di Giacomo Viggiani*
Lo scorso febbraio i supremi giudici hanno stabilito che chi avanza richiesta per la rettificazione anagrafica di sesso ex l. 164/1982 può scegliere liberamente il nuovo prenome, fatti salvi i limiti espressamente previsti dalla legge o i diritti di terzi.
La controversia trova la sua scaturigine dal ricorso presentato da O.A., la quale aveva ottenuto dalla Corte d’Appello di Torino la rettificazione anagrafica di sesso da maschio a femmina ex art. 164/1982, ma non aveva ottenuto soddisfazione in punto di onomastica. A fronte di un prenome eletto dalla richiedente la rettificazione, i giudici distrettuale avevano infatti ritenuto che la tutela dell’«interesse pubblico alla stabilità e ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche» imponesse che il mutamento non potesse essere che la femminilizzazione del prenome attribuito alla nascita. Di conseguenza, accoglieva la richiesta di rettificazione, ma altresì rigettando qualsiasi prenome che non fosse quello derivante dalla mera femminilizzazione di quello precedente.
L’interessata presentava allora gravame avanti la Corte di Cassazione, argomentando come un prenome radicalmente diverso da quello fino a ora portava non fosse – come lo aveva qualificato la Corte distrettuale – un «voluttuario desiderio», ma anzi il punto estremo di gittata dell’atto autodeterminativo iniziato con la procedura di rettificazione. Si obiettava inoltre che l’automatismo di conversione non era sempre praticabile e che doveva essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità consolidatasi.
Al fine di contestualizzare il motivo del contendere, va poi ricordato che l’attribuzione del nuovo prenome – pur non essendo espressamente disciplinata dalla l. 164/1982 – consegue necessariamente alla rettificazione anagrafica di sesso, come si evince sia dall’art. 5 della l. de qua che dalla normativa in materia di stato civile, e in particolare dall’art. 35 d.P.R. 396/2000.
Orbene, la Suprema Corte ha accolto gravame, censurando pertanto la sentenza impugnata in punto di rettifica consequenziale del prenome e ordinando all’Ufficiale di Stato civile del Comune di residenza di provvedere alle annotazioni susseguenti e conseguenti alla cassazione.
La ragioni per cui i supremi giudici ritengono che l’interpretazione fornita dal giudice di merito non sia condivisibile sono tuttavia diverse da quelle prospettate dalla ricorrente tramite i suoi legali e trovano fondamento nella più generale disciplina del nome (inteso come unione di prenome e cognome).
Va infatti ricordato come il diritto al nome appartenga al più ampio catalogo dei diritti della personalità, come chiarito da un trittico di pronunce additive rese dalla Corte costituzionale nella seconda metà degli anni ’90. Il primo esercizio di tale diritto – personalissimo e irrinunciabile – avviene consustanzialmente all’acquisizione della capacità giuridica, cioè alla nascita. A causa della tenera età, esso non può però essere fatto valere personalmente dal suo titolare. A ciò suppliscono i genitori (o il tutore), i quali, lungi quindi dal poter rivendicare un diritto riguardo all’attribuzione del nome del figlio, esercitano soltanto di comune accordo, una potestà temporanea, appartenente alla più ampia responsabilità genitoriale, nell’esclusivo interesse del minore stesso. Tant’è che laddove, contestualmente alla dichiarazione di nascita, i genitori si rifiutino di nominare il minore, vi supplisce prontamente l’ufficiale dello stato civile, così come nei casi di ritrovamento di minori abbandonati ovvero i cui genitori siano sconosciuti.
Il caso della delle persona che intraprende una rettificazione anagrafica di sesso è affatto peculiare, in quanto riporta il soggetto, limitatamene alla scelta del prenome, al momento della nascita. Con la differenza che il soggetto adesso è adulto e pertanto in grado di esercitare questa elezione senza intermediari o delegati.
Fatti salve quindi le disposizioni di legge in materia di scelta del prenome – es. divieto di attribuire prenomi ridicoli o vergognosi o non corrispondenti al sesso – e attesa l’intima relazione esistente tra identità sessuale e segni distintivi della persona, per la Cassazione non sussistono valide obiezioni al fatto che la parte interessata, se lo voglia, possa scegliere ed indicare il nuovo prenome che desidera portare.
