Corte costituzionale, sentenza 22 novembre 2017 n. 272

SENTENZA N. 272

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, promosso dalla Corte d’appello di Milano nel procedimento civile vertente tra A.L. C. ed il curatore speciale di L.F. Z., con ordinanza del 25 luglio 2016, iscritta al n. 273 del registro ordinanze del 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di A.L. C. e del curatore speciale di L.F. Z., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 21 novembre 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Grazia Ofelia Cesaro, nella qualità di curatore speciale di L.F. Z., e Francesca Maria Zanasi per A.L. C. e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Nel corso di un procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

La disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso.

2.– Il giudizio a quo ha ad oggetto l’appello avverso la sentenza con cui il Tribunale ordinario di Milano – in accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. dal curatore speciale di un minore, nominato dal Tribunale per i minorenni – ha dichiarato che lo stesso minore non è figlio della donna che lo ha riconosciuto.

La vicenda sottoposta all’esame della Corte d’appello di Milano trae origine dalla trascrizione del certificato di nascita formato all’estero, relativo alla nascita di un bambino, riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani, i quali – nell’ambito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni – avrebbero ammesso il ricorso alla surrogazione di maternità, realizzata attraverso ovodonazione.

Il giudice a quo riferisce che, pertanto, su iniziativa della stessa Procura della Repubblica, è stato avviato il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, il quale si è concluso con dichiarazione di non luogo a provvedere, avendo i genitori contratto matrimonio ed essendo risultata certa, in base al test eseguito sul DNA, la paternità biologica di colui che ha effettuato il riconoscimento.

Riferisce il giudice rimettente che, su richiesta del pubblico ministero, il Tribunale per i minorenni di Milano ha autorizzato, ai sensi dell’art. 264, secondo comma, cod. civ., l’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale effettuato da A.L. C., nominando a tal fine un curatore speciale del minore. In accoglimento di tale impugnazione, il Tribunale ordinario di Milano ha dichiarato che il minore non è figlio di A.L. C., disponendo le conseguenti annotazioni a cura dell’ufficiale di stato civile.

Il giudice a quo riferisce che la decisione di primo grado si è fondata sulla disposizione di cui all’art. 269, terzo comma, cod. civ., e sulla considerazione che, nel caso in esame, il rapporto di filiazione dal lato materno non potrebbe essere dedotto dal contratto per la fecondazione eterologa con maternità surrogata, da ritenersi invalido per contrarietà della legge straniera all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato).

2.1.– Ciò premesso, la Corte d’appello evidenzia che nel caso in esame l’atto di nascita comprovante la genitorialità del minore è già stato trascritto in Italia e che, pertanto, è estranea al thema decidendum la questione della trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati nei paesi che consentono la maternità surrogata. Nel caso in esame, infatti, non è richiesta la trascrizione di uno status filiationis riconosciuto all’estero, bensì la rimozione di uno status già attribuito, in considerazione della sua non veridicità.

2.1.1.– Quanto al divieto di maternità surrogata previsto dall’art. 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), il giudice a quo ritiene che lo stesso potrebbe porsi in contrasto con i principi costituzionali, laddove riferito ad ipotesi di gestazione “relazionali” o “solidaristiche”, non lesive della dignità della donna, né riducibili alla logica di uno scambio mercantile, ma caratterizzate da intenti di pura solidarietà. Tuttavia, osserva il rimettente, anche tale questione risulta estranea alla vicenda in esame, in quanto la surrogazione di maternità è avvenuta al di fuori di un contesto relazionale e non sarebbe ravvisabile una condizione di libertà della donna che ha portato a termine la gravidanza.

2.2.– La Corte d’appello prospetta, invece, una diversa questione di legittimità costituzionale, che pone al centro l’interesse del bambino, nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita.

Il dubbio di costituzionalità sollevato dal rimettente attiene, in particolare, all’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta rispondente all’interesse del minore.

2.2.1.– Rammenta il giudice a quo che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. è già stata ritenuta non fondata dalla sentenza n. 112 del 1997, sull’assunto che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità sia ispirata al «principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere». In quella occasione, asserisce il rimettente, la Corte ha individuato nella verità del rapporto di filiazione un valore necessariamente da tutelare, con la precisazione che la finalità perseguita dal legislatore consisterebbe proprio nell’attuazione del diritto del minore all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica. Analoghi principi sarebbero stati ribaditi dalle sentenze n. 170 del 1999 e n. 216 del 1997, nonché dall’ordinanza n. 7 del 2012.

Alla stregua di tali rilievi, il giudice a quo esclude soluzioni ermeneutiche che consentano di considerare, nella cornice dell’art. 263 cod. civ., la specifica situazione del minore al fine di privilegiare una soluzione che realizzi il suo concreto ed effettivo interesse. La mancanza di un riferimento normativo all’interesse del minore, nel richiamato indirizzo interpretativo da considerare quale “diritto vivente”, si porrebbe in contrasto con i principi di particolare tutela che la Costituzione e la CEDU assicurano ai minori.

2.3.– La questione avrebbe incidenza attuale nel giudizio di impugnazione promosso dal curatore speciale ai sensi dell’art. 263 cod. civ.

Infatti, nel caso in esame, le norme inderogabili che definiscono e disciplinano la genitorialità, ed in particolare la maternità, non consentirebbero a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale legame giuridico, se non per il tramite dell’adozione in casi particolari, nel presupposto che l’interesse del minore, di cui lo stesso curatore è portatore, debba identificarsi nel favor veritatis.

Viceversa, ove fosse consentita una valutazione in concreto dell’interesse del minore, non coincidente col favor veritatis, esso potrebbe essere misurato anche alla stregua di altri profili, riguardanti le particolari modalità della nascita, la possibilità di altro legame giuridico, certo e ugualmente tutelante, con la madre intenzionale, e tutte le circostanze, anche relative al rapporto con la madre intenzionale, emerse nella fattispecie in esame.

2.4.– Il giudice rimettente richiama i principi enunciati dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77; dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che all’art. 24, secondo comma, sancisce il principio della necessaria preminenza dell’interesse del minore.

Dovrebbero considerarsi, inoltre, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri. Il riferimento, ivi contenuto, al superiore interesse del minore andrebbe inteso come ricerca di una soluzione che garantisca l’effettiva attuazione, non di un interesse astratto e preconcetto, bensì del best interest, cioè dell’interesse concreto di “quel” minore che, nel singolo caso sottoposto a valutazione, è destinatario di un provvedimento.

