Le scelte del TAR Friuli fra poteri dei prefetti e trascrizioni dei sindaci
14 giugno, 2015 | Filled under italia, matrimonio, OPINIONI |
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di Luca Morassutto*
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione Prima, con sentenza del 21 maggio 2015 si è pronunciato sul ricorso presentato da una cittadina italiana residente in Belgio e iscritta all’anagrafe del comune di Udine con il quale veniva chiesta la declaratoria di nullità ovvero in subordine l’annullamento del decreto del Prefetto della Provincia di Udine dd. 27 ottobre 2014, prot. n. 64234/2014 con il quale veniva disposto l’annullamento della trascrizione del matrimonio della ricorrente nei registri dello stato civile del Comune di Udine. Il Sindaco della città friulana infatti aveva proceduto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero ma su tale atto calava la mannaia della circolare Alfano che disponeva la cancellazione di imperio della avvenuta trascrizione. La vicenda in realtà è nota. I Sindaci di un sempre maggior numero di città italiane, accogliendo le istanze di protezione dei diritti soggettivi formulate da coppie omosessuali sposate all’estero, provvedevano a trascrivere l’atto di matrimonio regolarmente contratto. Interveniva quindi il Ministero dell’Interno che, con circolare prot. n. 10863 dd. 7 ottobre 2014, disponeva che i prefetti invitassero i sindaci ad annullare tali trascrizioni e, qualora detto invito non fosse stato accolto, ordinava agli stessi prefetti di intervenire in autotutela.
La ricorrente chiedeva altresì che venisse dichiarata la nullità o l’annullamento dell’atto di delega del Prefetto di Udine, il processo verbale del vice Prefetto aggiunto che aveva provveduto alla cancellazione) nonché la circolar e prot. n. 10863 dd. 7 ottobre 2014 del Ministero dell’Interno. In particolare nel ricorso si evidenzia va come il decreto prefettizio fosse affetto da nullità per difetto assoluto di attribuzione, incompetenza assoluta, ex articolo 21 septies della legge 241 del 1990 ed ex articolo 31 del decreto legislativo 104 del 2010 nonché violazione dell’articolo 453 del codice civile e dell’articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000, violazione del d.p.r. 396 del 2000, articoli 12, 11, 5, 69 e 100, violazione del decreto ministeriale 5 aprile 2002.
Un primo passaggio che ci sentiamo in dovere di segnalare è come la ricorrente premettesse chiaramente che il ricorso al Tar non fosse la sede per discutere il tema della correttezza della trascrizione effettuata dal sindaco di Udine dovendo essere oggetto del giudizio innanzi al Tribunale adito unicamente la legittimità dell’atto prefettizio. Si faceva poi notare come l’ordine del prefetto di annotare il decreto impugnato fosse viziato in via derivata dalla nullità del decreto stesso. L’annotazione quale atto tipico e tassativo è da qualificare come atto pubblico formale e non si può ordinare in alcun modo. L’ordinamento, infatti, non contempla la possibilità di annotare un decreto dell’autorità amministrativa, ma solo un provvedimento dell’autorità giurisdizionale.
Resisteva l’Avvocatura dello Stato la quale evidenziava come il Sindaco di Udine avesse agito al di fuori dei limiti della sua competenza, eseguendo una trascrizione che la legge non prevede. Di conseguenza il Prefetto di Udine aveva posto rimedio a tale atto extra ordinem annullando la trascrizione.
L’Avvocatura poi affermava l’inammissibilità del ricorso nella considerazione che l’ordinamento non riconosce al privato cittadino la possibilità di adire il Tribunale Amministrativo per ottenere una decisione teorica sulla legittimità in astratto di un atto, bensì ogni domanda giudiziale deve essere supportata da idoneo e concreto interesse alla tutela di un preciso bene della vita del privato, laddove il ricorso in esame non poggerebbe su alcun interesse giuridicamente tutelato. L’Avvocatura dello Stato evidenziava altresì la carenza di legittimazione at tiva del Comune di Udine sostenendo che lo stesso non ha alcuna autonoma legittimazione ad agire, essendo un ente locale esponenziale di una comunità di cittadini del tutto estraneo alle funzioni di stato civile. Rilevava altresì che ad intervenire doveva essere il Sindaco e non il Comune e che in ogni caso anche il primo cittadino sarebbe stato privo della legittimazione ad agire perché organo diretto dello Stato, non potendosi configurare un ricorso proposto da un organo dello Stato contro un altro organo dello Stato davanti ad autorità giudiziaria amministrativa (e non davanti alla Corte costituzionale).
