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Cagliari e Roma: le prime due decisioni dopo le sentenze della Corte costituzionale

di Marco Gattuso

1.

La Corte d’appello di Cagliari, con decreto depositato il 29 aprile 2021 ha confermato la necessità di iscrivere anche la madre intenzionale nell’atto di nascita. Il tribunale di Roma con decreto del 18 aprile 2021 (per il cui invio si ringrazia l’avv. Michele Giarratano) per suo verso ha imposto al Comune di Roma di annotare l’atto con due mamme già formato da altro Comune.

L’importanza delle due decisioni risiede nell’essere le prime due emesse da giudici di merito dopo il deposito delle due sentenze n. 32 e 33 del 9 marzo 2021, contenenti come si rammenterà l’indicazione della inidoneità dell’adozione in casi particolari come strumento di tutela dei bambini nati da due donne a mezzo di pma eterologa oppure da coppie etero o omosessuali a mezzo di gpa, con un forte monito al legislatore di intervenire con urgenza.

Nelle more di un (allo stato inverosimile) intervento del Parlamento, la parola torna dunque ai giudici, i quali dinnanzi a un bambino che, in concreto, chiede tutela, non possono arrestarsi a un non liquet.

2.

La sentenza della corte cagliaritana si caratterizza, in particolare, per l’ampia e assai accurata motivazione, con cui ricostruisce e si confronta sostanzialmente con tutti i più recenti arresti della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, fornendo una precisa e condivisibile immagine del quadro normativo e dello stato dell’arte.

La Corte, in particolare, è molto precisa e netta nel distinguere i due piani, della valutazione delle condotte degli adulti e della tutela di bambini, per cui per un verso dà atto che la legislazione italiana – a differenza di molti altri paesi europei – non consente l’accesso delle coppie dello stesso sesso alla pma e neppure all’adozione di bambini in stato di abbandono, ma per altro verso dà pure atto che la legislazione vigente in materia di pma impone, a tutela del nato, di riconoscere come genitori i due membri della coppia che abbiano espresso, per fatti concludenti, il consenso.

Si tratta, dunque, dell’ennesima decisione di merito che conferma tale interpretazione del quadro normativo vigente, con un franco esame degli argomenti di segno contrario svolti dalla prima sezione della Corte di cassazione nelle sentenze n. 7668 del 3 aprile 2020 e n. 8029 del 22 aprile 2020, da cui la Corte cagliaritana dichiara di dissociarsi. Da questo punto di vista si tratta, dunque, di una sentenza, particolarmente accurata nella motivazione, che conferma un indirizzo già emerso in diverse altre decisioni.

In particolare il Tribunale di Cagliari (la cui decisione del 28 aprile 2020 viene così confermata), dava atto «che il dialogo tra giudici di merito e di legittimità debba proseguire e non già arrestarsi», si era consapevolmente dissociato dalle decisioni della prima sezione della Cassazione evidenziandone le criticità motivazionali, posto che il riconoscimento dello status del minore «non svolge la sua primaria funzione in ordine all’affermazione di un diritto fondamentale alla genitorialità, quanto, piuttosto, è diretto a garantire in favore del nato l’instaurazione del rapporto di filiazione, in uno con la piena consapevolezza da parte di quest’ultimo della propria identità e dell’ambito familiare e parentale di riferimento», rilevando peraltro come le Sezioni Unite nella sentenza n.12193/2019 avessero individuato nel divieto di gpa l’unico limite al principio di prevalenza dell’interesse del nato in caso di nascita con procreazione medicalmente assistita. Ancora, il Tribunale di Genova, con decisione del 4 novembre 2020 aveva dato atto «di non condividere il percorso argomentativo sopra delineato e di confermare quindi la decisione già assunta in fattispecie analoghe», «dovendosi avere riguardo non alla liceità/illiceità della condotta delle parti, ma al superiore interesse del minore». Parimenti, il Tribunale di Brescia, con decreto dell’11 novembre 2020 confrontandosi con l’impianto delle due decisioni della prima sezione della Cassazione, aveva osservato come «queste decisioni promuovono un’interpretazione dell’art. 8 L. 40/2004 che finisce per discriminare le coppie omosessuali».