La Corte d’appello osserva che anche la recente giurisprudenza di merito attribuisce rilievo al concreto interesse del minore in tema di relazioni familiari. In particolare, sono richiamate quelle pronunce che hanno ammesso la trascrizione nei registri dello stato civile di atti stranieri attributivi della genitorialità alla madre intenzionale, a seguito di accordi di maternità surrogata (Corte d’appello di Bari, sentenza 13 febbraio 2009) o di un atto di nascita, formato all’estero, del figlio di una coppia di donne, nato con donazione del gamete maschile e trasferimento dell’ovulo di una delle due all’altra, che ha portato a termine la gravidanza (Corte d’appello di Torino, decreto 29 ottobre 2014). Sono, altresì, richiamate quelle decisioni che hanno riconosciuto la possibilità di adozione del figlio del partner di coppia dello stesso sesso, ai sensi dell’art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia). Inoltre, è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 11 gennaio 2013, n. 601, che ha escluso che il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale pregiudichi l’equilibrato sviluppo del bambino.

Il giudice a quo sottolinea, inoltre, che nella sentenza n. 31 del 2012 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 569 del codice penale, nella parte in cui prevedeva che, alla condanna dei genitori per il delitto di alterazione di stato, conseguisse in via automatica la perdita della potestà genitoriale, precludendo così al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore.

Alla luce dei principi desumibili dalla normativa sovranazionale e nazionale e degli approdi giurisprudenziali, europei e interni, nonché delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie in tema di procreazione assistita, il giudice a quo sollecita una rinnovata riflessione sul tema della coincidenza tra favor veritatis e favor minoris.

Il dubbio di legittimità costituzionale ha ad oggetto l’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non consente di valutare il concreto interesse del minore a mantenere l’identità relazionale e lo status di una riconosciuta filiazione materna, impedendo, così, che tale interesse possa essere realizzato con l’ampiezza di tutele riconosciute da plurimi principi costituzionali.

2.5.– In primo luogo, è denunciata la violazione dell’art. 2 Cost., per la natura inviolabile del diritto del minore a non vedersi privato del nome, dell’identità personale e della stessa possibilità di avere una madre, mantenendo lo status filiationis nei confronti di colei che abbia effettuato il riconoscimento.

In secondo luogo, la disposizione in esame contrasterebbe con l’art. 30 Cost., che riconosce e promuove, sia pure in via sussidiaria, accanto alla genitorialità biologica, una genitorialità sociale, fondata sul consenso e indipendente dal dato genetico. Di essa, in alcune situazioni problematiche, l’interesse del minore potrebbe giovarsi. Il riconoscimento della genitorialità sociale si accompagnerebbe, infatti, alle garanzie offerte al figlio dall’assunzione di responsabilità nei suoi confronti. La questione di legittimità costituzionale è sollevata anche in riferimento all’art. 31 Cost., che, con disposizione riassuntiva e generale, completa il quadro delle garanzie costituzionali dei rapporti familiari e dell’infanzia.

L’impossibilità di valutare, in concreto, un interesse, che potrebbe non coincidere col favor veritatis, si porrebbe altresì in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., soprattutto alla luce dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004 che, ancor prima della sentenza di questa Corte n. 162 del 2014, aveva comunque assicurato al bambino – nato attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo – lo stato di figlio del coniuge o del convivente della donna che lo aveva partorito.

A questo riguardo, il giudice a quo evidenzia che, nel nuovo assetto conseguente all’eliminazione del divieto di fecondazione eterologa, essendo esclusa la possibilità che il coniuge o il convivente del genitore naturale possano, rispettivamente, disconoscere la paternità del bambino, ovvero impugnare il relativo riconoscimento, sarebbe dubbia la legittimazione in capo al figlio in ordine alle azioni indicate. Infatti, un eventuale accertamento negativo della paternità legale non potrebbe comunque costituire la premessa per un successivo accertamento positivo della paternità biologica, stante la regola di cui all’art. 9, comma 3, della legge n. 40 del 2004.

In ogni caso, nell’impossibilità di valutare in concreto l’interesse del minore, lo status del bambino nato da surrogazione di maternità potrebbe risultare irragionevolmente diverso e sfavorevole rispetto a quello assicurato al minore nato attraverso il ricorso alla fecondazione eterologa.

La Corte d’appello dubita della legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ., anche con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in situazioni riconducibili alla maternità surrogata.

Sono richiamate, in particolare, le sentenze della Corte EDU del 26 giugno 2014 rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia (ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011), nelle quali è stata affrontata la questione del rifiuto di riconoscere, in Francia, rapporti genitoriali stabiliti all’estero tra minori nati da maternità surrogata e le coppie che vi avevano fatto ricorso. In queste pronunce, la Corte di Strasburgo ha ritenuto violato l’art. 8 della CEDU con riferimento al diritto dei minori al rispetto della propria vita privata, quale diritto di ciascuno su ogni profilo della propria identità di essere umano.

Ad avviso del giudice a quo, da tali sentenze discenderebbe per gli Stati contraenti l’obbligo positivo di tutelare l’identità personale del minore nato attraverso surrogazione di maternità, anche a prescindere dal legame biologico con i genitori intenzionali. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, se possono scoraggiare o vietare il ricorso alla maternità surrogata, non potrebbero, viceversa, rifiutare la trascrizione di un atto di nascita che assicura al minore il rispetto della sua vita privata, rispondendo tale trascrizione al suo best interest.

In questo senso si porrebbe anche la sentenza della Corte EDU del 27 gennaio 2015, resa nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia (ricorso n. 25358 del 2012). In un caso di maternità surrogata caratterizzato dall’assenza di legame biologico del minore con i genitori intenzionali, la Corte di Strasburgo ha ravvisato la violazione dell’art. 8 della CEDU nei provvedimenti relativi all’allontanamento del minore. La nozione di “vita familiare”, tutelabile ai sensi dell’art. 8 della CEDU, sarebbe estensibile alla relazione tra i genitori d’intenzione e il minore, ancorché costituita illegalmente secondo l’ordinamento nazionale. In questo modo, ad avviso del giudice a quo, la Corte di Strasburgo avrebbe svincolato la nozione giuridica di “vita familiare” dall’indefettibilità del legame genetico, ritenendola comprensiva di relazioni di fatto, la cui tutela corrisponde al preminente interesse del minore.

2.6.– Dopo avere ribadito che la questione in esame non concerne la liceità della pratica della surrogazione, ma i diritti del bambino nato attraverso tale pratica, il rimettente deduce che non vi sarebbe contrasto, rispetto all’ordine pubblico, del concreto interesse del minore. In particolare, tale contrasto non sarebbe ricavabile dal divieto di maternità surrogata di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, dovendosi avere riguardo all’ordine pubblico internazionale, in cui rileva l’esistenza di paesi, anche in Europa, che consentono il ricorso alla surrogazione di maternità.