Il Tar, riconosciuta la sua competenza anzitutto in ragione dell’oggetto del ricorso, ossia un provvedimento posto in essere dal Prefetto di Udine, dichiarata l’estromissione del Comune di Udine per carenza di interesse ad intervenire (con conseguente trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti in relazione alla somma di euro 1459,12 posta a carico del bilancio comunale !), ritenuto che a fondare l’interesse e la legittimazione a ricorrere sia non solo l’interesse materiale ma anche l’interesse puramente morale, intraprendeva il suo percorso argomentativo di diritto partendo da una questione incidentale, quella stessa questione che era stato ampiamente detto non essere oggetto del ricorso.
Lo fa sostenendo che “non si può prescindere dalla valutazione della legittimità o meno della trascrizione di cui detto prefetto ha disposto la cancellazione, innanzi tutto per la ragione che la competenza prefettizia si atteggia diversamente a seconda della legittimità o meno di detta trascrizione”.
Sarà invero lo stesso Tribunale a contraddirsi su questo passaggio concentrandosi maggiormente sull’operato del Sindaco che evidenziando diffusamente l’illegittimità della circolare ministeriale e per precipitato logico il provvedimento del Prefetto.
Il percorso giurisprudenziale utilizzato è pressochè identico a quello del Tar romano (consultabile su questo sito a questo indirizzo) ma effettua di contro una approssimativa identificazione della realtà normativa d’Oltralpe definendola “variegata e cangiante”. Consta ad oggi che la realtà giuridica sia tutt’altro che cangiante ma si riduca a due possibili realtà: same sex marriage o unioni civili (nella differente nomenclatura dei singoli Stati), incappando anche in una evidente svista, ritenendo che nel Regno Unito vigano ancora le registered partneship e non il same sex marriage.
Sul percorso argomentativo in opposizione alle deduzioni circa l’impossibilità o meno a trascrivere ci si permette di rinviare a quanto detto in Morassutto La cassaforte dei diritti e il grimaldello della circolare Alfano.
Su un punto di contro piace soffermarsi. A detta del Tar friulano l’ufficiale di stato civile italiano ai fini della trascrizione di un matrimonio contratto non si limita, come affermato da parte ricorrente nel corso della discussione in pubblica udienza, ad una mera attività notarile ma compie un atto pubblico amministrativo in quanto “deve necessariamente verificare la sussistenza dei requisiti per poter procedere alla trascrizione di un matrimonio contratto all’estero. Altrimenti opinando, sarebbe in ipotesi possibile la trascrizione di un matrimonio poligamo o contratto in regime di poliandria, consentiti in alcuni ordinamenti stranieri”. Parafrasando quanto affermato dal Tar quindi è compito dell’ufficiale di Stato civile verificare la possibilità di poter procedere alla trascrizione. Se così non facesse, se cioè non verificasse l’esistenza di un precedente vincolo di coniugio – elemento impediente la trascrizione del successivo matrimonio – si verrebbe a realizzare una condizione di poligamia o poliandria. A ben vedere siamo di fronte ad un elemento che fa inceppare il sistema di Stato civile. Pare il caso di interrogarsi su cosa potrebbe accadere se una persona, contratto matrimonio same sex all’estero e non vedutosi riconoscere la trascrizione dello stesso, procedesse a contrarre un secondo matrimonio – questa volta non same sex – in Italia. L’ufficiale di Stato civile procederebbe inevitabilmente alla trascrizione e il soggetto così facendo si vedrebbe, de facto, in una condizione di poligamia. L’assurdo quindi sta proprio nell’impedire la trascrizione di un matrimonio contratto all’estero in quanto così facendo si va a rendere possibile quanto invece si pensa di evitare non trascrivendo: ossia il reato di bigamia. E’ infatti del tutto evidente che la libera circolazione delle persone nel territorio UE implica altresì circolazione dei diritti. Impedire la pubblicità dello status giuridico delle persone comporta inevitabilmente l’aprire le porte ad ogni forma di incertezza, lecita o illecita, connessa a tale status. Ricaviamo questa osservazione dal fatto che
Il Tar friulano, curiosamente, spende ben sette pagine nello svolgere la questione incidentale su cui non era stato chiamato a pronunciarsi e che per diverse volte aveva sostenuto essere non oggetto della sua disamina. Conclude quindi questo giudizio incidentale affermando che la trascrizione disposta dal sindaco di Udine e poi annullata con il provvedimento prefettizio risulta essere contraria alla legge.
Questa operazione di contro permette al Tar una inversione ideologica del problema. Non è più il provvedimento del Prefetto sotto la luce dei riflettori ma il provvedimento del Sindaco che, poiché illegittimo, deve essere espunto dal sistema. Curiosa operazione intellettuale operata esorbitando evidentemente da quello che è il principio che lega il giudice a quanto devolutogli in domanda. Non si tratta così di censurare il ministero o il prefetto quanto il sindaco e quasi per inciampo sostenere illegittim a la circolare Alfano ed il provvedimento del Prefetto.