*Ricercatore di Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Brescia
Transessualità e prenome d’elezione: Cass. Sez. I civ., ord. 3877/2020
di Giacomo Viggiani*
Lo scorso febbraio i supremi giudici hanno stabilito che chi avanza richiesta per la rettificazione anagrafica di sesso ex l. 164/1982 può scegliere liberamente il nuovo prenome, fatti salvi i limiti espressamente previsti dalla legge o i diritti di terzi.
La controversia trova la sua scaturigine dal ricorso presentato da O.A., la quale aveva ottenuto dalla Corte d’Appello di Torino la rettificazione anagrafica di sesso da maschio a femmina ex art. 164/1982, ma non aveva ottenuto soddisfazione in punto di onomastica. A fronte di un prenome eletto dalla richiedente la rettificazione, i giudici distrettuale avevano infatti ritenuto che la tutela dell’«interesse pubblico alla stabilità e ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche» imponesse che il mutamento non potesse essere che la femminilizzazione del prenome attribuito alla nascita. Di conseguenza, accoglieva la richiesta di rettificazione, ma altresì rigettando qualsiasi prenome che non fosse quello derivante dalla mera femminilizzazione di quello precedente.
L’interessata presentava allora gravame avanti la Corte di Cassazione, argomentando come un prenome radicalmente diverso da quello fino a ora portava non fosse – come lo aveva qualificato la Corte distrettuale – un «voluttuario desiderio», ma anzi il punto estremo di gittata dell’atto autodeterminativo iniziato con la procedura di rettificazione. Si obiettava inoltre che l’automatismo di conversione non era sempre praticabile e che doveva essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità consolidatasi.
Al fine di contestualizzare il motivo del contendere, va poi ricordato che l’attribuzione del nuovo prenome – pur non essendo espressamente disciplinata dalla l. 164/1982 – consegue necessariamente alla rettificazione anagrafica di sesso, come si evince sia dall’art. 5 della l. de qua che dalla normativa in materia di stato civile, e in particolare dall’art. 35 d.P.R. 396/2000.
Orbene, la Suprema Corte ha accolto gravame, censurando pertanto la sentenza impugnata in punto di rettifica consequenziale del prenome e ordinando all’Ufficiale di Stato civile del Comune di residenza di provvedere alle annotazioni susseguenti e conseguenti alla cassazione.
La ragioni per cui i supremi giudici ritengono che l’interpretazione fornita dal giudice di merito non sia condivisibile sono tuttavia diverse da quelle prospettate dalla ricorrente tramite i suoi legali e trovano fondamento nella più generale disciplina del nome (inteso come unione di prenome e cognome).
Va infatti ricordato come il diritto al nome appartenga al più ampio catalogo dei diritti della personalità, come chiarito da un trittico di pronunce additive rese dalla Corte costituzionale nella seconda metà degli anni ’90. Il primo esercizio di tale diritto – personalissimo e irrinunciabile – avviene consustanzialmente all’acquisizione della capacità giuridica, cioè alla nascita. A causa della tenera età, esso non può però essere fatto valere personalmente dal suo titolare. A ciò suppliscono i genitori (o il tutore), i quali, lungi quindi dal poter rivendicare un diritto riguardo all’attribuzione del nome del figlio, esercitano soltanto di comune accordo, una potestà temporanea, appartenente alla più ampia responsabilità genitoriale, nell’esclusivo interesse del minore stesso. Tant’è che laddove, contestualmente alla dichiarazione di nascita, i genitori si rifiutino di nominare il minore, vi supplisce prontamente l’ufficiale dello stato civile, così come nei casi di ritrovamento di minori abbandonati ovvero i cui genitori siano sconosciuti.
Il caso della delle persona che intraprende una rettificazione anagrafica di sesso è affatto peculiare, in quanto riporta il soggetto, limitatamene alla scelta del prenome, al momento della nascita. Con la differenza che il soggetto adesso è adulto e pertanto in grado di esercitare questa elezione senza intermediari o delegati.
Fatti salve quindi le disposizioni di legge in materia di scelta del prenome – es. divieto di attribuire prenomi ridicoli o vergognosi o non corrispondenti al sesso – e attesa l’intima relazione esistente tra identità sessuale e segni distintivi della persona, per la Cassazione non sussistono valide obiezioni al fatto che la parte interessata, se lo voglia, possa scegliere ed indicare il nuovo prenome che desidera portare.
*Ricercatore di Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Brescia