Il concetto di ordine pubblico dovrebbe essere perciò declinato con riferimento all’interesse del minore, secondo un principio ricavabile anche dal regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale). Tale regolamento, all’art. 23, prevede che, con riferimento alle decisioni relative alla responsabilità genitoriale, la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto del superiore interesse del figlio.

2.7.– Il giudice a quo ritiene che il dubbio di legittimità costituzionale non possa essere superato neppure dalla considerazione del diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Tale diritto si realizzerebbe, infatti, su un piano diverso da quello dell’impugnazione di cui all’art. 263 cod. civ., a meno di non voler attribuire all’accertamento della non veridicità del riconoscimento la funzione di comunicazione della non-nascita dalla madre, in una logica latamente sanzionatoria della condotta genitoriale. Ciò andrebbe comunque a detrimento dell’interesse del minore al mantenimento di un rapporto giuridico corrispondente alla effettività della relazione con la persona che ha formulato il progetto familiare e che, dalla nascita del bambino, ne è madre.

3.– Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita A.L. C., parte appellante nel giudizio principale, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata dal giudice a quo.

3.1.– Dopo avere ripercorso le argomentazioni del giudice rimettente, la parte richiama i principi affermati nelle sentenze n. 158 del 1991, n. 112 del 1997 e n. 170 del 1999 ed osserva che, alla luce del mutato quadro giurisprudenziale e dell’evoluzione scientifica e tecnologica, che ha progressivamente ampliato le possibilità procreative delle coppie, si imporrebbe una nuova valutazione della legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. Si dovrebbe ritenere ormai superato il principio della necessaria preservazione del legame di filiazione veridico quale unico presupposto di tutela dell’interesse del minore.

Sono richiamate, in particolare, la sentenza n. 162 del 2014, in materia di fecondazione eterologa, e le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di surrogazione di maternità. In queste pronunce la tutela del superiore interesse del minore non sarebbe più inscindibilmente connessa alla veridicità del rapporto di filiazione, in quanto biologicamente determinato, bensì alla conservazione del rapporto di filiazione “sociale”, ovvero “intenzionale”, imperniato sull’assunzione della responsabilità genitoriale.

La parte evidenzia che, in tema di disconoscimento di paternità del bambino nato da procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la Corte di cassazione, sin da epoca precedente alla legge n. 40 del 2004, si era già espressa nel senso che il favor veritatis abbia «una priorità non assoluta, ma relativa» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 16 marzo 1999, n. 2315).

Occorrerebbe, dunque, una valutazione individualizzata dell’interesse del minore ed il superamento, sulla scorta del mutato contesto sociale e giurisprudenziale, dell’impostazione che ritiene salvaguardato tale interesse solo in presenza di un legame di filiazione veridico.

3.2.– Riguardo alla violazione dell’art. 2 Cost., la difesa della parte condivide i rilievi del giudice rimettente, richiamando in proposito la giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia di diritto all’identità personale quale diritto inviolabile della persona umana, strettamente connesso al diritto di conservare il proprio status filiationis. La disposizione censurata sarebbe, altresì, lesiva del diritto al nome del minore, anch’esso protetto a norma dell’art. 2 Cost.

3.3.– L’art. 263 cod. civ. si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost., per la condizione deteriore in cui si trova il bambino nato da maternità surrogata rispetto a quello nato attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo. Solo in questo secondo caso, infatti, in presenza di donazione dei gameti, è preclusa al coniuge e al convivente del genitore naturale la proposizione dell’azione di disconoscimento e, rispettivamente, dell’impugnazione del riconoscimento. Tuttavia, anche con riferimento al bambino nato da maternità surrogata si porrebbe l’analoga esigenza di assicurare protezione al diritto costituzionale all’identità personale, nelle forme del diritto al nome e alla conservazione del proprio status filiationis.

3.3.1.– La norma sarebbe irragionevole anche per l’automatismo decisorio che si determinerebbe in caso di difetto di veridicità. Sia pure pronunciando su questioni di tipo diverso, la giurisprudenza costituzionale avrebbe chiarito come siffatti automatismi possono tradursi in un’irragionevole lesione dell’interesse del minore, in quanto preclusivi di uno scrutinio individualizzato, caso per caso, da parte del giudice.

In particolare, in tema di adozione, tali principi hanno portato a ritenere irragionevoli – perché non rispondenti all’interesse del minore – le norme che stabilivano limiti rigidi di età tra adottanti e adottato (sono richiamate le sentenze n. 140 [recte: 44] del 1990, n. 148 del 1992, n. 303 del 1996 e n. 283 del 1999).

Afferma la parte che, allo stesso modo, è stata ritenuta irragionevole l’applicazione automatica della pena accessoria della perdita di potestà genitoriale, a seguito della commissione del reato di cui all’art. 567 cod. pen., prevista dall’art. 569 cod. pen., che precludeva ogni possibilità di valutazione e bilanciamento tra l’interesse del minore e l’applicazione della pena accessoria, in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso (sentenza n. 31 del 2012). Analogamente, l’art. 569 cod. pen. è stato censurato nella parte in cui stabiliva che, alla condanna pronunciata per il delitto di cui all’art. 566, secondo comma, cod. pen., conseguisse di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto (sentenza n. 7 del 2013).

È richiamata, inoltre, la pronuncia con cui questa Corte ha censurato l’art. 4-bis, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui includeva nel divieto di concessione dei benefici penitenziari anche la detenzione domiciliare speciale, prevista per le madri con prole di età non superiore a dieci anni (sentenza n. 239 del 2014). Anche in questo caso, non era consentita una valutazione caso per caso della pericolosità della madre detenuta, al fine di tenere conto del superiore interesse del minore.

Da ultimo, la difesa della parte richiama le pronunce che hanno censurato l’irragionevole rigidità della disposizione che negava al medico una valutazione del caso concreto sottoposto a trattamento medico, da effettuarsi sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche (sentenza n. 151 del 2009).

Ad avviso della parte, anche in relazione all’art. 263 cod. civ. sarebbe ravvisabile un automatismo, consistente nell’accoglimento dell’impugnazione del riconoscimento ogniqualvolta sussista un difetto di veridicità. Anche a questa previsione sarebbe sottesa una presunzione assoluta, in base alla quale l’interesse del minore sarebbe adeguatamente tutelato soltanto quando venga assicurata la veridicità del legame di filiazione. Per eliminare tale irragionevolezza, dovrebbe essere consentita al giudice la valutazione degli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione in relazione all’interesse del minore, in considerazione delle circostanze del caso concreto.