L’inversione della prospettiva di giudizio operata permette così al Tar di evidenziare che in forza del fondamentale principio di legalità tutti gli atti formati dalla pubblica amministrazione, ivi compresa la trascrizione di un matrimonio celebrato all’estero, devono risultare conformi alla legge. Ove non lo siano, essi, sulla base dei noti principi, tra cui rileva l’articolo 97 della Costituzione, devono essere rimossi dall’ordinamento o su istanza del privato ovvero su iniziativa della stessa amministrazione in via di autotutela.
Ecco quindi che il Tar afferma che la questione giuridica presentatagli “può essere riformulata” nel senso che risulta necessario verificare se il provvedimento prefettizio in questa sede impugnato è idoneo o meno a eliminare dall’ordinamento un atto non consentito e quindi illegittimo, quale la trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due soggetti del medesimo sesso.
Il Tar indica quindi che la materia oggetto del giudizio è regolata dal d.P.R. 396/00 e si identifica come speciale e particolare rispetto alla l. 241/90 applicandosi il principio per cui lex specialis derogat generali. Ne consegue che una trascrizione nel Registro degli atti di matrimonio può essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte dell’Amministrazione centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro dell’Interno vanta sul Sindaco in tema di stato civile.
La conclusione è pertanto inevitabile: la circolare risulta illegittima nella parte in cui prevede un intervento sostitutivo diretto del prefetto sui registri di Stato civile, in quanto tale intervento è escluso dalla specifica normativa sopra indicata; detta circolare peraltro risulta già annullata in parte qua dalla sentenza del TAR per il Lazio – Roma n. 3912 del 2015, di contro la circolare del ministro dell’interno del 7 ottobre 2014 risulta legittima nella parte in cui ribadisce la non trascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, in quanto non prevista dall’ordinamento italiano
La sentenza di contro riserva al lettore un ulteriore passaggio quantomeno bizzarro. Il Tribunale amministrativo definisce infatti come suggestivo un ragionamento adottato dalla Avvocatura dello Stato che appare invece essere totalmente destituito da ogni possibile fondamento giuridico. L’Avvocatura infatti sosteneva come “le norme del d.p.r. 396 del 2000 nonché l’articolo 453 del codice civile si riferiscono agli atti di stato civile adottati in una situazione di “normalità e regolarità”, ma non qualora il sindaco si discosti dalle indicazioni governative ponendo in essere un “atto di disobbedienza civile”, in sostanza un atto “abnorme”. Tale eccezionale situazione consentirebbe – sempre ad avviso della resistente amministrazione – un intervento straordinario da parte del prefetto nell’esercizio dei poteri di vigilanza; tale intervento peraltro risulterebbe conforme alla circolare emanata dal ministro.” Per fortuna che il Tar ha ritenuto non condivisibile il “suggestivo ragionamento” che invece appare agli occhi di chi scrive non dissimile dai principi fondativi di quei tristemente noti tribunali della coscienza che operavano in aperta violazione dei principi dell’habeas corpus in nome di una legge superiore e per risposta a situazioni non contemplate in natura.
Il Tribunale amministrativo ritiene così suo dovere disporre l’invio degli atti della controversia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine competente, perché valuti l’eventuale esercizio dei suoi poteri abrogativi di un atto di trascrizione chiaramente contrario a legge.
La sentenza termina con una reprimenda morale che lascia basiti stante l’oggetto del ricorso: “spetta unicamente al Parlamento sovrano decidere con legge il riconoscimento nel nostro ordinamento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nonché il livello di tale riconoscimento. Non spetta invece né al sindaco, né all’autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa e – allo stato – nemmeno alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia europea o alla Corte europea dei diritti dell’uomo, procedere in via surrettizia o suppletiva a tale riconoscimento, perché ciò costituirebbe un evidente vulnus al sistema democratico nel suo insieme.” E così la sentenza, che inevitabilmente non poteva che dar atto della illegittimità della Circolare Alfano e del provvedimento del Prefetto circa la cancellazione delle trascrizioni, finisce per – levando così il velo dell’incertezza del giudizio reale – affermare quanto mai le era stato chiesto di fare ossia che “la trascrizione effettuata dal sindaco di Udine quale ufficiale di governo risulta quindi illegittima perché esulante dai suoi poteri e doveri, contraria alla legge e contrastante con le direttive del suo superiore gerarchico, il Ministro dell’Interno, e in ultima analisi poco rispettosa – ancorché inconsapevolmente – del riparto tra i poteri dello Stato definito dalla Costituzione repubblicana.”
*Avvocato del foro di Ferrara