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Palermo, piena tutela dei diritti dei bambini dopo la separazione delle co-mamme

Il Tribunale di Palermo con decreto del 13 aprile 2015 ha riconosciuto il diritto di due minori di mantenere un rapporto stabile e significativo con la mamma sociale, priva cioè di legami biologici con gli stessi, prevedendo in caso di separazione dei genitori dello stesso sesso un calendario preciso che consenta a quest’ultima di tenere con sé i figli per alcuni giorni alla settimana. Si tratta della prima decisione in tal senso nell’ordinamento italiano (provvedimento segnalato dall’avv. Arianna Ferrito dello Studio Legale Galasso, che si ringrazia).

L’unico precedente noto sul punto era, difatti, ormai piuttosto risalente e negativo (Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 20 ottobre 2009).

Il precedente milanese aveva suscitato forti perplessità per la evidente sottovalutazione del superiore interesse del minore, posto che il tribunale pur avendo acquisito una c.t.u. che aveva accertato la sussistenza di un forte legame genitoriale con la mamma sociale, ed una concreta sofferenza dei bambini in seguito alla sua rescissione, aveva poi escluso un intervento a sua tutela (per un commento critico, cfr. Gattuso Orientamento sessuale, famiglia, eguaglianza in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2011, II, 584).

Passati alcuni anni, che hanno visto una intensa attività di ricerca ed approfondimento scientifico (giuridico, psicologico ecc.) e, soprattutto, l’affermazione sempre più estesa delle istanze delle cd. famiglie arcobaleno (la cui associazione ha diffuso ieri la notizia della decisione siciliana) il tribunale di Palermo si allontana oggi radicalmente da quell’indirizzo assicurando piena protezione al diritto dei minori di mantenere una stabile relazione col genitore non biologico.

Nel provvedimento del Tribunale palermitano si legge difatti che «non si tratta di riconoscere in capo ai minori un diritto ex novo ma solo di garantire una tutela giuridica ad uno stato di fatto già esistente da anni, nel superiore interesse dei bambini, i quali hanno trascorso i primi anni della loro vita all’interno di un contesto familiare che vedeva insieme la madre biologica con la compagna, figura che essi percepiscono come riferimento affettivo primario al punto tale da rivolgersi a lei con il termine “mamma”».

E’ di particolare rilevanza, nella pregevole motivazione del decreto, l’interpretazione evolutiva, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, che i giudici palermitani offrono, alla luce del best interest of the child, della disposizione di cui all’art. 337 ter c.c. (il quale come noto assicura il diritto dei figli minori  di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori), «volta ad estendere l’ambito applicativo della stessa sino a delineare un concetto allargato di  bigenitorialità e di famiglia, ricomprendendo per tale via anche la figura del genitore sociale, ossia di quel soggetto che ha instaurato con il minore un legame familiare de facto significativo duraturo». Di talché i giudici siciliani giungono ad affermare che «valorizzando il criterio guida del superiore interesse della prole minorile alla luce di quanto appena enunciato, è possibile ritenere che il profilo della discendenza genetica non va più considerato determinante ai fini dell’attribuzione al minore del diritto di mantenere stabili relazioni con chi ha comunque rivestito nel tempo il ruolo sostanziale di genitore, pur non essendo legato da rapporti di appartenenza genetica o di adozione con il minore stesso», concludendo che «quando il rapporto instauratosi tra il minore e il genitore sociale è tale da fondare l’identità personale e familiare del bambino stesso, questo rapporto dev’essere salvaguardato, alla pari di quanto riconosce oggi l’art. 337 ter ai figli nei confronti dei genitori biologici».

Rilevante, posto che dubbi in proposito vengono periodicamente riproposti soprattutto nel dibattito pubblico (mentre in ambito giuridico la questione è oramai da ritenersi superata, come rammentato nel decreto, con rinvio ai precedenti, anche dalla nostra Corte di Cassazione), la precisa affermazione dei giudici per cui è radicalmente da escludere la inidoneità di un individuo omosessuale allo svolgimento di compiti genitoriali in quanto «le acquisizioni delle scienze di settore, principalmente la neuropsichiatria infantile e la psicologia dell’età evolutiva, hanno evidenziato che la qualità dell’attaccamento dei figli e del loro sviluppo cognitivo e relazionale non dipende dalla compresenza di genitori di sesso diverso ma dalla pregnanza della relazione affettivo-genitoriale».

