Padri, comunque: da Milano ulteriori conferme in tema di omogenitorialità maschile
15 novembre, 2018 | Filled under discriminazione, genitorialità, orientamento sessuale |
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di Angelo Schillaci
Pubblichiamo, con alcune brevi osservazioni, tre recenti pronunce provenienti, rispettivamente, dal Tribunale per i Minorenni e dal Tribunale ordinario di Milano e relative – la prima – ad una adozione in casi particolari disposta per due minori a favore del secondo padre, compagno del padre biologico, e – le seconde – all’ordine di rettificare l’atto di nascita di due minori nati negli Stati Uniti d’America a seguito di gestazione per altri, inserendo l’indicazione del secondo padre, conformemente alle risultanze dell’atto di nascita legittimamente formato nello Stato di nascita dei minori.
Da qualche mese, a Milano, il tema del riconoscimento della doppia genitorialità in coppie omosessuali maschili è al centro di un dibattito acceso ed articolato, seguito alla iniziale decisione del Comune – poi sospesa – di far luogo alla trascrizione integrale (originaria, o mediante rettifica) dell’atto di nascita straniero recante l’indicazione di entrambi i padri, in caso di nascita a seguito di gestazione per altri (d’ora in poi, GPA). A quanti sostengono la necessità di dare piena tutela ai minori garantendo loro la continuità dello status legittimamente acquisito nello stato estero di nascita, si contrappongono infatti coloro che ritengono – tutto al contrario – che le peculiarità legate al modo in cui detti minori sono venuti al mondo (e cioè il ricorso alla surrogazione di maternità, oggetto nel nostro ordinamento di divieto sanzionato penalmente, all’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004) sarebbero ostative a detto riconoscimento.
Le decisioni che pubblichiamo – attinenti a due diverse fattispecie, come si dirà – intervengono dunque, proprio a Milano, a chiarire taluni profili controversi, ed in particolare l’asserito rilievo giuridico del legame tra pratica procreativa e continuità dello status legittimamente acquisito all’estero. Peraltro, proprio in ragione della diversità di fattispecie, le decisioni coprono, per così dire, l’intero ventaglio delle possibilità di riconoscimento della doppia genitorialità maschile, mettendo in luce taluni aspetti costanti – su tutti, la centralità dell’interesse del minore e, come meglio si dirà, l’indifferenza del modo di nascita in relazione al riconoscimento del legame parentale – ma anche, e soprattutto, talune differenze, che non sono senza significato proprio con riguardo alla miglior tutela della posizione del minore.
La sentenza del Tribunale per i minorenni, peraltro, interviene dopo lunghi anni nei quali la Corte minorile milanese ha ritenuto – dopo una iniziale pronuncia contraria, riformata dalla locale Corte d’Appello (vicenda peraltro ricostruita dalla pronuncia, a p. 4) – di non dare seguito alle pur numerose istanze di adozione in casi particolari presentate dal secondo genitore omosessuale, tanto in coppie di padri che in coppie di madri. La decisione, già passata in giudicato, pare dunque suscettibile di sbloccare una situazione che non ha mancato di destare stupore, anche alla luce dell’accumularsi di numerose pronunce favorevoli da parte di altre Corti minorili, e del noto precedente di legittimità (Cass., sez. I civ., n. 12962/2016).