3.4.– Con riferimento alla violazione degli artt. 30 e 31 Cost., la difesa della parte privata, richiamandosi ai principi affermati nella sentenza n. 162 del 2014, sottolinea il valore da attribuire alla genitorialità sociale, dovendo riconoscersi tutela, anche di livello costituzionale, a nuclei familiari in cui difetti una corrispondenza biunivoca tra il dato biologico e quello sociale.

Lo stesso legislatore, con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), avrebbe già fatto propria una nozione di responsabilità genitoriale improntata sul consenso liberamente assunto dai genitori nei confronti del figlio. In quanto finalizzata ad assicurare adeguata protezione all’interesse del minore, tale responsabilità dovrebbe prescindere dalla caratterizzazione biologica o sociale del rapporto di parentela.

Al riguardo, la parte richiama la giurisprudenza di merito e di legittimità in tema di adozione da parte del single e della coppia omosessuale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 gennaio 2013, n. 601, e 22 giugno 2016, n. 12962; Corte d’appello di Torino, sentenza 27 maggio 2016); in materia di trascrizione di atti di nascita formati all’estero, dai quali risulti che il bambino è figlio di una coppia composta da persone dello stesso sesso (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19599), ovvero è nato a seguito di maternità surrogata (Corte d’appello di Milano, decreto 28 dicembre 2016); nonché in tema di adozione, da parte del genitore sociale, del figlio biologico del proprio compagno, nato a seguito di surrogazione di maternità (Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza 23 dicembre 2015).

3.5.– Da ultimo, quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 8 della CEDU, la difesa della parte evidenzia che nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo si rinviene l’affermazione della necessità di assicurare preminenza, nel bilanciamento tra interessi contrapposti, al superiore interesse del minore, attraverso uno scrutinio che poggi sulle circostanze del caso concreto. In tal senso, oltre alle già citate sentenze del 26 giugno 2014 rese nei casi Mennesson e Labassee contro Francia, è richiamata la sentenza della Grande camera del 6 luglio 2010, resa nel caso Neulinger e Shuruk contro Svizzera (ricorso n. 41615 del 2007), in cui la Corte ha ravvisato nell’omessa trascrizione del certificato di nascita formato all’estero la lesione del superiore interesse del bambino nato da surrogazione di maternità.

Ad avviso della parte, la prospettiva si dovrebbe spostare dalla valutazione della situazione giuridica della coppia a quella del minore, meritevole di autonoma considerazione indipendentemente dalle condotte realizzate dai genitori, siano essi biologici, sociali o intenzionali.

3.5.1.– A conclusioni analoghe sarebbe inizialmente pervenuta la Corte EDU nella sentenza resa nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia, sopra già citata. In tale pronuncia, la Corte di Strasburgo ha affermato il carattere recessivo delle esigenze di ordine pubblico rispetto alla necessaria salvaguardia del superiore interesse del minore, ravvisando nel caso concreto la violazione del suo diritto alla vita privata e familiare, in ragione dell’allontanamento dalla famiglia di origine.

Peraltro, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuta la sentenza del 24 gennaio 2017 della Grande camera, la quale, nel riesaminare la decisione del 27 gennaio 2015, ha escluso la violazione dell’art. 8 della CEDU. In questa occasione, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le misure adottate dalle autorità italiane, che avevano disposto l’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente e il suo collocamento presso un diverso nucleo familiare, non abbiano arrecato allo stesso minore un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione, garantendo un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco.

Ad avviso della parte, anche questa pronuncia confermerebbe la necessità di salvaguardare il superiore interesse del minore attraverso una valutazione individualizzata, avente ad oggetto le circostanze del caso concreto. In questo caso veniva in rilievo la conformità alla CEDU dell’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente, con cui egli non intratteneva alcun legame biologico. Viceversa, osserva la parte privata, la pronuncia non atterrebbe né al rifiuto di trascrivere un certificato di nascita formato all’estero, né al diritto del minore a ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione con la coppia, ciò che invece riveste rilievo centrale nella questione in esame.

Pertanto, resterebbero fermi i dubbi di non conformità della disposizione censurata rispetto all’art. 8 della CEDU. Essa precluderebbe, infatti, la valutazione individualizzata delle circostanze del caso e impedirebbe, altresì, di dare concretezza all’esigenza di tutela dell’interesse del minore.

3.5.2.– Più in generale, l’art. 263 cod. civ. sarebbe in contrasto con il quadro internazionale di tutela dei diritti dei minori e, in particolare, con gli artt. 3 e 8, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo. Nella stessa direzione si porrebbe anche l’azione del Consiglio d’Europa, con le Linee guida per una giustizia a misura di minore, cui si affianca la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli. Si evidenzia, altresì, che la tutela del superiore interesse del minore è riconosciuta dall’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

4.– Con atto depositato in data 10 febbraio 2017 si è costituita in giudizio l’avvocato Grazia Ofelia Cesaro, nella qualità di curatore speciale del minore L.F. Z., rappresentato e difeso dalla detta professionista, e ha chiesto l’accoglimento della questione sollevata dalla Corte d’appello di Milano.

4.1.– Il curatore premette che l’azione dallo stesso proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. è derivata dall’acquisizione della prova, nel corso del procedimento di adottabilità, che il figlio minore non è un discendente biologico di colei che lo ha riconosciuto. Il Tribunale per i minorenni ha pertanto provveduto alla nomina del curatore, conferendogli uno specifico mandato ad impugnare il riconoscimento.

Il curatore evidenzia, in particolare, che sebbene gli accertamenti svolti dal Tribunale per i minorenni avessero confermato l’interesse del figlio minore a mantenere il legame familiare con la madre sociale (oltre che con il padre), tuttavia le norme che disciplinano la genitorialità non consentirebbero a madre e figlio di vedersi riconosciuto tale legame giuridico, laddove esso non corrisponda alla verità biologica.

L’art. 263 cod. civ., infatti, contempla quale unico presupposto necessario e sufficiente per l’impugnazione del riconoscimento il difetto di veridicità, inteso come assenza di un legame biologico tra l’autore del riconoscimento e colui che è riconosciuto come figlio. Ciò precluderebbe al giudice ogni possibilità di valutazione e bilanciamento degli interessi coinvolti, in quanto l’inesistenza di tale legame biologico costituirebbe l’unica condizione per l’accoglimento dell’azione.

Osserva il curatore che l’interesse del minore alla salvaguardia del proprio legame con la madre (ed indirettamente con la famiglia d’origine materna) potrebbe, in ipotesi, essere preservato solo mediante lo strumento di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983, previa rimozione dell’attuale status filiationis per parte di madre. Tale possibilità sarebbe, tuttavia, del tutto aleatoria, non solo perchè dipendente dalla libera iniziativa del genitore sociale, ma anche perchè subordinata al consenso dell’altro genitore. Inoltre, l’eventuale legame così costituito sarebbe comunque più debole di quello derivante dalla maternità naturale, attese le peculiarità proprie dell’adozione in casi particolari.

