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Ecco le formule definitive per la costituzione e la trascrizione delle unioni civili: commento al decreto ministeriale del 27 febbraio 2017

 di Luca Tavani*

Il formulario: si pronuncerà il fatidico “sì”

Il Ministro dell’interno, con l’emanazione del decreto 27 febbraio 2017, completa il quadro normativo necessario per dare piena operatività alle unioni civili approvate con la legge 20 maggio 2016, n. 76.

In particolare – con sensibile anticipo anche rispetto al tempo assegnatogli dall’art. 4 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5 – il decreto interviene a modificare il precedente decreto ministeriale 27 febbraio 2001 che si preoccupa di disciplinare la tenuta dei registri cartacei dello stato civile in attesa dell’operatività dell’archivio informatico: in questo modo anche i registri delle unioni civili (persa la connotazione di provvisorietà che avevano avuto dal DPCM di luglio) verranno gestiti amministrativamente come tutti gli altri registri dello stato civile.

La seconda parte del decreto, invece, è destinata all’aggiornamento del principale strumento operativo degli ufficiali dello stato civile: il formulario, un repertorio di formule e annotazioni utili per la redazione degli atti di stato civile.

Sono molte le novità introdotte nel formulario, che  risolvono alcuni punti controversi, che avevano già visto l’intervento dei primi giudici chiamati a risolvere questioni di palese discriminazione attuate nei confronti delle unioni civili rispetto al matrimonio.

La formula ministeriale, ad esempio, oggi è chiara nell’affermare che l’unione civile – e non poteva essere diversamente, sia per la sostanziale equiparazione tra i due istituti assicurata dal comma 20 della legge 76/2016, sia per la necessaria pubblicità di una procedura modificativa degli status personali – deve costituirsi, come il matrimonio, in una sala aperta al pubblico.

Dopo la previsione (nella nuova formulazione dell’art. 70 del regolamento dello stato civile) che l’ufficiale celebrante indossa la fascia tricolore, ed a seguito di questa espressa indicazione del luogo in cui l’unione prende forma (la sala aperta al pubblico), si tratta ora da un punto di vista formale di due procedure del tutto identiche.

La lettura della formula dell’unione (riportata nell’allegato 2, richiamato dall’art. 2 del decreto ministeriale), poi, fa superare di fatto anche la distinzione lessicale spesso rimarcata tra i matrimoni – che vengono “celebrati” – e le unioni – che sono invece “costituite” –, quasi ad assegnare in questi ultimi casi all’ufficiale dello stato civile un ruolo di mera “assistenza” di fronte alle dichiarazioni costitutive dell’unione.

Ora infatti – anche solo nella forma procedimentale – l’unione civile è a tutti gli effetti una celebrazione, visto che l’ufficiale dello stato civile deve interrogare le parti sulla volontà di unirsi (esse, dunque, pronunceranno il fatidico “sì”) e chiude l’atto con una sua dichiarazione di costituzione dell’unione.

Le unioni in casi particolari

Il formulario contiene, inoltre, tutte le necessarie formule per la costituzione dell’unione in casi particolari: fuori della casa comunale, in imminente pericolo di vita o per delega da parte di un ufficiale di un altro Comune in cui le parti si sono inizialmente rivolte per presentare la richiesta di costituzione dell’unione.

Questa prima richiesta – differentemente da quanto in precedenza affermato dal Ministero stesso – non è un atto di stato civile ma un più semplice verbale, rendendone di fatto molto più agevole la gestione documentale.

Il cognome comune

Il decreto, con le scelte operate, conferma la decisione più recente del legislatore delegato di disinnescare la portata del comma 10: al cognome comune viene riservato un uso solo simbolico. Non è previsto, infatti, nel nuovo formulario che la scelta venga annotata sull’atto di costituzione dell’unione né sull’atto di nascita delle parti, in modo che questo nuovo cognome non venga riportato in alcuna certificazione.

La modifica apportata, poi, dal D.Lgs. n. 5/2017 al regolamento anagrafico, prevede che gli atti anagrafici relativi alle parti che hanno assunto un cognome comune (e quindi anche le conseguenti certificazioni e carte di identità) restino generalizzati con i dati precedenti l’unione, e dunque con i cognomi originari.

L’unione civile costituitasi a seguito di rettificazione di sesso

Una parte che, in questo primo commento a caldo, riserverà ancora, come è facile attendersi, dubbi e interpretazioni non univoche è quella relativa alla formula da utilizzare (la n. 121.4) nel caso di costituzione di unione civile a seguito di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei coniugi, come previsto dall’art. 70-octies del DPR 396/2000.

Non è chiaramente evidenziata quale sia la data di decorrenza della nuova unione. Non essendoci un momento costitutivo pubblico (non c’è cerimonia) ma trattandosi di un atto obbligatoriamente conseguente un provvedimento giudiziario viene da supporre che la data di costituzione non sia quella della redazione dell’atto (sulla cui determinazione le parti non avrebbero alcun potere e si troverebbero quindi legate dal nuovo vincolo a far tempo da una data a loro stessi sconosciuta) ma quella della sentenza medesima. In questo caso l’atto di stato civile avrebbe solo natura confermativa di un’unione sostanzialmente costituitasi di fronte all’autorità giudiziaria. Mancherà anche il luogo di costituzione della nuova unione, proprio perché scaturente da un provvedimento giudiziale e ciò comporterà una anomalia nel rilascio della relativa certificazione, in cui siamo abituati a leggere data e luogo di celebrazione.

Trascrizioni di unioni e matrimoni contratti all’estero

Il decreto ministeriale contiene anche le formule necessarie per la trascrizione delle unioni civili e dei matrimoni contratti all’estero, che in base a quanto previsto dal nuovo art. 134-bis del Regio decreto n. 1238/1939 andranno trascritti nella parte seconda dei registri delle unioni civili.

Sul punto, stante comunque la non chiara interpretazione della portata degli articoli 32-bis e seguenti della legge n. 218/1995 sul riconoscimento da assicurare ai matrimoni same-sex celebrati all’estero da cittadini italiani con cittadini stranieri, e sulla loro riconduzione al rango di unione civile, sarà quanto mai opportuno ed auspicabile che il Ministero dell’interno emani, al più presto, nel rispetto degli obblighi di cui all’art. 9 del regolamento dello stato civile, chiare istruzioni a tutti gli ufficiali dello stato civile italiani, in modo che la norma possa trovare corretta e uniforme applicazione senza dover scomodare più del dovuto giudici e avvocati.

* Ufficiale d’anagrafe e di stato civile