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Grande Chambre: nel Caso Macaté contro Lituania la Cedu affronta la questione della raffigurazione di coppie same sex in libri per bambini

di Lorenzo Micheleucci

 

La sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso Macaté c. Lituania (ricorso n. 61435/19), pubblicata il 23 gennaio 2023, presenta elementi di grande novità in materia di libertà d’espressione, per come sancita dall’art. 10 CEDU, con un’attenzione particolare alle restrizioni che la stessa può subire da parte degli Stati della Convenzione, in ragione di misure necessarie alla protezione della morale ai sensi del secondo paragrafo. Nel dettaglio, per la prima volta la Corte ha trattato di restrizioni imposte alla letteratura per bambini in caso di tematiche concernenti le relazioni tra persone dello stesso sesso, pronunciandosi per l’illegittimità di limitazioni della libertà di espressione adottate da uno Stato. Una scelta decisamente incisiva nella sfera parzialmente discrezionale del singolo Stato, rafforzata, oltretutto, dal voto unanime dei giudici di Strasburgo in merito alla piena violazione dell’articolo 10.

In breve, oggetto della vertenza è un libro per bambini in lingua lituana (tradotto in inglese “Amber Heart”) composto da diversi racconti, tra cui due aventi anche ad oggetto l’innamoramento tra due personaggi dello stesso sesso. L’autrice, Neringa Dangvydė Macatė, era una scrittrice professionista e specialista in letteratura per bambini, oltreché attivista per i diritti LGBTI+ apertamente omosessuale, purtroppo deceduta il 21 marzo 2020, prima di venire a conoscenza della pronuncia favorevole al suo ricorso.

Il libro di fiabe in questione, nonostante fosse il frutto di un progetto approvato con finanziamenti del Governo lituano e pubblicato dall’Università Lituana di Scienze della Formazione, a seguito di diverse polemiche da parte di esponenti politici e di indagini espletate da un’apposita autorità di vigilanza, veniva dapprima sospeso nella pubblicazione ed in un secondo momento censurato attraverso l’apposizione obbligatoria su ogni copia della dicitura “sconsigliato ai minori di anni 14”, sulla base di una legge sulla protezione dei minori che considera pericolose per i minori tutte le informazioni accessibili al pubblico che incoraggino forme di matrimonio o famiglia differenti da quelle previste dal Codice civile lituano o dalla Costituzione.

Analizzando nello specifico l’azione dello Stato lituano alla luce dell’art. 10 § 2 CEDU, la Corte ha ricostruito schematicamente il tipo di misura adottata nei confronti della ricorrente, valutandone gli elementi così strutturati e ordinati: attribuibilità della misura allo Stato lituano; sussistenza o meno dell’interferenza; base legale dell’interferenza e legittimità dello scopo di quest’ultima.

Dopo aver statuito, contrariamente a quanto asserito da parte resistente, come la censura – inizialmente operata con lo stop alla pubblicazione da parte dell’Università – fosse riferibile pienamente ad un ente pubblico e sulla base del diritto domestico, la Corte ha vagliato l’interferenza dello Stato lituano nell’esercizio della libertà d’espressione dell’autrice. In particolare, a prescindere dall’entità dell’ingerenza da parte dell’autorità pubblica (irrilevante ad escludere una violazione anche se ridotta nel tempo; questo pure sulla base dei precedenti richiamati Godlevskiy v. Russia, n. 14888/03, § 36, 23 October 2008, Kula v. Turkey, n. 20233/06, § 39, 19 June 2018), la Corte ha stabilito come tanto la sospensione della pubblicazione per un anno intero, quanto l’apposizione di un avviso fortemente disincentivante all’acquisto, configurino a tutti gli effetti forme d’ingerenza. Sulla seconda modalità, soprattutto, appaiono di rilievo le opportune considerazioni dei Giudici sulla circostanza che sconsigliare un libro con dei racconti di fiabe per bambini ad un pubblico con età inferiore ai 14 anni equivalga sostanzialmente a vanificarne la messa in commercio. Su questo punto appare apprezzabile il richiamo della Corte alla condizione ancora fortemente negativa della comunità LGBTI+ in Lituania, confermata dai sondaggi e report allegati dalla ricorrente e dalle parti intervenute. In ultimo, ulteriormente di rilievo è l’attenzione posta dalla Corte sul profilo della ricorrente, parametrando anche ad esso la natura dell’interferenza, apparendo evidente il marchio indelebile lasciato dalla dicitura “sconsigliato ai minori di 14 anni” all’opera in sé e, in primis, alla stessa scrittrice, tra l’altro professionista proprio nel settore dei racconti per l’infanzia.

Sul punto della base legale a fondamento dell’ingerenza, per quanto si tratti pacificamente di una legge statale, soddisfacendo così il requisito richiesto, la Corte osserva la vaghezza della normativa lituana (section 4 § 2 (16) of the Minors Protection Act), soprattutto con riguardo al termine “encouraging” ivi riferito al divieto di divulgazione di informazioni che, precisamente, incoraggino concezioni di “famiglie non tradizionali”. Sul punto, i Giudici osservano come il termine utilizzato nella legge lituana «non renda sufficientemente chiaro se una semplice menzione di omosessualità o relazioni tra persone dello stesso sesso sarebbe sufficiente per innescare l’applicazione della sezione 4 § 2 (16)», richiamando inoltre anche l’argomentazione della ricorrente in cui si evidenzia il chiaro intento della norma di stigmatizzare il matrimonio tra persone dello stesso.