Rispetto all’interpretazione offerta dalla precedente sentenza n. 112 del 1997, sarebbe oggi necessario un riesame della questione, per riscontrare se, nell’attuale momento storico-sociale e nell’attuale panorama normativo e giurisprudenziale, sussista ancora la necessità di individuare nella verità del rapporto di filiazione un valore preminente, da tutelare in via prioritaria.

4.1.1.– In primo luogo, ad avviso del curatore, il principio secondo cui ogni falsa apparenza di stato deve cadere, così come il principio del favor veritatis, non assurgerebbero a valori costituzionalmente garantiti. L’art. 30 Cost. non avrebbe attribuito, infatti, un valore preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Al contrario, nel disporre, al quarto comma, che «[l]a legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità», la Costituzione avrebbe demandato al legislatore il potere di privilegiare la paternità legale rispetto a quella naturale, fissando le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima ed affidandogli la valutazione della soluzione più idonea per realizzare la coincidenza tra la discendenza naturale e quella biologica.

L’interesse pubblico alla verità dello status di filiazione, dunque, non dovrebbe necessariamente ed automaticamente prevalere sull’interesse del minore. Anche la normativa interna ed internazionale, oltre ad avere posto il minore al centro dei procedimenti promossi a sua tutela, avrebbe altresì prescritto l’obbligo di verificare l’interesse del minore, affinché lo stesso possa essere oggetto di bilanciamento con gli altri interessi meritevoli di tutela.

In particolare, nella mutata coscienza sociale, tra gli interessi giuridici del minore rileverebbero l’interesse alla stabilità dei legami familiari e quello a vivere e crescere all’interno della propria famiglia. In tal senso, sia la legge n. 219 del 2012, sia il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), avrebbero introdotto nuovi termini di decadenza ed imposto limiti più stringenti al potere dei genitori di agire per il disconoscimento del figlio, così come per l’impugnazione del riconoscimento, per l’acquisita consapevolezza che la tutela dell’identità e della vita personale e familiare del minore non sempre coinciderebbe con la rimozione di uno status personale non conforme alle origini biologiche.

Le modifiche legislative avrebbero posto al centro del rapporto di filiazione il concetto di responsabilità genitoriale, ridisegnando la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, nella prospettiva della prevalenza dell’interesse del figlio alla stabilità del rapporto. D’altra parte, anche la giurisprudenza di legittimità avrebbe riconosciuto il rilievo delle relazioni consolidatesi nel tempo tra genitore e figlio, alla luce del diritto di quest’ultimo a conservare tale profilo che caratterizza fin dalla nascita l’identità personale (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962).

Il curatore evidenzia, inoltre, che la più recente giurisprudenza di merito ha esteso la portata applicativa dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004, dichiarando l’illegittimità dell’azione di impugnazione del riconoscimento intrapresa da terzi nei confronti di un figlio minore nato da fecondazione eterologa, così estendendo «a chiunque vi abbia interesse» il divieto di disconoscimento previsto solo nei confronti dell’autore del riconoscimento (Corte d’appello di Milano, sentenza 10 agosto 2015, n. 3397). Alla luce di tale evoluzione giurisprudenziale, che attenua il principio della prevalenza della verità biologica, andrebbe escluso pertanto che il favor veritatis costituisca valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da affermarsi comunque.

L’intervento correttivo auspicato si porrebbe in linea di continuità con la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto illegittimo ogni automatismo legislativo che impedisca di bilanciare gli interessi tutelati con il preminente interesse del minore (è richiamata la sentenza n. 31 del 2012). La necessità di tale bilanciamento sarebbe stata riconosciuta anche dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, nella sentenza del 25 gennaio 2017, n. 1946, che ha fatto seguito alla sentenza n. 278 del 2013 di questa Corte, in cui sarebbe stato affermato il diritto del figlio di accedere alle informazioni sulla madre che si fosse avvalsa della facoltà di non essere nominata.

4.1.2.– Anche a livello europeo, si dovrebbe constatare la progressiva perdita di rilievo della verità di sangue e l’emersione del rapporto affettivo della filiazione, quale elemento fondamentale per il riconoscimento dei legami tra genitori e figli sul piano del diritto; sono richiamate le sentenze della Corte di Strasburgo 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti contro Italia (ricorso 16318 del 2007), e 1° aprile 2010, S.H. ed altri contro Austria (ricorso n. 57813 del 2000).

Inoltre, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) farebbe propri i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, agevolando l’attribuzione di rilievo giuridico al rapporto di fatto instaurato tra i minori dichiarati adottabili e la famiglia affidataria.

L’interesse alla costituzione e alla conservazione dei legami familiari, non necessariamente coincidente con la verità delle origini biologiche, sarebbe riconosciuto quale criterio di valutazione centrale e riguarderebbe ormai anche i soggetti maggiorenni. Al riguardo, è richiamata l’ordinanza del Tribunale di Firenze 30 luglio 2015 che ha rigettato un’istanza di accertamento della non corrispondenza del DNA del presunto padre defunto con quello della figlia maggiorenne, al fine di proporre l’azione di cui all’art. 263 cod. civ.

Ed invero, la tendenza a far prevalere i valori costituzionali di solidarietà e di tutela dell’individuo e della vita familiare sarebbe ravvisabile in ogni settore del diritto di famiglia. È richiamata, al riguardo, la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097, con cui è stata ritenuta invalida l’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, rispetto ad una coppia in cui uno dei coniugi aveva ottenuto, con il consenso dell’altro, la rettificazione di sesso.

4.2.– Sulla base di tali considerazioni, dunque, il curatore ritiene fondati gli argomenti svolti dall’ordinanza di rimessione.

4.2.1.– Riguardo al contrasto con l’art. 2 Cost., il curatore sottolinea come l’esigenza di tutelare il diritto del figlio minore alla propria identità sia stata affermata sin dalla sentenza n. 112 del 1997. In tale pronuncia sarebbe stata esclusa una contrapposizione tra il favor veritatis ed il favor minoris, intendendo così far coincidere l’identità del minore con la sola discendenza genetica dello stesso. Si tratterebbe, tuttavia, di un’interpretazione oltremodo restrittiva ed impropria del concetto di identità personale, non più conforme all’attuale coscienza sociale.

