Da Bologna una svolta storica verso gli effetti pieni dell’adozione in casi particolari
10 luglio, 2020 | Filled under genitorialità, italia, NEWS, OPINIONI |
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di Angelo Schillaci
1.
Pubblichiamo l’importante decisione con la quale il Tribunale per i minorenni di Bologna (est. Pres. Spadaro) ha affermato, per la prima volta a quanto consta, che l’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44 legge n. 184/1983 instaura legami di parentela ulteriori rispetto a quello con il solo genitore adottante.
Si tratta di una pronuncia assai rilevante, che segna un ulteriore passo in avanti nel (lungo) cammino verso la piena e completa affermazione del principio dell’unicità dello status di figlio, ormai consacrato dall’art. 74 del codice civile, a seguito della cd. riforma della filiazione del 2012/2013 (legge n. 219/2012 e d. lgs. n. 174/2013).
2.
Come noto, l’adozione in casi particolari è istituto rivolto al riconoscimento giuridico, nel precipuo interesse del minore, della relazione di fatto che questi intrattenga con un adulto che – in presenza ovvero in assenza di soggetti esercenti la responsabilità genitoriale – se ne prende cura, esercitando in fatto le funzioni genitoriali. A tale obiettivo sono rivolte le diverse figure di adozione in casi particolari, disciplinate dall’articolo 44 della legge n. 184/1983, sia con riguardo alle prime tre (che riguardano le ipotesi tipizzate di adozione dell’orfano, dell’adozione del figlio del coniuge e dell’adozione dell’orfano in condizione di disabilità), sia con riguardo all’ipotesi – residuale – di cui all’articolo 44, lett. d). Tali diverse ipotesi sono peraltro accomunate dalla condizione dell’assenza dei presupposti per la dichiarazione di adottabilità ai sensi degli artt. 7 ss. della legge.
Con specifico riferimento all’ipotesi di cui all’art. 44, lett. d), la decisione in commento conferma, in particolare, l’interpretazione ormai consolidata – a seguito di Cass., sez. I civ., sent. n. 12962/16 – secondo cui la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» che giustifica il ricorso all’adozione in casi particolari debba interpretarsi non solo quale impossibilità di fatto, ma anche come impossibilità di diritto; e dunque, per quel che rileva nella specie, che a tale forma di adozione possa farsi ricorso anche ove il minore abbia già un genitore (e, ovviamente, non ricorrano le condizioni di cui alla lettera b) del medesimo articolo). Inoltre, la decisione ribadisce – conformemente al costante orientamento dello stesso Tribunale e di altre Corti minorili – non solo che all’articolo 44, lett. d) può farsi ricorso anche nel caso di adozione da parte del partner omosessuale del genitore biologico ma anche che tale possibilità non è stata intaccata, ma anzi espressamente confermata, dalla legge n. 76/2016: essa, infatti, seppur escludendo dall’ambito di applicazione della clausola di equivalenza di cui al comma 20 le disposizioni del codice civile non richiamate e la legge sulle adozioni, ha cura di precisare che «resta fermo quanto previsto e consentito, in materia di adozioni, dalle norme vigenti». Tale disposizione – osserva il Tribunale per i minorenni – «apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente» e, soprattutto, ha la funzione di «chiarire all’interprete che la mancata previsione legislativa dell’accesso all’adozione coparentale [a seguito delle note vicende relative all’approvazione della legge n. 76/2016] non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all’orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell’adozione coparentale ai sensi della lettera d)».
3.
La più significativa novità della sentenza in esame è, come accennato, la decisione relativa agli effetti dell’adozione in casi particolari. L’articolo 55 della legge sulle adozioni, infatti, non è stato modificato dalla riforma della filiazione e continua a fare rinvio alle norme del codice civile relative all’adozione di maggiorenni e, in particolare, all’articolo 300, a mente del quale l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine e «l’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato né tra l’adottato e i parenti dell’adottante». Tale disposizione, pienamente giustificata nel caso di adozione di maggiorenne (nella quale, di regola, esiste una famiglia di origine verso la quale conservare doveri; e possono porsi, altresì, peculiari esigenze di tutela – anche patrimoniale – della famiglia dell’adottante), nel caso dell’adozione in casi particolari entra in tensione con l’articolo 74 c.c. Tale disposizione, come ricordato, riconosce l’unicità dello status di figlio affermando che «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo» e avendo cura di precisare che da tale principio è esclusa soltanto la fattispecie di adozione di persona maggiore di età.
