Tribunale di Foggia, sezione lavoro, sentenza n. 4203 del 16 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI FOGGIA
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale di Foggia-Sezione Lavoro, in persona del Giudice, dott. Ivano Caputo, all’udienza del 16.10.2019 ha pronunciato, ai sensi dell’art. 429, comma 19, c.p.c., la seguente
SENTENZA
nella controversia in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie iscritta in primo grado al n. 12573/2015 RG.L. e vertente
TRA
XXXXXXXXX nata a XXXXXXXXX il XXXXXXXXX, rappresentata e difesa dall’Avv. Giacomo Alessandro Celentano e dall’Avv. Bruno Colavita, giusta procura in calce al ricorso
RICORRENTE
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico Longo
RESISTENTE
avente ad oggetto: pensione di reversibilità
Conclusioni : come in atti
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso depositato in data 9.12.2015, XXXXXXXXX, premesso di aver convissuto stabilmente more uxorio con YYYYYYYYYYYY, deceduta il 18.11.2011, e di esser stata legata alla predetta XXXXXXXXX da un vincolo affettivo – adiva l’intestato Tribunale del Lavoro, esponendo: che
YYYYYYYYYY era deceduta in YYYYYYY lasciando a sé superstite nonché quale erede
universale XXXXXXXXX; che essa istante aveva proposto domanda amministrativa finalizzata ad ottenere la pensione ai superstiti; che tale domanda era stata, tuttavia, rigettata dall’Inps, in quanto non proposta in via telematica; che, infatti, la domanda di prestazione poteva essere inoltrata esclusivamente dal coniuge dell’assicurato, che il diniego dell’Inps era in contrasto con la normativa eurounitaria che imponeva la necessità di un trattamento omogeno tra coniugi e partner dello stesso sesso.
Sulla scorta di quanto dedotto la ricorrente chiedeva il riconoscimento del proprio diritto alla pensione di reversibilità, con decorrenza dal novembre 2011. L’Inps, ritualmente costituitosi, eccepiva l’improponibilità della domanda giudiziale, contestando, nel merito, la fondatezza del ricorso. Espletata l’istruttoria orale, all’odierna udienza la discussione precedeva la pronuncia della presente sentenza contestuale.
2. Il ricorso è proponibile, avendo parte ricorrente comprovato l’avvenuta presentazione – in data 17.6.2013 – della domanda amministrativa finalizzata al conseguimento della prestazione previdenziale in questa sede rivendicata (cfr., doc.2).
La circostanza che la domanda sia stata proposta in forma cartacea (e non in via telematica, come dedotto dall’Inps) non vale certo ad escludere la proponibilità dell’odierno ricorso giudiziale.
Invero, l’art. 38, comma 5°, del D.L. n. 789/2010, convertito con modificazioni nella L. n. 122/2010, stabilisce, al primo periodo, che “Al fine di potenziare ed estendere i servizi telematici, il Ministero dell’economia e delle finanze e le Agenzie fiscali, nonché gli enti previdenziali, assistenziali e assicurativi, con propri provvedimenti possono definire termini e modalità per l’utilizzo esclusivo dei propri servizi telematici ovvero della posta elettronica certificata, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze, arti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni”.
Orbene, osserva il Giudicante che la possibilità concessa dalla legge, tra gli altri all’Inps, di definire termini e modalità per l’utilizzo esclusivo di propri servizi telematici ovvero della posta elettronica certificata non comporta come conseguenza l’improponibilità del ricorso in ipotesi di presentazione della domanda amministrativa con diversa modalità rispetto a quella stabilita.
L’art. 443 c.p.c., infatti, dispone che “La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell’articolo 142 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi 180 giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo”.
La norma non prevede una particolare formalità richiesta per la presentazione della domanda amministrativa, della quale anzi nulla espressamente dispone, limitandosi a disporre che il ricorso sia temporaneamente improcedibile (se il vizio viene rilevato entro la prima udienza) in ragione dell’omessa definizione del procedimento amministrativo previsto dalle leggi speciali, mediante presentazione del ricorso amministrativo.
Se dalla disposizione può ricavarsi che la domanda amministrativa e condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria, come sopra detto, tuttavia dalla stessa non si ricava certo che, a tal fine, l’atto di impulso nei confronti dell’Ente previdenziale debba rivestire pure una determinata forma.
L’improponibilità discende, infatti, soltanto dall’assoluta mancanza di una domanda amministrativa rivolta ad ottenere la prestazione richiesta in via giudiziaria (Cass. Sez. Lav. n. 5453/2017).