L’identità personale, infatti, sarebbe un concetto dinamico, non cristallizzato al momento del concepimento. Essa si svilupperebbe nel tempo, per effetto delle relazioni create con il mondo esterno, del nome e del cognome scelto dai genitori alla nascita, dell’appartenenza al luogo dove si cresce, della propria storia, cultura e tradizioni e, soprattutto, dei genitori e delle rispettive famiglie d’origine, che condizionano il processo di crescita.

Anche la Corte di cassazione, di recente, avrebbe condiviso questi principi, riconoscendo la risarcibilità del danno arrecato dal padre al figlio a causa dell’esperimento dell’azione di cui all’art. 263 cod. civ. In tale occasione, si è affermato che l’identità, come tutti i diritti della personalità, «si rafforza e si consolida con il passare del tempo. Pertanto, maggiore è il lasso di tempo intercorso tra il riconoscimento e l’impugnazione per difetto di veridicità, maggiore sarà la lesione che ne discende al diritto all’identità personale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 31 luglio 2015, n. 16222).

D’altra parte, la rimozione dello status filiationis, ai sensi dell’art. 263 cod. civ., non garantirebbe affatto l’acquisizione di una genitorialità corrispondente a verità. Il genitore biologico potrebbe, infatti, rifiutare il riconoscimento, quest’ultimo potrebbe essere contrario all’interesse del minore, oppure, come accade nei casi di maternità surrogata, il genitore biologico potrebbe essere non identificabile. In tali circostanze sarebbe leso anche il diritto del minore alla bigenitorialità, diritto riconosciuto come preminente dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli).

4.2.2.– In riferimento all’art. 3 Cost., il curatore rileva che l’esigenza di bilanciare l’interesse del minore con il pubblico interesse alla certezza degli status sarebbe stata affermata dal legislatore in tutte le azioni in materia di riconoscimento dei figli (artt. 250, 251 e 269 cod. civ.). Se in tali azioni, tese ad estendere i legami di filiazione del minore, è stata ritenuta necessaria la valutazione dell’interesse del medesimo, non si comprenderebbe perché essa non possa compiersi anche nelle azioni il cui accoglimento comporta la rescissione di tali legami e quindi l’impoverimento delle relazioni familiari del minore.

4.2.3.– Quanto al contrasto con gli artt. 30 e 31 Cost., il curatore deduce che, nei giudizi di accertamento del rapporto di filiazione, la prevalenza incondizionata del favor veritatis sarebbe stata messa in dubbio dalla giurisprudenza. Al riguardo, si fa rilevare che gli artt. 30 e 31 Cost. riconoscono che la ricerca della filiazione biologica può incontrare dei limiti, derivanti dalla necessità di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente garantiti, primo fra tutti l’interesse del minore. La preminenza del favor veritatis non sarebbe espressione di valori costituzionali, bensì il portato di una concezione arretrata e formalistica dei rapporti familiari, ormai estranea al comune sentire.

4.2.4.– Da ultimo, quanto al contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., il curatore osserva che l’art. 8 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, imporrebbe in via prioritaria al legislatore nazionale di tutelare il legame di filiazione, ancorché originato attraverso pratiche ritenute illecite dall’ordinamento nazionale.

Non potrebbe, dunque, ritenersi giustificata una previsione legislativa, come quella censurata, che impone la rimozione dello status filiationis, precludendo ogni valutazione circa la corrispondenza di questa decisione all’interesse del minore. In ciò sarebbe ravvisabile un eccesso di discrezionalità legislativa. Di converso, laddove è in gioco il best interest of the child e la tutela della sua identità, il margine di tale discrezionalità sarebbe strettissimo, dovendosi ispirare alla promozione della persona del minore (oltre alle già citate sentenze 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, è richiamata la sentenza della Grande camera 10 aprile 2007, Evans contro Regno Unito, ricorso n. 2346 del 2002).

Viceversa, l’art. 263 cod. civ. tradirebbe tale scopo. Esso sacrificherebbe ogni considerazione centrata sulla persona del minore ad un presunto interesse pubblico alla verità biologica della procreazione, violando anche i principi desumibili dalle convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto, prima tra tutte la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nonché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il curatore deduce che, nella giurisprudenza della Corte EDU, la sussistenza di legami familiari sarebbe legata all’esistenza, anche solo nei fatti, di stretti vincoli affettivi (Grande camera, sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, ricorso n. 6833 del 1974), a prescindere dalla loro qualificazione giuridica formale, ed anzi, talvolta, anche se la legge nazionale rifiuti di riconoscerli (Grande camera, sentenza 27 ottobre 1994, Kroon ed altri contro Paesi Bassi, ricorso n. 18535 del 1991, e sentenza 22 aprile 1997, X, Y e Z contro Regno Unito, ricorso n. 21830 del 1993).

Nella nozione di vita familiare, da proteggersi ai sensi dell’art. 8 della CEDU, rientrerebbe il legame tra il figlio ed il genitore, anche se tale relazione non ha presupposti biologici, ma solo affettivi (Prima sezione, sentenza 16 luglio 2015, Nazarenko contro Russia, ricorso n. 39438 del 2013). Il rapporto di filiazione sarebbe espressione della vita privata o, come nel caso che ha dato origine al presente giudizio, espressione di vita familiare. Ciò sarebbe confermato dalla stessa posizione del Governo italiano, espressa di fronte alla Corte EDU nel caso Paradiso e Campanelli, laddove è stata ammessa la possibilità di una vita familiare de facto, anche in assenza di legame biologico con entrambi i genitori.

Ove il legame biologico sussista solo nei confronti di un genitore (come nel caso in esame) si potrà invocare l’art. 8 della CEDU, nell’accezione di “vita familiare”. Laddove tale legame non sussista, la protezione della filiazione “sociale” dovrebbe essere riconosciuta quale declinazione della “vita privata” del minore.

5.– Nel giudizio innanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.

5.1.– La difesa statale ha eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità della questione, in quanto volta ad inserire, attraverso una pronuncia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione del riconoscimento di figlio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale impugnazione debba essere subordinato unicamente all’interesse del minore all’appartenenza familiare.

5.2.– Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata.

La ratio dell’art. 263 cod. civ., quale strumento di tutela dell’interesse superiore alla corrispondenza tra realtà naturale e verità apparente, sarebbe quella di far cadere il riconoscimento non rispondente al vero. Verrebbe in rilievo, quindi, l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status di filiazione, attinente a principi di ordine pubblico, intesi come principi fondamentali ed irrinunciabili. Ad avviso della difesa statale, il principio del favor veritatis esprime un’esigenza di certezza nei rapporti di filiazione e la protezione dell’interesse del minore si realizzerebbe proprio nel riconoscimento del diritto alla propria identità (sono richiamate la sentenza n. 112 del 1997 e l’ordinanza n. 7 del 2012).

