Home » genitorialità, italia, OPINIONI, orientamento sessuale » Riconoscimento e trascrizione di un’adozione straniera da parte di una coppia same-sex: la pronuncia della Corte d’Appello di Milano

Riconoscimento e trascrizione di un’adozione straniera da parte di una coppia same-sex: la pronuncia della Corte d’Appello di Milano

di Matteo M. Winkler*

Con l’ordinanza del 5 ottobre 2016 (dep. nel giugno 2017), la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata in tema di riconoscimento e trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione a favore di coppie di genitori dello stesso sesso, facendo il punto su alcuni interessanti profili di ordine processuale e sostanziale. Si conferma così l’ormai consolidato orientamento delle corti di merito che, accogliendo positivamente realtà omogenitoriali straniere, finisce per prendere atto di esperienze familiari che esistono anche nel nostro Paese.

Il caso

Nel caso sottoposto alla Corte d’Appello di Milano un padre, cittadino italiano naturalizzato americano, domandava il riconoscimento e la trascrizione di un order of adoption con il quale la Surrogate’s Court di New York aveva pronunciato l’adozione di un bambino a favore suo e del marito, anch’egli cittadino americano. A New York, infatti, l’adozione congiunta da parte di coppie omosessuali è da tempo possibile, e il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale grazie al Marriage Equality Act del 2011.

Rivoltosi inizialmente all’ufficio di stato civile del comune di ultima residenza, il ricorrente si era visto rigettare l’istanza con la motivazione che sarebbe stato necessario un intervento del tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 36, co. 4, della Legge 4 maggio 1984, n. 183 (Diritto del minore ad una famiglia).

Diversamente, la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto di dover accogliere il ricorso, e ciò sulla base di tre ragioni. Anzitutto, sotto il profilo processuale il ricorso deve inquadrarsi nelle norme della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) che consentono l’immediata efficacia dei provvedimenti stranieri di adozione. In secondo luogo, la Corte afferma che un provvedimento di adozione rilasciato a favore di una coppia dello stesso sesso non può essere contrario all’ordine pubblico internazionale, con ciò seguendo l’orientamento della Corte di Cassazione (sent. 30 settembre 2016, n. 19599). In terzo luogo, viene effettuata la classica valutazione della conformità della soluzione al preminente interesse del bambino, come prescrive l’art. 57 della Legge 184/1983.

Profili processuali e sistematici

Sotto il primo profilo, va ricordato sin d’ora che il caso di specie, relativo a un bambino adottato all’estero da due cittadini stranieri (di cui uno binazionale italiano), non corrisponde, come ha ritenuto l’ufficio di stato civile nel procedimento de quo, a un’adozione internazionale ai sensi della Legge 4 maggio 1984, n. 183 (Diritto del minore ad una famiglia), bensì a una «adozione nazionale straniera» disciplinata dal comma 1 dell’art. 41 della Legge 218/1995. Non entra dunque in gioco l’art. 36, co. 4, della Legge sulle adozioni invocato da detto ufficio, che si applica invece ai cittadini italiani residenti all’estero e la cui ratio è impedire l’aggiramento della disciplina dell’adozione internazionale da parte di coppie di cittadini italiani.

Sulla distinzione è intervenuta l’ordinanza della Corte costituzionale n. 76 del 7 aprile 2016 (pubblicata su Articolo29.it con commento di L. Scaffidi Runchella) in relazione al provvedimento di adozione coparentale pronunciato da un Tribunale dell’Oregon a favore di due donne con cittadinanza americana, sposate negli Stati Uniti e stabilitesi a Bologna. Qui il Giudice delle leggi ha chiarito che, provenendo il ricorso per il riconoscimento da due cittadine straniere, esso non era qualificabile come «particolare ipotesi di adozione di minori stranieri in stato di abbandono da parte di cittadini italiani», bensì come adozione nazionale straniera immediatamente efficace nel nostro ordinamento ai sensi del già citato art. 41, co. 1, L. 218/1995.

Quest’ultima norma si preoccupa dunque di definire il «regime ordinario» di riconoscimento dei provvedimenti stranieri di adozione, stabilendo che questi ultimi «sono riconoscibili in Italia ai sensi degli articoli 64, 65 e 66» della medesima L. 218/1995. È il comma 2, invece, a governare il «regime speciale» di riconoscimento, rinviando alle «disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori». In sintesi, sono soggette al regime ordinario (art. 41 e 64 ss. L. 218/1995) le adozioni nazionali straniere a favore di genitori adottanti stranieri e minori non in stato di abbandono, mentre continuano a obbedire al regime speciale (art. 36, co. 4, L. 184/1983) le adozioni che, pure pronunciate all’estero, coinvolgano genitori adottanti con cittadinanza italiana.

