Tre importanti decisioni in materia di discriminazione e omofobia
5 marzo, 2019 | Filled under OPINIONI |
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Pubblichiamo tre importanti decisioni di queste prime settimane del 2019, con diverso oggetto ma tutte informate ad una attenta considerazione della necessaria protezione delle persone con orientamento omosessuale, sui luoghi di lavoro, nel dibattito pubblico e anche in condizione di detenzione.
La Corte di cassazione, con ordinanza del 19 febbraio 2019, che ha avuto ampia eco anche sulla stampa, ha respinto il ricorso avverso una decisione della Corte d’appello di Venezia che ha condannato un noto imprenditore a risarcire il danno patrimoniale patito da un proprio dirigente fatto oggetto per anni, nell’ambito di un rapporto di lavoro, di una condotta offensiva e vessatoria del datore di lavoro avente a oggetto la sua presunta omosessualità, sistematicamente apostrofandolo col termine “finocchio”. Con riguardo alla prova del danno non patrimoniale, la Suprema Corte escludendo che lo stesso possa assumersi in re ipsa, ha ritenuto che lo stesso fosse stato correttamente ritenuto sufficientemente provato dalla Corte d’appello per presunzioni semplici, tenendo conto degli elementi probatori raccolti sul contenuto delle offese, sulla reiterazione, sulle modalità e contesti in cui le stesse venivano arrecate, nonché sulla difficoltà di reazione per essere il destinatario lavoratore subordinato.
Con la sentenza 14 gennaio 2019 il Tribunale di Torino, sesta sezione penale, ha condannato un noto medico per il delitto di diffamazione ai sensi dell’art. 595 c.p. in ragione della continuata reiterazione di dichiarazioni offensive aggravate dall’uso del mezzo radiofonico e internet nei confronti delle associazioni lgbti costituitesi in giudizio, osservando come con sepcifiche dichiarazioni la stessa avesse attribuito al “movimento lgbti” la intenzione di “diffondere la pedofilia”. Il tribunale torinese ha osservato come in questo caso le dichiarazioni riguardessero una categoria determinata di soggetti e avessero dunque quel carattere di concreta offensività che impone di riconoscere la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, ritenendo altresì risarcibile il conseguente danno non patrimoniale subito dalle associazioni di categoria costituitesi parte civile. Per contro, il tribunale ha ritenuto che in caso di generiche affermazioni contro l’omossessualità o i rapporti di sodomia non vi fosse la lesione della reputazione di un soggetto specifico (persona fisica, giuridica o anche associazione di più soggetti comunque organizzati collettivamente) che sia individuato o comunque individuabile, potendosi ascrivere a comportamenti praticabili da un numero potenzialmente illimitato di persone, sicché tali dichiarazioni non assumono carattere di concreta offensività giuridica di uno o più soggetti.
Infine, con ordinanza del 18 dicembre 2018, dep. 29 dicembre 2018 l’ufficio di sorveglianza di Spoleto ha accolto il reclamo di un detenuto omosessuale che era stato allocato dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria in una sezione protetta e promiscua, insieme a detenuti portatori di diverse e anche opposte esigenze di protezione (sex offenders, collaboratori di giustizia, ecc..). Il giudice di sorveglianza ha sottolineato come con la recente riforma dell’ordinamento penitenziario sia stato riconosciuto il diritto ex art. 14, comma 7 O.P. delle persone che abbiano dichiarato il proprio orientamento omosessuale (con dichiarazione rimessa alla sola scelta dell’interessato, anche al fine di fruire di colloqui e trattamento finalizzati alla tutela dei suoi rapporti familiari) ad essere allocate, ove lo richiedano per esigenze di sicurezza, in sezioni “omogenee” e comunque alla partecipazione alle attività trattamentali. Di conseguenza è illegittima l’allocazione in sezioni promiscue, sia perché le stesse non assicurano piena protezione, attesa la detta promiscuità con detenuti portatori di diverse e anche opposte esigenze di protezione, sia perché nel caso concreto non assicura piena partecipazione al trattamento rieducativo. Accogliendo il reclamo ex art. 35 O.P., dunque, il giudice ha ordinato al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il suo trasferimento in sezione omogenea entro il termine di 30 giorni e con obbligo di comunicazione al magistrato di sorveglianza.
[M.G]