3.

Questione del tutto nuova e inedita è rappresentata, invece, dal necessario confronto con la recentissima decisione della Corte costituzionale, di appena poche settimane fa, con cui la Consulta ha affrontato la stessa questione dichiarando l’inammissibilità e esprimendo come detto il, severo, monito al legislatore.

È assai interessante, e a mio avviso assolutamente persuasiva, l’affermazione della Corte cagliaritana in ordine alla esperibilità comunque da parte dei giudici comuni di una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, ed anzi della sua obbligatorietà.

Non pare in effetti che sia in alcun modo preclusa una interpretazione costituzionalmente orientata e tutto sommato letterale delle nostre disposizioni interne (posto che l’art. 8 della legge 40/2004 prevede che siano riconosciuti come genitori i due membri della «coppia» che hanno espresso il consenso con atti concludenti -art. 9- non può dubitarsi che nel nostro ordinamento il termine “coppia”, quando indicato senza alcuna declinazione di genere, debba essere riferito anche alle coppie omosessuali).

In disparte dal dispositivo di “inammissibilità” che non vincola che le parti, la Corte costituzionale si è limitata infatti a dare atto, soltanto in sede di valutazione dell’ammissibilità delle eccezioni, che «l’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa denunciata è stata esplorata e consapevolmente scartata dal Collegio rimettente, “il che basta ai fini dell’ammissibilità della questione (sentenza n. 189 del 2019)” (sentenza n. 32 del 2020)» (sentenza 32, § 2.3) senza mai fare proprie le conclusioni di cui al proprio precedente 230 del 2020. Opposti erano stati i toni nella sentenza 221/2019 dove, rispetto al rilievo del giudice a quo dell’impossibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, la Corte costituzionale aveva sancito che «l’affermazione appare corretta» (§ 7).

L’impianto delle due decisioni traccia anzi con chiarezza il contesto in cui maturare una interpretazione evolutiva delle norme. Come già rilevato nei primi commenti [1] la decisione n. 32 del marzo 2021 dedica infatti uno spazio davvero amplissimo alla ricostruzione del principio di autoresponsabilità in funzione della protezione del nascituro, tanto che lo stesso rappresenta il vero perno su cui ruotano entrambe le decisioni di marzo.

La Corte rammenta al riguardo come già «in epoca antecedente all’adozione della legge n. 40 del 2004, in relazione a una questione inerente alla tutela dello status filiationis del concepito tramite fecondazione eterologa, ancora non disciplinata, questa Corte ha evidenziato “una situazione di carenza dell’attuale ordinamento, con implicazioni costituzionali” (sentenza n. 347 del 1998)» e come «senza addentrarsi nel valutare la legittimità di quella tecnica, è stata in quell’occasione espressa l’urgenza di individuare idonei strumenti di tutela del nato a seguito di fecondazione assistita» (§ 2.4.1.1, corsivo aggiunto).

Anche nella richiamata sentenza n. 347 del 1998 (che riguardava una questione identica a quella affrontata nella 32/21, salvo l’orientamento sessuale dei genitori), la Corte rimetteva al legislatore il compito di specificare le modalità della tutela, richiamando al contempo, in quel caso in modo espresso, anche la funzione della giurisprudenza. La Corte ha ricordato quindi come dopo il monito della 347/98 e la successiva decisione dalla Corte di cassazione del 1999 che recepiva quel monito, «gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 stanno a dimostrare che, nell’ascoltare quel monito, il legislatore ha inteso definire lo status di figlio del nato da PMA anche eterologa, ancor prima che fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale del relativo divieto (sentenza n. 162 del 2014)» (sentenza n. 32, § 2.4.1.1, corsivo aggiunto).

Anche nella sentenza n. 33, la Corte ricorda il precedente n. 347 del 1998, evidenziando che «ciò che è qui in discussione» è unicamente «quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriale», «ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi (per una analoga sottolineatura, si veda la sentenza n. 347 del 1998, che – seppur nel diverso contesto della fecondazione eterologa – già evocava i diritti del minore “nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità”)» (§ 5.4).