Nel merito, la pronuncia segue l’orientamento del precedente di legittimità da ultimo richiamato (e della copiosa giurisprudenza di merito che lo ha preceduto e seguito), combinando alla considerazione del superiore interesse del minore nel caso di specie l’adesione all’interpretazione evolutiva dell’art. 44 lett. d) della legge n. 184/1983, che declina la “impossibilità di affidamento preadottivo” – ivi contemplata tra i presupposti che legittimano l’adozione in casi particolari – come impossibilità anche giuridica e non solo di mero fatto, così confermando la natura di norma residuale e di chiusura del medesimo art. 44 lett. d), già riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 383/1999) e dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. La sentenza, tuttavia, si distingue per alcune considerazioni assai significative in merito al rilievo, nel caso di specie, delle modalità procreative grazie alle quali i minori sono venuti al mondo, e su queste pare il caso di soffermarsi, seppur brevemente. In particolare, il Tribunale – interrogandosi sull’adeguata capacità genitoriale di persone che, per divenire genitori, facciano ricorso all’estero a pratiche non consentite dall’ordinamento italiano, quali la surrogazione di maternità – rileva per un verso come “nel caso di specie non sussistano elementi, neanche indiziari, per far ritenere che il ricorrente, partecipando attivamente al percorso genitoriale tramite GPA […] abbia inteso offendere o sfruttare terze persone”. Allo stesso modo, il Tribunale rileva con favore che – nella fattispecie in esame – non è stato posto in essere alcun infingimento sulle origini dei minori e che, peraltro, la scelta di ricorrere alla GPA all’estero è stata oggetto, da parte della coppia, ad adeguata e approfondita ponderazione, anche sotto il profilo dell’eventuale impatto sul benessere dei minori del modello di famiglia in cui sarebbero venuti al mondo; a ciò si unisce, nelle considerazioni del Tribunale (e sulla scorta della relazione dei servizi sociali), la favorevole valutazione del “sistema familiare allargato”, con la presenza di numerose figure vicarianti femminili, di altre “famiglie arcobaleno” e, soprattutto, dei rapporti “ottimi e di riconoscenza” con la “madre gestante e con i figli e il marito di lei”. L’accesso della coppia omosessuale alla genitorialità, in questo quadro, pare allora al Tribunale “manifestazione, anche sofferta e certo ponderata nel caso di specie, della medesima esigenza che esprime la coppia eterosessuale infertile” e la condotta dei ricorrenti “non appare di per sé stessa in alcun modo moralmente eccepibile per il solo fatto dell’orientamento sessuale” (per le citazioni, cfr. le pp. 5 e 6 della decisione).
Diversa è, invece, la fattispecie in cui intervengono le due ordinanze rese, in data 24 ottobre 2018, dal Tribunale ordinario di Milano, entrambe aventi ad oggetto l’ordine di rettificare – ex art. 95 DPR n. 396/2000 – l’atto di nascita di due minori, indicando anche il secondo padre, conformemente all’atto di nascita legittimamente formato negli Stati Uniti d’America. In entrambi i casi, il Tribunale delinea con molta chiarezza la corrispondenza al preminente interesse del minore della conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero. A favore della doverosità della rettifica militano due concorrenti ragioni: anzitutto, l’applicabilità ai minori, nati negli Stati Uniti, della legge del paese di nascita in ordine alla costituzione dello status filiationis, come imposto dall’art. 33 della legge n. 218/1995 (riforma del diritto internazionale privato). Per altro verso, una volta chiarita la normativa applicabile alla luce dei criteri di collegamento recati dal diritto internazionale privato, il Tribunale esclude la contrarietà dell’atto di nascita formato all’estero all’ordine pubblico chiarendo – sulla scia di quanto affermato dalle note Cass., sez. I civ., n. 19599/16 e 14878/17 – che “il limite dell’ordine pubblico, come attualmente viene inteso, opera, pertanto, non come sbarramento alla circolazione in Italia di valori giuridici diversi da quelli del nostro ordinamento, ma solo come remora alla ‘potenziale aggressione dell’atto giuridico straniero ai valori essenziali dell’otrdinamento interno, da valutarsi in armonia con quelli della comunità internazionale’” (così ord. 2935/18, p. 5). Nel caso di specie, tale contrasto non è rilevato, sia in considerazione dell’interesse del minore alla conservazione dello status sia, soprattutto, alla luce dell’irrilevanza della pratica procreativa ai fini della valutazione della compatibilità dell’atto di nascita con l’ordine pubblico: come chiaramente affermato dall’ord. n. 2934/18, infatti, “la circostanza che in Italia non siano ammesse tecniche di procreazione medicalmente assistita quali quella intrapresa negli Stati Uniti dai ricorrenti (c.d. gestazione per altri) non può comportare un giudizio di contrarietà all’ordine pubblico dell’atto straniero, essendo l’attuale divieto interno frutto di una scelta del legislatore nazionale, scevra da vincoli costituzionali” (p. 3). Da ciò consegue la doverosità della rettifica dell’atto di nascita, che non solo assicura ai minori la conservazione dello status giuridico di figli di due padri, legittimamente acquisito all’estero, ma ha l’ulteriore pregio di adeguare l’identità giuridica dei minori ad una identità sociale già ampiamente maturata, “assicurando ai figli nati in queste nuove esperienze familiari un trattamento del tutto analogo a quello riservato ai bambini concepiti nell’ambito delle forme “più tradizionali” di famiglia” (così l’ord. 2935/18, a p. 7).
