoi uffici bolognesi di via G. R. –
(…) e (….) nate (…), qui entrambe residenti – resistenti, rappresentate e difese dagli avvocati Anna Maria Tonioni, Giovanni Genova e Michele Giarratano del Foro di Bologna e Francesco Bilotta di Trieste, elettivamente domiciliate in Bologna nello studio dell’avv. Tonioni in piazza C.-
e il Pubblico Ministero – intervenuto, rappresentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello.
Oggetto: reclamo 22.XI.2010, notificato il 24 Dicembre, contro il decreto 28.X.2010, notificato il 15 Novembre, con cui il Tribunale di Modena, accogliendo il ricorso 26.V.2010 di A. B. e A. T. ai sensi degli artt. 95 e seguenti DPR 3.XI.2000 n. 396, ha ordinato la cancellazione dell’annotazione “la sentenza sopra menzionata ha prodotto ai sensi dell’art- 4 legge 164/82, la cessazione degli effetti civili del matrimonio di cui all’atto contro scritto a far data dal 29.6.2009, così come previsto dal paragrafo 11.5 del nuovo massimario dello stato civile”, eseguita sull’atto di matrimonio dopo l’annotazione della sentenza 23/2009 del Tribunale di Bologna; e ha compensato le spese processuali tra le parti.
Conclusioni
Reclamante: come nel ricorso:
“Voglia la Corte adita, contrariis reiectis, in accoglimento del reclamo, rigettare l’avverso ricorso e per l’effetto revocare e/o annullare l’impugnato decreto. Vinte le spese”.
Resistenti: come nella comparsa di risposta: “[…] la suintestata Corte d’Appello voglia rigettare il reclamo proposto dal Ministero dell’Interno e confermare il decreto impugnato; voglia in ogni caso dichiarare nulla, illegittima e priva di effetti l’annotazione eseguita dal Comune di Finale Emilia in data 18.02.2010 a margine dell’atto di matrimonio di A. B. e A. T. e le successive annotazioni eseguite dal Comune di Mirandola e dal Comune di Bologna rispettivamente a margine dell’atto di nascita di A. B. e a margine dell’atto di matrimonio delle convenute trascritto nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di Bologna e a margine dell’atto di nascita di A. T., e per l’effetto ordinarne la cancellazione. Con vittoria di onorari, competenze e spese di entrambi di gradi”.
Intervenuto: come nella comparsa di intervento 4.I.2011: “Si ritiene […] che il decreto reclamato debba essere annullato e che vada ribadita la perfetta regolarità delle disposte annotazioni, dandone formale comunicazione agli Ufficiali di Stato Civile di Finale Emilia e Bologna”.
Motivi della decisione
In costanza di matrimonio con A. T., Al. B. ha chiesto al Tribunale di Bologna la rettifica dell’attribuzione del sesso da maschile a femminile e l’ha ottenuta – e con essa il nuovo nome A. – con la sentenza 23/2009.
Insieme con la T., allegando il loro atto di matrimonio dei Comune di Finale Emilia con l’annotazione marginale della sentenza il 16.X.2009 e l’aggiunta il 18 II.2010 che essa ha prodotto, ai sensi dell’art 4 della legge n. 164/1982, la cessazione degli effetti civili del matrimonio di cui all’atto contro scritto a far data dal 29-6-2009, hanno chiesto al Tribunale di Modena di dichiarare illegittima l’annotazione siccome affetta da quattro vizi: 1) carenza di potere, poiché manca una pronuncia giurisdizionale sulla cessazione degli effettivi civili del matrimonio; 2) falsa ed erronea
interpretazione delle leggi 164/’82 e 898/’70, poiché esse non consentono di attribuire alla sentenza di rettificazione del sesso l’effetto dello scioglimento automatico del matrimonio; 3) violazione dell’art. 102 DPR 396/2000, poiché l’annotazione non è stata ordinata dai giudice nè è prevista dalla legge; 4) vizio logico in relazione alla disciplina dello scioglimento del matrimonio della persona che assume lo stesso sesso del coniuge, poiché qui non si tratta di matrimonio fra persone dello stesso sesso, ma fra persone che lo sono divenute successivamente.
Disattendendo l’opposizione dell’Amministrazione degli interni e del Pubblico Ministero incentrata sulla deduzione dell’automatico scioglimento del matrimonio ex art. 4 l. 164/’82 e del contrasto, altrimenti, dell’identità del sesso coi principi dell’ordinamento, il Tribunale ha motivato la decisione sopra esposta, scrivendo che è stato violato l’art. 102 DPR 396 del 2000 che vuole le annotazioni di Stato civile ordinate dal giudice oppure previste dalla legge: nessuno dei due casi qui ricorre, perché la sentenza bolognese 23/2009 non ha ordinato l’annotazione, e la legge 164 la prevede solo nell’atto di nascita non anche di matrimonio; né la sentenza ha pronunciato lo scioglimento del vincolo matrimoniale si che non può applicarsi l’art. 10 della legge 898.
Il reclamo contro la decisione censura l’erronea interpretazione di norme di diritto.