L’adozione in casi particolari – per espressa previsione dell’articolo 44 e anche in considerazione della ratio dell’intera legge n. 184/1983 – riguarda invece minori, come confermato anche dalla lettera dell’articolo 57. Orbene, la formulazione dell’articolo 55 – con il rinvio a norme relative all’adozione di maggiorenni – poteva forse giustificarsi alla luce di un contesto ordinamentale ancora permeato dal principio del favor legitimitatis nonché, più in generale, dal principio della tutela della famiglia di origine dell’adottante e del minore (soprattutto sul piano patrimoniale). In questo senso, cfr. ancora la sentenza n. 383/1999 della Corte costituzionale, nella quale – peraltro – il termine di comparazione è, appunto, l’adozione all’epoca definita “legittimante” («a differenza di quella “legittimante”, la particolare adozione del citato art. 44 non recide i legami del minore con la sua famiglia di origine, ma offre allo stesso la possibilità di rimanere nell’ambito della nuova famiglia che l’ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui», così Cons. dir., par. 2).
La salvaguardia della famiglia di origine – ratio originaria della limitazione degli effetti dell’adozione in casi particolari – pare così strettamente legata per un verso alla esistenza di tale famiglia di origine e per l’altro, nel precedente assetto del sistema, alla preferenza per la famiglia legittima. Tale giustificazione non si rinviene a seguito della riforma della filiazione, che ha inteso unificare lo status di figlio, superando tanto la distinzione tra figli legittimi e figli naturali, quanto parificando la nascita intra- e quella extramatrimoniale, quanto infine eliminando ogni trattamento differenziato tra queste e la filiazione adottiva. Non mancano peraltro, al riguardo, autorevoli conferme in dottrina: si pensi ai lavori di Morozzo della Rocca e Palazzo in argomento, nonché al volume di Sassi, Scaglione e Stefanelli sulla filiazione nel trattato Sacco (specie pp. 343 ss.).
Peraltro, considerato che gli effetti dell’adozione cd. parentale piena (ex adozione legittimante) sono già identici a quelli della filiazione matrimoniale o extramatrimoniale, potrebbe addirittura sostenersi – anche alla luce del principio di delega, che imponeva al legislatore delegato di eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi (cfr. art. 2, comma 1, legge n. 219/2012) – che non vi sia altra ragione sottostante alla parificazione di cui all’articolo 74, se non quella di attrarre nell’unicità dello status anche gli adottati in casi particolari, la cui condizione è ormai l’unica a integrare un vulnus – ormai sprovvisto di alcuna ragionevole giustificazione – al richiamato principio.
4.
Tutto ciò è puntualmente ribadito dalla decisione in commento, peraltro nel quadro di una ricostruzione complessiva dell’evoluzione dell’istituto dell’adozione in casi particolari, della sua originaria giustificazione, nonché dei suoi complessi rapporti con le diverse forme di instaurazione dello status di figlio, anche adottivo.
Le parti avevano richiesto, in particolare che – a margine della pronuncia di adozione in casi particolari – venisse dichiarato anche il rapporto di parentela tra l’adottato e gli altri figli della coppia. In mancanza, infatti, i minori – pur vivendo assieme e condividendo la vita familiare – sarebbero rimasti fratelli solo di fatto, e dunque giuridicamente estranei tra loro.
Il Tribunale per i minorenni, muovendo dalla ricostruzione dell’evoluzione legislativa in materia (e, segnatamente, dalla novella dell’articolo 74 c.c. e dalla sua ratio) opportunamente rileva che «da un lato la perdurante esclusione della parentela per l’adottato maggiorenne è considerata incline alla funzione stessa dell’istituto, volto a trasmettere il patrimonio e il cognome dell’adottante ad un soggetto già titolare di uno status filiationis valido» e che «dall’altro lato, per ciò che concerne il minore adottato in casi particolari […] l’operatività della medesima disciplina non sia più attuale né corrispondente al best interest del minore».