La storia, dunque, per molti versi si ripete. Ventitré anni dopo, la stessa questione del bambino nato con pratiche vietate nel nostro ordinamento si ripropone, questa volta con coppie di genitori omosessuali e non pare proprio che, nel quadro antidiscriminatorio del nostro ordinamento dove particolare valore è dato alla protezione del benessere dei bambini, l’orientamento sessuale dei genitori possa farsi ricadere, in senso sanzionatorio, sui figli.

Nella prima decisione di un giudice di merito dopo le sentenze di marzo, la Corte d’appello di Cagliari, con accurata motivazione, ha dato atto che «a seguito di queste recentissime pronunce del giudice delle leggi, il primo e fondamentale snodo su cui la Corte deve cimentarsi, riguarda lo spazio di intervento riservato al giudice di merito, a seguito di una pronuncia di inammissibilità della Corte Costituzionale» e come «il quesito da porsi» è, dunque, se sia possibile per il giudice una esegesi costituzionalmente orientata della normativa vigente, concludendo che «ad avviso di questa Corte, la sentenza n. 32/2021 del Giudice delle leggi, di natura processuale – essendosi il giudizio definito con una pronuncia di inammissibilità – non preclude la verifica, alla luce dei motivi di impugnazione, della possibilità, riconosciuta dal giudice di primo grado, di una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente, ed in particolare degli artt. 8 e 9 L. n. 40/2004 ai fini di assicurare piena tutela al minore nato a seguito di un tale progetto».

I giudici cagliaritani rammentano al riguardo che «le pronunce di inammissibilità della Corte non hanno in alcun modo inciso su tali disposizioni», che la Corte costituzionale non ha fatto propria l’interpretazione del giudice a quo, ma ne ha solo dato atto in sede di valutazione dell’ammissibilità dell’eccezione, rilevando dunque che «la Consulta non ha pertanto assunto alcuna posizione sulle diverse interpretazioni affermatesi nella giurisprudenza di merito e di legittimità» e, infine, che «la Corte costituzionale ha propugnato da sempre la teoria della interpretazione “adeguatrice”, sollecitando costantemente i giudici ad esercitare il potere-dovere di ricostruire il contenuto e la portata delle disposizioni di legge ordinaria alla stregua dei principi della Costituzione, in modo da attribuire alle disposizioni, tra i plurimi significati astrattamente possibili, quello che non sia in contrasto con i valori costituzionali».

La parola, dunque, ritorna ai giudici, i quali a mio avviso non potranno che confermare, nell’ottica di una idonea protezione dei minori, il principio di responsabilità che vincola entrambi i membri della coppia che ha voluto mettere al mondo il bambino.

4.

Di interesse anche la decisione del Tribunale di Roma, la quale pur essendo più scontata nel suo esito, appare di particolare rilievo per considerazioni di natura più “politica”, posto che conduce al superamento del perdurante rifiuto del Sindaco di Roma di iscrivere le due mamme nell’atto di nascita,

Senza entrare nel merito, i giudici capitolini rilevano che nell’ipotesi di un atto di nascita formato presso il comune di nascita con la indicazione di due madri, in seguito a fecondazione eterologa posta in essere da una coppia di genitori dello stesso, è illegittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di trascrizione dello stesso presso il comune di residenza.

Il principio era stato già rammentato dal Tribunale di Trento, con decreto del 27 maggio 2020 e dal Tribunale di Rovereto, con decreto del 19 aprile 2019, e la sua conferma appare oggi dunque di particolare rilievo soprattutto perché segnala, ancora una volta, come le perentorie affermazioni contenute nelle decisioni della prima sezione della Corte di cassazione nell’aprile 2020 meritano d’essere discusse e, verosimilmente, riviste anche alla luce delle nuove indicazioni che giungono oggi non solo dalla Corte costituzionale ma dalla sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 9006 del 2021, dove l’affermazione della irrilevanza dell’orientamento sessuale dei genitori non potrebbe essere più netta.

[1] M. Acierno, La Corte costituzionale “minaccia” un cambio di passo sull’omogenitorialità in Questione Giustizia.: «amplissimo spazio nella motivazione viene dedicato alla centralità del consenso alla genitorialità da p.m.a. e alla tutela del diritto all’identità del minore».