Il Tribunale – scrive il reclamo – ha sbagliato a ritenere che l’annotazione non sarebbe sorretta da nessun potere, perché in tal modo si trascura che l’art. 5 comma 1° lett. a DPR 396/2000 impone all’ufficiale di stato civile di aggiornare gli atti e che l’art. 4 l. 164/’82 contempla lo scioglimento automatico del vincolo matrimoniale come effetto della sentenza di rettificazione del sesso, senza che occorra un’espressa pronuncia dichiarativa sul punto. Infatti, la legge 74/’87, che ha aggiunto all’art. 3 della 1. 898/’70 tra i casi in cui coniugi possono chiedere lo scioglimento, quello che sia passata in giudicato la sentenza della l. 164/’82, non ha abrogato l’art. 4 della stessa legge, ma ha solo esplicitato la possibilità, per gli ex coniugi, di attivarle la procedura alfine di regolamentare gli aspetti diversi da quelli dello stato civile; negare lo scioglimento automatico, pretendendo che si debba attendere la pronuncia di divorzio dietro la richiesta d’uno dei coniugi, significherebbe ammettere la possibilità che sopravviva per un certo periodo di tempo il matrimonio fra persone dello stesso sesso; ma questo è estraneo all’ordinamento, il quale vuole la diversità sessuale dei coniugi come requisito immancabile del matrimonio.
L’opposizione delle signore B. e T., con ampia disamina di dottrina e giurisprudenza (quest’ultima anche straniera), sostiene la propria originaria deduzione e la decisione del Tribunale che l’ha accolta: evidenzia l’errore della avversaria primo, perché vi è un’insolubile contraddizione nell’affermare che la legge 164/1982 riguarda solo i profili relativi alle rettifiche dello stato civile e non invece le questioni relative ai rapporti patrimoniali e personali ira gli ex coniugi e quelle relative ai figli, essendo evidente che incidere sui profili dello stato civile dei coniugi significa incidere sui loro rapporti personali e patrimoniali; secondo, perché trascura la portata della riforma, nel 1987, dell’art. 3 1. 898/’70 sia sul piano della successione delle leggi nel tempo, sia su quello del principio di specialità, sia infine della sistemazione della normativa esistente in materia; terzo, perché, come ha statuito il Tribunale di Modena, dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio spetta unicamente all’autorità giudiziaria e qui mai questa dichiarazione è avvenuta, con la conseguenza che la pubblica amministrazione ha alterato principi inderogabili di ordine pubblico, facendo un’annotazione senza che si desse nessuno dei casi che la legittimino secondo l’art. 102 DPR 396/2000.
Infine, sbaglia il Ministero a ritenere contrastante con l’ordinamento la sopravvivenza del matrimonio nel caso di coniuge transessuale, data la differenza tra transessualismo e omosessualità e data la differenza tra il diritto delle persone dello stesso sesso a sposarsi e quello dei coniugi di mantenere l’unione già esistente: chiedere il divorzio è diritto personalissimo e lo Stato non si può loro sostituire.
Il Pubblico Ministero aderisce alla lesi dei reclamante.
Il reclamo è fondato.
Contrariamente a quanto scrive il Tribunale, l’annotazione non è stata apposta fuori dei casi consentiti, ma nel sistema unico integrato dello Stato Civile in cui non possono darsi atti relativi alla stessa persona che non si corrispondano, essa è il doveroso aggiornamento di quello del matrimonio B.-T.: se non fosse stata apposta. Al. (non A.) B. risulterebbe ancora coniugato con la T., il che sarebbe contrario al principio di veridicità che regge lo Stato Civile.
I cambiamenti di nome e sesso vanno annotati non solo nell’atto di nascita ma anche in quello di matrimonio (art. 69 DPR 396/2000) e giustamente qui lo s’è fatto con la sentenza 23/2009: la giunta del 18.II.2010 non rende illegittima l’annotazione perché, altro non essendo che la mera riproduzione della letterale espressione normativa concernente la sentenza annotata, è incapace di alterare la precipua funzione di pubblicità dell’atto.
Né può dirsi che l’annotazione sia illegittima perché riproduce una norma non più vigente, che l’abrogazione dell’art. 4 l. 164/’82 non si ricava né dalla lettera né tanto meno dalla ratio delle successive modificazioni dell’art. 3 l. 898 del ’70: già l’art. 4 nel mentre che prevedeva l’automatico effetto sullo scioglimento del vincolo matrimoniale della sentenza, rinviava alla 898 per la disciplina dello scioglimento stesso; e le modificazioni introdotte nel 1987 al suo art. 3 ne sono una precisazione non incompatibile con la precedente previsione.
Veramente incompatibile è l’interpretazione proposta dalle resistenti, che consentire il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il sesso d’uno dei coniugi, significherebbe mantenere un rapporto privo del presupposto suo legittimo più indispensabile: la diversità sessuale dei coniugi.
è il presupposto di tutta la disciplina positiva – codice civile e legislazione speciale – dell’istituto matrimoniale, da ritenersi non incompatibile né con la Costituzione né con la Carta dei diritti dell’uomo, secondo hanno statuito pronunce della Consulta e della Corte di Strasburgo.
Un’interpretazione della legge del 1987 condotta secondo il formalismo letterale che conduca a un risultato così vistosamente contrastante coi principi dell’ordinamento che reggono la materia – e si tratta di principi di ordine pubblico – non può seguirsi, perché non possono darsi rapporti che restino non solo fuori d’ogni disciplina positiva, ma in contrasto con detta disciplina in un settore interessato da profili di pubblico interesse, dato che concerne lo stato delle persone.
Pertanto, il ricorso delle signore B. e T. al Tribunale di Modena si sarebbe dovuto rigettare; la decisione contraria va riformata come chiede il Ministero reclamante.
La ragionevolezza della lite è il motivo legittimo ex 92 CPC alla compensazione integrale delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, in totale riforma del decreto reclamato in oggetto, rigetta il ricorso presentato il 26.V.2010 da A. B. e A. T. al Tribunale di Modena;
compensa integralmente le spese processuali.
Bologna, 4 Febbraio 2011
Il Presidente
dr. Immacolata Fischetti
Depositato in Cancelleria il 18 MAG. 2011