A tale rilievo si accompagna la constatazione – fondamentale nell’iter argomentativo – secondo cui, attualmente, l’adozione in casi particolari «si presta ad accogliere e tutelare una casistica multiforme ove, talvolta, potrebbe risultare impossibile (per il minore abbandonato e per il minore nato all’interno di una coppia omogenitoriale) se non addirittura pregiudizievole (per il minore maltrattato) mantenere il legame con la propria famiglia d’origine».
Dunque, appare decisiva la circostanza che – nel caso di specie, come in altri analoghi (si pensi ad esempio al caso di una coppia etero convivente, con minore figlio di madre singola che venga adottato dal compagno convivente di questa ex art. 44d) – possa non esservi una “famiglia di origine” con la quale preservare un legame: in particolare, osserva il Tribunale, nel caso dell’adozione in casi particolari in coppie omosessuali, «l’esigenza di tutelare un nucleo familiare diverso da quello in cui il minore è stato inserito sin dalla nascita non sussiste, in quanto quest’ultimo riconosce come uniche figure genitoriali di riferimento il genitore biologico e l’adottante, quindi, conseguentemente, si percepisce a tutti gli effetti membro delle rispettive famiglie di provenienza».
Proprio la diversità di situazioni che possono dar luogo ad una adozione in casi particolari – e in particolare proprio il diverso impatto che la presenza o l’assenza di una famiglia di origine ha sulla persistenza della ratio dell’art. 55 – illumina l’argomentazione del Tribunale per i minorenni, orientandola decisamente a favore della interpretatio abrogans della medesima disposizione, alla luce della novella dell’articolo 74: è con essa, afferma il Tribunale con estrema chiarezza, che l’articolo 55 si pone ormai in contrasto, rovesciando il principio dell’unicità dello status e persistendo nel riconoscimento di un diverso status per il minori adottati ai sensi dell’articolo 44 della legge adozioni.
Ciò è confermato, prosegue il Tribunale, dalle gravi conseguenze che l’applicazione dell’articolo 55 avrebbe sulla concreta esperienza di vita dei minori – così come sulla loro stessa identità e sul loro miglior interesse – laddove essi, in particolare, «vivrebbero una condizione di fatto familiare in cui avrebbero il medesimo cognome e gli stessi legami affettivi, ma una condizione giuridica che li vedrebbe estranei gli uni agli altri, pur nella comunanza di vita».
5.
Ancora una volta, come nelle migliori decisioni relative alla tutela delle figlie e dei figli di coppie omogenitoriali, a guidare il giudice – accanto alla limpidezza dell’argomentazione giuridica – è l’altrettanto limpida consapevolezza della necessità di ripristinare un adeguato equilibrio tra diritto e vita, nel prisma della salvaguardia del miglior interesse dei minori e, in definitiva, della loro stessa identità personale, familiare e sociale.
Ove si applicasse l’articolo 55, infatti, si finirebbe inevitabilmente di «negare sul piano degli effetti giuridici ciò che avviene, con pienezza, sul piano delle relazioni esistenziali, pregiudicando le relazioni del minore con la propria cerchia parentale per il solo fatto di aver fatto ricorso ad un’adozione in casi particolari, che in molti i casi ha tutti i crismi di un’adozione legittimante». Ad essere lesiva dell’interesse del minore – oltre che profondamente incoerente con la ratio antidiscriminatoria della riforma della filiazione – è dunque, in definitiva, una «distorsione tra realtà fattuale e giuridica» suscettibile di incidere sugli stessi percorsi di costruzione della identità e della personalità dei minori.
La decisione, pertanto, si muove in una logica di riconoscimento assai sensibile alla considerazione delle concrete esperienze di vita coinvolte e, al tempo stesso, al senso più profondo delle disposizioni applicabili al caso di specie.