Infine, l’analisi principale verte sulla legittimità e giustificazione dello scopo di tale ingerenza, vero discrimen per considerare o meno l’azione dell’autorità statale lesiva dell’art. 10 CEDU. Sebbene il Governo lituano avesse presentato, quale motivazione della sua azione di censura, l’intento di proteggere i bambini da contenuti sessualmente espliciti e/o che promuovessero l’idea di una superiorità delle relazioni tra persone dello stesso sesso rispetto a quelle di sesso diverso – tra l’altro, aggiunge lo Stato resistente, tramite tecniche volte a schernire, insultare o denigrare queste ultime – la Corte ha fermamente escluso la veridicità delle ragioni anzidette, con un’apprezzabile opera di “smascheramento” della difesa lituana, rilevando come il vero intento dell’azione statuale lituana fosse di impedire ad un pubblico minorile di vedere raffigurati entrambi i tipi di coppia come essenzialmente equivalenti e sullo stesso piano..

Conseguentemente, la Corte è stata chiamata a valutare se forme di promozione del principio di uguaglianza delle coppie omosessuali attraverso la letteratura per bambini, dunque a loro pienamente comprensibile, fossero rispettose o meno del principio supremo del miglior interesse del minore. Si tratta di una situazione davvero inedita nella giurisprudenza di Strasburgo, atteso che, per quanto non sia la prima volta che la Corte analizzi censure operate dagli Stati per ragioni morali nei confronti di espressioni della libertà di orientamento sessuale a tutela di eventuali coinvolgimenti dei bambini (ad esempio, si veda Bayev and Others c. Russia, n. 67667/09, 20 June 2017), ad avviso della stessa Corte, questa è la prima volta in cui si affronta un caso di censura su informazioni propriamente destinate all’istruzione e all’educazione infantile. Partendo da un’analisi ricomprendente tanto il richiamo a risoluzioni e raccomandazioni di istituzioni ed organi sovranazionali ed internazionali, quali il Parlamento europeo o la Commissione di Venezia, quanto un raffronto a livello comparato, sia sul piano normativo che giurisprudenziale, con vari Stati parte della Convenzione e non solo, la Corte è arrivata ad affermare come risulti pienamente rispettosa dell’interesse del minore la divulgazione libera di letteratura per bambini finalizzata ad una semplice raffigurazione di coppie o famiglie formate da persone dello stesso sesso, stante oltretutto il legittimo intento di promuovere la tolleranza e combattere le discriminazioni. Un obiettivo, sempre ad avviso della Corte, del tutto compatibile e, casomai, teso proprio a rafforzare i valori di una società democratica, riflesso e fondamento della Convenzione stessa.

Non potendo ravvisarsi alcuna violazione del principio supremo richiamato, i Giudici di Strasburgo hanno affermato come nel caso di specie non sussista alcuna giustificazione capace di legittimare una restrizione della libertà d’espressione dell’autrice ricorrente, ai sensi dell’art. 10 § 2, potendo pertanto ritenersi sussistente a tutti gli effetti una violazione dell’art. 10 CEDU.

Un ultimo cenno merita poi la decisione, non unanime, della Corte di non trattare separatamente la lamentata violazione dell’art. 14 CEDU sul divieto di discriminazione, avendo ritenuto la questione riassorbita nella constatata violazione dell’art. 10. Una scelta sostenuta anche dalla constatazione che, ad avviso della maggioranza dei membri della Corte, la censura del Governo lituano era indirizzata al contenuto dei racconti e sarebbe comunque avvenuta a prescindere dall’orientamento sessuale dell’autrice. Decisione, tra l’altro, corroborata da altre pronunce riportate dalla Corte (quali: Vistiņš and Perepjolkins v. Latvia [GC], no. 71243/01, § 136, 25 ottobre 2012; Orlandi and Others v. Italy, nos. 26431/12 and 3 others, § 212, 14 dicembre 2017).

Merita attenzione, però, riportare l’opinione discordante di ben cinque Giudici sul punto, i quali hanno ravvisato nella vicenda in oggetto una discriminazione lesiva dei principi sanciti dall’art. 14 pienamente operante. Fermo restando che anche ad avviso dei cinque Giudici non avrebbe fatto alcuna differenza se l’autore/autrice fosse stato eterosessuale, anziché dichiaratamente omosessuale, il fulcro della dissenting opinion risiede nel fatto che non si sarebbe dovuta valutare unicamente la discriminazione operata sulla singola ricorrente, come individuo, bensì la discriminazione nei confronti della comunità LGBTI+, quale gruppo espressione di una minoranza.

Una presa di posizione coraggiosa, quella dei Giudici in questione, perché finalizzata a proporre una lettura diversa del divieto di cui all’art. 14 CEDU, in cui ad essere tutelata non sia la sola figura del ricorrente, se leso nella dimensione della propria  identità di genere o orientamento sessuale, ma anche il gruppo di appartenenza, qualora la natura stessa dell’azione discriminatoria operata dallo Stato risulti potenzialmente indirizzabile ad un pubblico ben più ampio, come de quo, di un libro prima bloccato e poi affossato nelle vendite perché espressione della personalità di una vasta categoria di soggetti, da decenni in lotta per la rivendicazione dei propri diritti.

La pronuncia in oggetto, in conclusione, appare particolarmente sensibile alle tematiche sollevate dalla ricorrente e dalle diverse associazioni LGBTI+ intervenute, cui si aggiungeuna ferma critica al preoccupante clima d’intolleranza ancora presente in Lituania.