La ratio di una siffatta sanzione risiede nell’esigenza che l’assicurato porti a conoscenza dell’Istituto “fatti” la cui esistenza è solo a lui nota. Diverso è il caso – come quello di specie – in cui la domanda sia comunque pervenuta in data certa nella sfera di conoscenza dell’Ente.
Sul punto, Cass., Sez. Lav., sentenza n. 14412/2019 ha condivisibilmente ritenuto “che non sia necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti dall’Inps o l’uso di formule sacramentali al fine di integrare il requisito della necessaria presentazione della domanda, essendo sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta affinchè la procedura anche amministrativa si svolga regolarmente …. Deve poi sottolinearsi che l’art.111, 1 comma, Cost stabilisce una riserva di legge assoluta in materia di “giusto processo” indicando con tale formula l’insieme delle forme processuali necessarie per garantire, a ciascun titolare di diritti soggettivi o di interessi legittimi lesi o inattuali, la facoltà di agire e di difendersi in giudizio. La disposizione costituzionale citata impone di escludere che l’improcedibilità del ricorso per mancanza della domanda amministrativa di cui all’art 143 c.p.c. possa essere estesa a fattispecie non previste dalla legge e, dunque, l’Inps, stante la riserva assoluta di legge, non può individuare nuove cause di improponibilità della domanda derivanti dal mancato, o non esatto o incompleto, rispetto della modulistica all’uopo predisposta dallo stesso ente previdenziale. In conclusione, pertanto, deve affermarsi che l’Inps non può incidere, con la predisposizione di particolari moduli, sulla procedibilità o proponibilità della domanda”.
Deve, quindi, concludersi che l’improponibilità del ricorso giudiziario relativo a una prestazione previdenziale si verifichi solo in caso di totale assenza di una domanda amministrativa diretta ad ottenere la medesima prestazione ivi richiesta, non invece quando essa sia stata presentata in forma diversa da quella indicata dall’Istituto, oppure mediante la incompleta o erronea compilazione dei moduli a tal fine da questo predisposti, sol che sia chiaro il suo oggetto, in modo che possa essere avviato l’iter amministrativo.
Ritenere il contrario, invero, significherebbe ammettere che una parte processuale possa, a proprio insindacabile giudizio, precludere la presentazione di domande amministrative relative ad alcune prestazioni solo non predisponendo i relativi modelli di domanda telematica, in tal modo inibendo al privato il diritto di agire in giudizio, in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. (in tal senso, cfr. Trib. Palermo Sez. Lav., Giud. Est. Paola Marino, sentenza n. 2913 del 17.7.2019).
Poiché, quindi, nella specie, la domanda amministrativa esiste ed è stata presentata in forma idonea a garantire la sua piena conoscenza da parte dell’Inps, il quale l’ha ricevuta, come si ricava dall’avviso di ricevimento della relativa raccomandata, il ricorso risulta proponibile.
3. Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni espresse nella sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1005/2018, integralmente condivise da questo Giudice e di seguito riprodotte, anche ai sensi dell’art. 118, comma 19 disp. att. c.p.c.
Ed invero, sul rilievo costituzionale del trattamento pensionistico di reversibilità si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 174/2016, secondo la quale “L’ordinamento configura la pensione di reversibilità come una forma di tutela previdenziale e uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno e alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione) (sentenza n. 286/87), In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa. Nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico.
Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento (sentenza n. 777/88) e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge (sentenze n. 18/98). Il perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte, assume queste precise caratteristiche, avallate da plurimi principi costituzionali (sentenza n. 419/99).
Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i principi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2010, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) (…)”.
Così inquadrato, il diritto alla pensione di reversibilità viene a inserirsi nel nucleo dei diritti doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia e quindi dei diritti fondamentali dell’uomo che l’art. 2 tutela e garantisce all’interno delle formazioni sociali nelle quali va inclusa l’unione omosessuale intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso.
In sostanza l’erogazione della pensione al superstite attua il permanere della solidarietà familiare oltre l’evento morte del lavoratore, solidarietà familiare che all’interno della coppia omosessuale stabile non può che essere rivolta a favore del partner al quale non è stato consentito unirsi in matrimonio.
Che del resto l’unione stabile omosessuale rientri tra le formazioni sociali cui l’art. 2 Cost. fa riferimento non può dubitarsi.