Diversa, nelle due ipotesi, è anche la competenza, spettando l’applicazione del regime ordinario alla Corte d’Appello del luogo di esecuzione del provvedimento straniero, come indicato dall’art. 67 della L. 218/1995, anziché il tribunale per i minorenni che si occupa invece del regime speciale. D’altronde, l’accesso al regime speciale risulta a tutt’oggi precluso alle coppie dello stesso sesso a motivo dell’impossibilità per queste coppie di ricorrere all’adozione congiunta (sul punto si consenta di rinviare a M. Gattuso, M. Winkler, Le adozioni, in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione civile e convivenza. Commento alla L. 20 maggio 2016, n. 76 aggiornato ai dd.lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5, 6 e 7 e al d.m. 27 febbraio 2017, Giuffrè, Milano, 2017, p. 304 ss.).

Un esempio di applicazione del regime speciale a favore di due genitori italiani residenti all’estero da oltre due anni, condizione che come abbiamo visto traccia il confine tra i due diversi regimi, è rinvenibile nei due provvedimenti, di analogo esito, pronunciati dal Tribunale per i minorenni di Firenze l’8 marzo 2017. Con tali provvedimenti il Tribunale ha infatti ordinato all’ufficio di stato civile di procedere alla trascrizione di un order of adoption reso a favore di due coniugi italiani dello stesso sesso, nel primo caso in Inghilterra e nel secondo negli Stati Uniti, in base all’art. 36, co. 4, L. 184/1983 (per un commento v. A. Schillaci, “Una vera e propria famiglia”: da Firenze un nuovo passo avanti per il riconoscimento dell’omogenitorialità, 13 marzo 2017).

Ulteriore distinzione concerne l’analisi demandata alle rispettive autorità giudiziarie (Tribunale per i minorenni nel regime speciale, Corte d’Appello in quello ordinario). Nel primo caso, infatti, il Tribunale dovrà effettuare un’analisi della compatibilità del provvedimento straniero con «i principi della Convenzione [dell’Aja sull’adozione internazionale di minori]» (art. 36, co. 4, cit.), mentre nel secondo l’analisi riguarderà la compatibilità con l’ordine pubblico internazionale, chiamato in causa dall’art. 65 della L. 218/1995.

Una nozione «perimetrata» di ordine pubblico internazionale

La Corte d’Appello di Milano riconosce inoltre che il provvedimento di cui si chiede il riconoscimento non è contrario all’ordine pubblico internazionale, come definito dalla precedente sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016 (sulla cui applicazione cfr. M. Winkler, Riconoscimento di sentenza di adozione straniera e nozione «perimetrata» di ordine pubblico internazionale: le due decisioni del Tribunale per i minorenni di Firenze, in Diritticomparati.it, 23 marzo 2017).

In quella sentenza la suprema Corte, nel risolvere la questione del riconoscimento e della trascrizione di un atto di nascita formato in Spagna in relazione a due donne, ha perimetrato la nozione di ordine pubblico internazionale all’interno di quattro segmenti, costituiti rispettivamente dai diritti fondamentali, dalla discrezionalità legislativa, dall’interesse del bambino e dal carattere manifesto del contrasto con l’ordine pubblico internazionale.

In particolare, può ravvisarsi un contrasto del provvedimento straniero con l’ordine pubblico internazionale solo ove i suoi «effetti» confliggano con «i principi fondamentali vincolanti per lo stesso legislatore», e dunque non — o non più — semplicemente con «le norme con le quali il legislatore ordinario eserciti (o abbia esercitato) la propria discrezionalità in una determinata materia», richiedendosi invece un test «preventivo e virtuale» volto a verificare se «al legislatore ordinario sarebbe ipoteticamente precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con valori costituzionali primari». Dunque, in sintesi, l’ordine pubblico internazionale «trova un limite soltanto nella potenziale aggressione dell’atto giuridico straniero ai valori essenziali dell’ordinamento interno, da valutarsi in armonia con quelli della comunità internazionale».

Per la Corte d’Appello, affermare la contrarietà all’ordine pubblico internazionale di un provvedimento straniero di adozione significa individuare un ostacolo costituzionale al riconoscimento, consistente in una «copertura costituzionale alla regola per cui nel nostro ordinamento l’adozione legittimante è consentita esclusivamente a coniugi uniti in matrimonio, istituto accessibile solo a persone di sesso diverso». In tal senso, poiché tale copertura non esiste, non potendosi affermare, come ha rilevato la Cassazione, una «preclusione ontologica per le coppie formate da persone dello stesso sesso (unite da uno stabile legame affettivo) di accogliere, allevare e anche di generare figli», non sono contrarie all’ordine pubblico né le adozioni da parte di coppie omosessuali, né quelle da parte di single, come confermato implicitamente dall’art. 25 della L. 183/1983, il quale, in caso di separazione dei genitori affidatari, permette l’adozione da parte di uno solo di essi.