La ratio dell’art. 263 cod. civ. consisterebbe nell’attuazione del diritto del minore all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica, ovvero, qualora ciò non sia possibile, di uno stato corrispondente a quello di figlio legittimo, ma solo attraverso le garanzie offerte dalla disciplina dell’adozione.

Non sarebbe, dunque, ravvisabile alcun contrasto con l’art. 2 Cost., perché lo scioglimento dei vincoli assunti dal genitore verso il preteso figlio realizzerebbe l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status.

Non potrebbero ritenersi lesi neppure i principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost. Essi non sarebbero invocabili laddove il legame familiare venga meno, in quanto privato del fondamento della verità della filiazione naturale.

Inoltre, non sarebbe ravvisabile alcun contrasto con l’art. 3 Cost. e quindi con il principio di ragionevolezza, perché l’art. 263 cod. civ. sarebbe giustificato dalla superiore esigenza di far cadere ogni falsa apparenza di status.

Infine, non sussisterebbe neppure la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, non essendo in discussione la tutela della vita privata del minore, ma il suo diritto alla identità personale, sotto il profilo del legame di filiazione.

5.3.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la questione sarebbe manifestamente infondata, non ravvisandosi nella considerazione del favor veritatis una ragione di conflitto con il favor minoris. La verità biologica della procreazione costituisce, infatti, una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, dovendo essergli garantito il diritto alla propria identità e all’affermazione di un rapporto di filiazione veridico (sentenze n. 216 e n. 112 del 1997). L’intangibilità dello status sarebbe recessiva rispetto a tale diritto, laddove venga meno la corrispondenza alla verità biologica (sentenza n. 170 del 1999).

6.– In prossimità dell’udienza pubblica, il curatore speciale ha depositato una memoria integrativa in cui, dopo avere ribadito gli argomenti già illustrati nelle precedenti difese, ha sottolineato che la mancata previsione della valutazione dell’interesse del minore impedirebbe di tener conto che, nel caso in esame, tale interesse è stato, in parte, già accertato dal Tribunale per i minorenni con la sentenza che ha dichiarato non luogo a provvedere sull’adottabilità. Il curatore speciale ritiene, peraltro, che una volta ricevuto il mandato dal medesimo Tribunale, egli non avrebbe potuto astenersi dallo svolgere tale incarico.

6.1.– In riferimento all’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, relativa all’incidenza che un’eventuale pronuncia di accoglimento avrebbe sulla discrezionalità del legislatore, si osserva che in questo caso è richiesta alla Corte l’eliminazione di un automatismo normativo che impedisce un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ciò che rientrerebbe pienamente nelle sue attribuzioni. D’altra parte, interventi additivi della giurisprudenza costituzionale sarebbero frequenti proprio in materia di tutela d’interesse del minore (sono richiamate le sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 50 del 2006 e n. 297 del 1996).

6.2.– Da ultimo, il curatore speciale contesta che, nel nostro ordinamento, vi sia una necessaria coincidenza tra interesse del minore e favor veritatis. Ogni rigidità e automatismo in tal senso, anzi, potrebbero risultare pregiudizievoli per il minore.

È richiamata, in particolare, la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 22 dicembre 2016, n. 26767, che ha ritenuto essenziale il bilanciamento tra gli interessi in gioco, in considerazione del superamento della concezione della famiglia su base essenzialmente genetica.

D’altra parte, un distacco tra identità genetica e identità giuridica sarebbe alla base proprio della disciplina dell’adozione, la quale costituisce espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere nel figlio “desiderato” un legittimo affidamento sulla continuità della relazione.

Il curatore evidenzia che – a conferma del riconoscimento della valenza del genitore sociale – la stessa giurisprudenza costituzionale ha richiamato proprio l’istituto dell’adozione. Nella sentenza n. 162 del 2014 si sottolinea, infatti, che esso mira a garantire una famiglia ai minori, evidenziando che «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa».

Considerato in diritto

1.– Nel corso di un procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

La disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso.

2.– Secondo la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio incidentale, la questione sarebbe inammissibile in quanto volta ad inserire, attraverso una pronuncia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di tale impugnazione debba essere subordinato all’interesse del minore all’appartenenza familiare.

L’eccezione di inammissibilità è priva di fondamento.

Al riguardo, va rilevato che il petitum del rimettente è volto al riconoscimento della possibilità di valutare l’interesse del minore, ai fini della decisione sull’impugnazione del riconoscimento. Ove si neghi tale possibilità, l’accoglimento della domanda rimarrebbe condizionato soltanto all’accertamento della non veridicità del riconoscimento. In definitiva, attraverso l’intervento invocato, è denunciata l’irragionevolezza di un automatismo decisorio che impedirebbe di tenere conto degli interessi in gioco. Il sindacato di legittimità rimesso a questa Corte è limitato, pertanto, alla verifica del fondamento costituzionale del denunciato meccanismo decisorio, senza alcuna interferenza sul contenuto di scelte discrezionali rimesse al legislatore.

3.– Sempre in via preliminare, occorre delimitare l’ambito dell’indagine che il giudice intende rimettere alla Corte in questa occasione.

Secondo questa prospettazione, il giudizio a quo ha per oggetto l’accertamento dell’inesistenza del rapporto di filiazione di un minore nato attraverso il ricorso alla surrogazione di maternità realizzata all’estero. Non è tuttavia in discussione la legittimità del divieto di tale pratica, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), e nemmeno la sua assolutezza. Risulta parimenti estraneo alla odierna questione di legittimità costituzionale il tema dei limiti alla trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati all’estero.

La questione sollevata dalla Corte d’appello di Milano ha per oggetto, infatti, la disciplina dell’azione di impugnazione prevista dall’art. 263 cod. civ., volta a rimuovere lo stato di figlio, già attribuito al minore per effetto del riconoscimento, in considerazione del suo difetto di veridicità.

4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. non è fondata.

Nell’interpretazione fatta propria dal rimettente la norma censurata si porrebbe in contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., poiché, nel giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, essa non consentirebbe di tenere conto, in concreto, dell’interesse del minore «a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita». Tuttavia, siffatta interpretazione non può essere condivisa, neppure nei casi nei quali il legislatore imponga di non pretermettere la verità.

4.1.– Pur dovendosi riconoscere un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, va escluso che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento.

Ed invero, l’attuale quadro normativo e ordinamentale, sia interno, sia internazionale, non impone, nelle azioni volte alla rimozione dello status filiationis, l’assoluta prevalenza di tale accertamento su tutti gli altri interessi coinvolti.

In tutti i casi di possibile divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto del minore è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in esame.