Elemento critico da evidenziare nel provvedimento palermitano, il mancato riconoscimento della legittimazione attiva del genitore sociale (in linea, su questo punto, con il risalente precedente milanese), in ragione della circostanza che la co-madre sociale non è «nè genitore biologico nè genitore adottivo», assumendo per conseguenza la necessità di una domanda nell’interesse dei minori formulata dal Pubblico Ministero (che nella sua qualità di intervenuto necessario ha, nella specie, fatto proprie le conclusioni della ricorrente). Secondo il tribunale menghino, nel 2009, e secondo quello siciliano, oggi, la condivisione nella scelta di avere figli, la partecipazione alla loro cura ed alla loro crescita sin dalla loro nascita, l’indubbio legame affettivo con i bambini, non sono elementi sufficienti per assicurare legittimazione attiva alla co-madre ma costituiscono soltanto elementi in astratto valutabili dal P.M. per l’apertura di un procedimento (o per l’adesione, come nella specie, alla domanda della ricorrente).

Tale conclusione non soddisfa ed appare in qualche modo contraddittoria, necessitando dunque di ulteriore approfondimento. Nella motivazione il Tribunale rammenta difatti in più occasioni come fra le parti ed i minori sussista «uno schema tipicamente familiare» e come la relazione fra i figli e la co-madre «nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale», menzionando con dovizia le risultanze della consulenza di ufficio (ove si sottolinea come i bambini percepiscano certamente la ricorrente come la «seconda mamma») ed ulteriori documenti (in particolare le affermazioni della stessa madre biologica resistente contenute in atti di un precedente processo). Se, allora, la relazione fra il figlio ed il genitore sociale rientra nella nozione giuridica di “famiglia” ed è protetto dall’art. 8 della Convenzione, come rammentato dal Tribunale e come ribadito in più occasioni dalla Corte di Strasburgo (il carattere vincolante della cui giurisprudenza è espressamente rammentato nel decreto palermitano), appare arduo negare ad uno dei membri di tale famiglia di fatto uno specifico ed evidente interesse, giuridicamente protetto, ad agire a sua tutela (cfr. Corte europea dei diritti umani, Gas e Dubois c. Francia, decisione del 15 marzo 2012 e e X e Altri c. Austria, decisione del 19 febbraio 2013, ove si legge che “nella decisione sulla ricevibilità che ha reso nella causa Gas e Dubois c. Francia -n. 25951/07, 31 agosto 2010-, la Corte ha dichiarato che la relazione tra due donne che vivono insieme in regime di patto civile di solidarietà -PACS- e il figlio che la seconda di loro aveva concepito mediante la procreazione medicalmente assistita, e che la stessa allevava insieme alla sua compagna, si traduceva in una «vita famigliare» ai fini dell’articolo 8 della Convenzione”).

Ciò detto, la decisione palermitana configura un nuovo, assai rilevante e pregevole, tassello del mosaico composto negli ultimi anni dai giudici italiani, con una lenta ma progressiva affermazione dei diritti dei minori nell’ambito delle famiglie omogenitoriali, in relazione a cui vanno annoverati il diritto alla trascrizione dell’atto di nascita in caso di minore nato all’estero in seguito alla fecondazione medicalmente assistita eterologa (Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, decreto del 29 ottobre 2014) ed il diritto all’adozione del figlio da parte del genitore sociale ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 (Tribunale per i minorenni  di Roma, sentenza del 30 luglio 2014) e cui oggi si somma il riconoscimento dei diritti dei minori, in caso di separazione dei genitori, anche se non vi sia stata preventiva adozione.

In tutti questi casi, la ratio decidendi esplicitata dalle corti è riconducibile non alla introduzione ex novo di una situazione giuridica non prevista dalla legge, ma alla necessità costituzionale di garantire copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da tempo, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due persone che la legge non può che riconoscere come genitori.

Un importante intervento di una magistratura, dunque, che -sollecitata da difensori scrupolosi – si dimostra attenta alla protezione dei soggetti deboli, ed anche una indicazione precisa per il Legislatore che si appresta -assai tardivamente- a normare sulle famiglie omogenitoriali: ogni disposizione normativa che assicuri meno diritti di quelli già sanciti con queste decisioni configurerebbe una lesione dei diritti dei bambini e, per conseguenza, non potrebbe passare illesa dal vaglio delle corti.

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