La Corte di Cassazione con sentenza 4184/12, richiamando la sentenza della Corte Cost. 138/10, dopo aver precisato che per “formazione sociale”, di cui all’art. 2 Cost., deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, ha affermato che “In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone — nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Inoltre con sentenza del 24 giugno 2010 (Schalk e Kopf c. Austria) la Corte Europea per i diritti dell’uomo aveva affermato che era “artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della vita familiare ai fini dell’art. 8”, e che conseguentemente la relazione dei ricorrenti, una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione”,
La Corte Costituzionale con la sentenza 138 cit., stante il rango costituzionale di protezione dell’unione omosessuale, ha riconosciuto che in relazione a ipotesi particolari sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, riservando tuttavia a sé stessa la possibilità di intervenire a tutela di tali specifiche situazioni dando attuazione, attraverso il vaglio di ragionevolezza, alla portata precettiva dell’art. 2, esistendo un nucleo di diritti propri dei componenti dell’unione omosessuale a prescindere dall’intervento del legislatore.
Va tuttavia osservato che proprio con la già citata sentenza 4184/2012 la Corte di Cassazione ha affermato che “pur non potendo i componenti di una coppia omosessuale far valere il diritto a contrarre matrimonio ovvero di trascrivere il matrimonio contratto all’estero tuttavia, a prescindere dall’intervento del legislatore in materia, quali titolari del diritto alla vita familiare e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di specifiche situazioni, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e in tale sede eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni vigenti”.
Inoltre, la Corte Costituzionale con la sentenza 150/2012 ha affermato che l’operazione di omogeneizzazione, così da consentire all’unione omoaffettiva di acquisire un grado di protezione e di tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutti i casi in cui la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali, “può essere svolta dal giudice comune e non soltanto dalla Corte Costituzionale in quanto tenuto a un’interpretazione delle norme non solo costituzionalmente orientata ma anche convenzionalmente orientata”.
Infine, con la sentenza n. 2400/2015 la Suprema Corte, pur negando alla coppia omosessuale il diritto alle pubblicazioni matrimoniali, ha ribadito l’esistenza in capo ad essa di un nucleo di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia riconosciuti dalla Costituzione a prescindere dal modello di unione prescelto dall’ordinamento, nucleo di diritti che può trovare tutela già innanzi al giudice comune e non necessariamente mediante il sistema del rinvio alla Corte Costituzionale.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il diritto al trattamento pensionistico di reversibilità, costituzionalmente garantito e rientrante tra i diritti doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia tra cui quella omosessuale stabile che, in quanto tale, è stata esclusa dall’istituto matrimoniale e non ha potuto quindi istituzionalizzare la relazione familiare, va riconosciuto al partner superstite come diretta applicazione dell’art. 2 Cost., riconoscimento che può essere fatto dal giudice comune senza la necessità di porre la questione al vaglio della Corte Costituzionale.
Di nessun pregio sono i riferimenti alle sentenze della Cassazione 461/2000 e 22318/16, che hanno negato la pensione in oggetto alle coppie eterosessuali conviventi. Gli stessi invero non sono pertinenti stante l’evidente differenza rispetto alle coppie omosessuali per le quali l’ordinamento non consentiva e non consente tuttora l’unione matrimoniale.
4. Nella specie, la ricorrente ha provato – attraverso l’escussione della teste ZZZZZZZZ – la stabile e duratura comunione di vita e di affetto con la de cuius, la quale ha pure disposto in vita delle proprie sostanze, nominando la XXXXXXXXX quale sua erede universale (si veda la copia del testamento, doc. 8, fascicolo di parte ricorrente). Tanto basta – ad avviso di questo Giudice – per affermare il diritto della ricorrente al trattamento pensionistico di reversibilità, con condanna dell’Inps al pagamento dei ratei arretrati, a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa.
Le argomentazioni che precedono assorbono la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, così come avanzata dalla parte ricorrente, rendendo superflua ogni altra considerazione.
5. La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Foggia, in persona del dott. Ivano Caputo, in funzione di Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, così provvede:
a) accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara il diritto di XXXXXXXXX alla pensione di reversibilità a decorrere dal novembre 2011;
b) condanna l’Inps alla corresponsione dei ratei arretrati, aumentati degli accessori di legge, a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda amministrativa;
c) compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Foggia, il 16 ottobre 2019.
Il Giudice
dott. Ivano Caputo
Tribunale ordinario di Foggia
Vo depositato/pervenuto in Cancelleria 16 OTT 2019