L’interesse del bambino

Da ultimo, la decisione della Corte d’Appello si concentra sull’interesse del bambino, allo scopo di verificare se il riconoscimento dell’adozione straniera sia compatibile con la realizzazione di quest’ultimo. Si tratta in verità non di uno, ma di più interessi.

Vi è anzitutto l’interesse alla conservazione dello status filiationis, sancito espressamente dall’art. 8 della Convenzione di New York sui diritti del bambino del 20 novembre 1989 e consistente nel diritto di quest’ultimo «a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali». Il diritto del bambino alla propria identità si qualifica anzi ormai come «di importanza primordiale», secondo la felice formula indicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella propria giurisprudenza in tema di gestazione per altri o surrogazione di maternità (cfr. Corte EDU, sentenze del 26 giugno 2014, n. 65192/11, Labassee c. Francia, §§ 75-80 e n. 65941/11, Mennesson c. Francia, §§ 96-101, nonché la sentenza del 27 gennaio 2015, n. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia, § 71 ss.).

Un’ulteriore declinazione di tale interesse consiste nella possibilità, per il bambino, di ottenere la cittadinanza italiana e di accedere a diritti successori. Chiaramente, un’identità senza cittadinanza né capacità successoria, soprattutto in relazione con gli ordinamenti con i quali la famiglia presenta un forte collegamento quale quello relativo alla cittadinanza di uno dei genitori, altro non è che una mezza identità, o meglio un’identità «claudicante» destinata a violare i diritti fondamentali del bambino coinvolto.

A questo riguardo, la Corte d’Appello ribadisce che non è decisiva l’assenza del legame biologico, per la semplice ragione che è famiglia anche la comunità degli affetti, fondata sulla «effettiva capacità delle persone di garantire protezione, affetto, cura e sicurezza al minore, ossia di assumere responsabilità genitoriale, prescindendo dal loro orientamento sessuale».

Inoltre, il legame adottivo che si viene a instaurare tra i genitori e il bambino interessato corrisponde a un’adozione piena e legittimante, secondo gli effetti prodotti dall’order of adoption della Surrogate’s Court di New York. Tale effetto si produce in conseguenza del fatto che non esiste nel nostro ordinamento un principio costituzionale che limiti alle sole coppie coniugate la possibilità di un’adozione di questo tipo.

D’altro canto, è stata la stessa riforma della filiazione del 2012-2013 a sancire lo status unico di figlio, impedendo di distinguere tra figli legittimi, naturali e adottivi e «sugger[endo] la fine», nota la Corte d’Appello, «della gerarchia delle diverse forme che assume l’adozione e la necessità di ricondurre tutte le filiazioni biologiche e tutte le filiazioni adottive di minori ad un unico status di figlio». Si realizza così, sul piano giurisprudenziale, la tesi dottrinale (cui anche chi scrive aderisce: v. M. Gattuso, Adozione coparentale e familiari dell’adottante, in Unione civile e convivenza, cit., p. 318 ss.) secondo la quale detta riforma ha implicitamente abrogato l’art. 55 della Legge 184/1983, nella parte in cui, rinviando all’art. 300 del codice civile, richiama la disciplina dell’adozione dei maggiorenni. Se il riconoscimento degli effetti dell’adozione con riguardo ai familiari dell’adottante appare pienamente conforme all’interesse del bambino, non lo è la soluzione opposta, sicché solo un’adozione piena e legittimante impedisce il formarsi di situazioni transfrontaliere claudicanti, che assegnerebbero al bambino dei familiari in un Paese ma non in un altro.

Conclusioni

Il progresso nel riconoscimento delle famiglie omogenitoriali è avvenuto, nel nostro Paese, grazie all’intervento progressivo della giurisprudenza, interrogata soprattutto (ma non solo: v. ad es. Cass., 22 giugno 2016, n. 12962 in tema di adozione in casi particolari, nonché Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, in tema di affidamento di figli a seguito di separazione) sulla definizione di situazioni transnazionali. È infatti in questo settore che le riflessioni svolte dalla giurisprudenza, in tema ad esempio di ordine pubblico internazionale ed interesse del bambino, hanno consentito di determinare, con l’aiuto della giurisprudenza sovranazionale, i diritti dei bambini delle famiglie omogentoriali. La pronuncia della Corte d’Appello di Milano si inserisce perfettamente in questo percorso, aggiungendo un ulteriore tassello a una disciplina che sta trovando nelle corti, nel silenzio del legislatore, la sua protezione più forte.

* Assistant Professor, HEC Paris