Sia nel caso della sentenza del Tribunale per i minorenni, sia nel caso delle due ordinanze appena richiamate, viene pertanto confermato con chiarezza che altro è il giudizio sulle modalità procreative – e l’eventuale disvalore ad esse associato dall’ordinamento italiano – e altra è la valutazione del superiore interesse del minore alla conservazione dello status legittimamente acquisito all’estero. Tali profili possono apparire intrecciati – e senz’altro si intrecciano nella concreta articolazione del giudizio – ma, come chiarito da ultimo dalla stessa Corte costituzionale, si tratta di valutazioni che restano collocate su piani diversi. Si ricordi, infatti, che nella sentenza n. 272/17 la Corte costituzionale ha chiarito che l’interesse dell’ordinamento alla veridicità dello status – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra la madre gestante e la donna indicata come madre nell’atto di nascita del minore (in un caso peraltro proveniente, di nuovo, dalla Corte d’appello di Milano) non può prevaricare, in astratto, l’interesse del minore alla conservazione dello status filiationis già acquisito; allo stesso tempo, la valutazione della miglior tutela di quest’ultima posizione deve pure includere un bilanciamento con la considerazione delle modalità procreative e del disvalore ad esse associato (in particolare, la Corte ascrive alla surrogazione di maternità i caratteri di pratica lesiva, sempre e comunque, della dignità della donna e delle relazioni umane fondamentali), ma senza che l’esito di detto bilanciamento possa essere predeterminato a priori, sulla sola base dell’illegittimità della pratica procreativa cui si sia fatto ricorso.
Un’ultima riflessione deve essere svolta, in conclusione, sulla diversità degli strumenti azionati nelle due fattispecie, e sulle diverse virtualità che ad essi possono essere ascritte. La stessa Corte costituzionale, nella decisione da ultimo ricordata, individua infatti nell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 lett. d) un possibile strumento giuridico di riconoscimento della relazione instaurata tra il minore e il genitore non biologico, anche per il caso di surrogazione di maternità. Tale conclusione non appare tuttavia del tutto convincente, per una serie di motivi che possono essere così sintetizzati: a) in primo luogo, laddove la trascrizione integrale dell’atto di nascita consente la conservazione senza soluzione di continuità dello status, siccome instauratosi in via automatica nello stato di nascita, il ricorso all’adozione in casi particolari subordina il riconoscimento della relazione parentale, con i connessi diritti e doveri, ad una iniziativa dell’adottante, così esponendo il minore al rischio di un vuoto di tutela; b) in secondo luogo, non può non ricordarsi come – stante l’attuale consolidata interpretazione dell’art. 55 della legge n. 184/1983 – l’adozione in casi particolari instauri unicamente la relazione giuridica tra l’adottante e l’adottato, escludendo l’instaurazione di ulteriori relazioni parentali tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, con tutto ciò che ne consegue sul piano successorio: non stupisce, in questo senso, che entrambe le ricordate ordinanze si soffermino a lungo sull’importanza della conservazione dello status, siccome acquisito all’estero, proprio sul piano della garanzia della pienezza dei rapporti personali, patrimoniali e successori a favore del minore.
Infine, non può dimenticarsi che l’instaurazione di un legame parentale di tipo adottivo appare non sempre (e non pienamente) rispondente alle specifiche modalità con cui entrambi i padri, a partire dalla decisione di fare ricorso alla GPA – come d’altro canto le coppie di madri, all’atto di intraprendere una PMA – hanno deciso di assumere, congiuntamente e indipendentemente dalla sussistenza di un legame genetico, la responsabilità genitoriale nei confronti del minore. La manifestazione del consenso – e dunque l’intenzione di diventare genitori – non rileva infatti soltanto sul piano affettivo o, se si vuole, morale ma, come riconosciuto da una significativa e recente giurisprudenza di merito (Tribunale di Pistoia, 5 luglio 2018; Tribunale di Bologna, 6 luglio 2018; Corte d’Appello di Napoli, sent. n. 145/18) assume una precisa rilevanza giuridica proprio al fine della costituzione dello status filiationis, come prefigurato dagli articoli 8 e 9 della legge n. 40/2004, inizialmente proprio per il caso di ricorso all’estero a pratiche di p.m.a. non consentite dal nostro ordinamento.