4.1.1.– A questo riguardo va preliminarmente osservato che la disposizione dell’art. 263 cod. civ. è stata censurata dal rimettente nella versione, applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).

In particolare, l’art. 28 del medesimo d.lgs., in vigore dal 7 febbraio 2014, nel modificare l’art. 263 cod. civ., ha limitato l’imprescrittibilità dell’azione esclusivamente a quella esercitata dal figlio. Analoga previsione è stata inserita – con riferimento all’azione di disconoscimento di paternità – nell’art. 244, quinto comma, cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 18, primo comma, del d.lgs. n. 154 del 2013. Gli altri legittimati, laddove intendano proporre le suddette azioni di contestazione degli status, sono ora tenuti a rispettare i termini di decadenza previsti dalla nuova disciplina.

Il legislatore delegato ha così garantito, senza limiti di tempo, l’interesse primario ed inviolabile dei figli all’accertamento della propria identità e discendenza biologica. Per converso, la previsione di termini di decadenza per gli altri legittimati ha circoscritto entro rigorosi limiti temporali l’esperibilità delle azioni demolitorie dello status filiationis, assicurando così tutela al diritto del figlio alla stabilità dello status acquisito.

La necessità del bilanciamento dell’interesse del minore con il pubblico interesse alla certezza degli status è, altresì, espressamente prevista dal legislatore nelle azioni in materia di riconoscimento dei figli (artt. 250 e 251 cod. civ.), volte all’estensione dei legami parentali del minore.

4.1.2.– D’altra parte, già l’art. 9 della legge n. 40 del 2004 aveva escluso che il coniuge o il convivente che abbiano acconsentito al ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo potessero promuovere l’azione di disconoscimento o impugnare il riconoscimento ai sensi dell’art. 263 cod. civ.

Al riguardo questa Corte ha ritenuto «confermata sia l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento della paternità […] e dell’impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato dall’art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita da PMA di tipo eterologo non dà luogo all’istituzione di relazioni giuridiche parentali tra il donatore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regolamentati i principali profili dello stato giuridico di quest’ultimo» (sentenza n. 162 del 2014).

Anche in questo caso, in un’ipotesi di divergenza tra genitorialità genetica e genitorialità biologica, il bilanciamento è stato effettuato dal legislatore attribuendo la prevalenza al principio di conservazione dello status filiationis.

4.1.3.– Proprio al fine di garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004, questa Corte – senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, «né […] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione» – si è preoccupata «invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare» (sentenza n. 347 del 1998).

4.1.4.– Come evidenziato dallo stesso rimettente in riferimento alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., anche il quadro europeo ed internazionale di tutela dei diritti dei minori evidenzia la centralità della valutazione dell’interesse del minore nell’adozione delle scelte che lo riguardano.

Tale principio ha trovato la sua solenne affermazione dapprima nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza della quale «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» (art. 3, paragrafo 1).

Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri.

Infine, l’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il principio per il quale «[i]n tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».

D’altra parte, pur in assenza di un’espressa base testuale, la garanzia dei best interests of the child è stata riportata, nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14 della CEDU. Ed è proprio in casi di surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di trascrizione degli atti di nascita nei registri dello stato civile francese, che la Corte di Strasburgo ha affermato che il rispetto del migliore interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li riguarda (sentenze del 26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n. 65941 del 2011).

4.1.5.– Va altresì rammentato che, in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso l’attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria.

D’altra parte, il distacco tra identità genetica e identità legale è alla base proprio della disciplina dell’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una famiglia»), quale espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere il legittimo affidamento sulla continuità della relazione.

4.1.6.– Anche la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto, da tempo, l’immanenza dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni volte alla rimozione del suo status filiationis (sentenze n. 112 del 1997, n. 170 del 1999 e n. 322 del 2011; ordinanza n. 7 del 2012).

In tale giurisprudenza si trovano affermazioni sul particolare valore della verità biologica. Tuttavia – diversamente da quanto ritiene il giudice a quo – essa non ha affatto negato la possibilità di valutare l’interesse del minore nell’ambito delle azioni demolitorie del rapporto di filiazione. È stato riconosciuto che la verità biologica della procreazione costituisce «una componente essenziale» dell’identità personale del minore, la quale concorre, insieme ad altre componenti, a definirne il contenuto.

Pertanto, nell’auspicare una «tendenziale corrispondenza» tra certezza formale e verità naturale, si è riconosciuto che anche l’accertamento della verità biologica fa parte della complessiva valutazione rimessa al giudice, alla stregua di tutti gli altri elementi che, insieme ad esso, concorrono a definire la complessiva identità del minore e, fra questi, anche quello, potenzialmente confliggente, alla conservazione dello status già acquisito.

Costituisce infatti «compito precipuo del tribunale per i minorenni, […] verificare se la modifica dello status del minore risponda al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio; così come contemporaneamente occorre anche verificare, sia pure con sommaria delibazione, la verosimiglianza del preteso rapporto di filiazione, dovendosi garantire il diritto del minore alla propria identità» (sentenza n. 216 del 1997, sulla previgente disciplina dell’azione di disconoscimento della paternità, di cui agli artt. 273 e 274 cod. civ.).

Nell’evoluzione normativa e ordinamentale del concetto di famiglia, a conferma del rilievo giuridico della genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, vi è anche l’espresso riconoscimento, da parte di questa Corte, che «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa» (sentenza n. 162 del 2014).

4.1.7.– L’esigenza di operare un’adeguata comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta situazione dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, è stata recentemente riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, con riferimento all’azione di disconoscimento della paternità.

La giurisprudenza di legittimità ha escluso, infatti, che il favor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto comma, che «[l]a legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità», l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 30 maggio 2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767; e 3 aprile 2017, n. 8617).

4.2.– È alla luce di tali principi, immanenti anche nel mutato contesto normativo e ordinamentale, che si pone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ.

L’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981).

Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.); se l’interesse alla verità abbia anche natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei limiti consentiti da tale verità.

Vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa. In altri il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato.

La valutazione del giudice è presente, del resto, nello stesso procedimento previsto dall’art. 264 cod. civ., volto alla nomina del curatore speciale del figlio minore, laddove l’azione di contestazione dello status sia esercitata nel suo interesse. È anche in questa sede, infatti, che il legislatore – sia pure con i limiti derivanti dalla natura camerale del procedimento – ha affidato al giudice specializzato il compito di valutare, ancor prima dell’instaurazione dell’azione, l’interesse del minore all’assunzione di tale iniziativa giudiziale.

4.3.– Se dunque non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automatica cancellazione dell’una in nome dell’altro.

Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore.

Si è già visto come la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela.

Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, sollevata dalla Corte d’appello di Milano, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2017.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA