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Il Tribunale di Napoli ordina la trascrizione di un atto di nascita straniero con due madri

di Angelo Schillaci*

Pubblichiamo, con alcune indicazioni di lettura, il decreto dell’11 novembre 2016 (depositato in data 6 dicembre 2016), con il quale il Tribunale di Napoli ha ordinato all’Ufficiale dello stato civile di Napoli di trascrivere l’atto di nascita di un minore, formato in Spagna, con l’indicazione di entrambe le madri, cittadine italiane coniugate tra loro e residenti in Spagna.

La decisione interviene a pochi mesi dalla fondamentale pronuncia della Suprema Corte di cassazione, sez. I, n. 19599/2016, che aveva provveduto in modo analogo, dettando una corposa serie di principi di diritto idonei – come dimostra proprio la decisione che oggi pubblichiamo – a guidare gli orientamenti della giurisprudenza in tema di trascrizione degli atti di nascita formati all’estero, recanti l’indicazione di due genitori dello stesso sesso.

La decisione napoletana si pone nel solco del recente arresto della Corte di legittimità, specie sul punto della declinazione del concetto di ordine pubblico non in termini di compatibilità con l’ordinamento italiano ma nei termini, più larghi, di compatibilità con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali desumibili dalla Costituzione, dal diritto primario e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cd. ordine pubblico internazionale). Come avvenuto nel caso deciso dalla Cassazione, peraltro, è proprio questa accezione del concetto di ordine pubblico a consentire di ritenere non ostativi alla trascrizione tanto il principio di cui all’art. 269, comma 3, c.c., secondo cui è madre colei che partorisce, quanto la circostanza che l’ordinamento italiano non contempli (per ora) che “persone dello stesso sesso possano essere entrambe genitori dello stesso figlio” (p. 6).

Rispetto alla decisione della Corte di cassazione, tuttavia, la pronuncia napoletana presenta taluni elementi di particolare interesse.

Anzitutto, in più di un passaggio della decisione, particolare rilievo è dato – ai fini della valutazione della compatibilità dell’atto di nascita straniero con l’ordine pubblico – all’avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, dell’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Detto istituto, seppur non coincidente con quello matrimoniale, è ad esso ritenuto “assimilabile”, con la conseguenza di ritenere ormai pienamente compatibile con l’ordine pubblico, anche in relazione a tale profilo, la tutela dei legami familiari sussistenti in famiglie omogenitoriali.

In quest’ottica, afferma infatti il Tribunale, “l’accertamento della genitorialità fondato su maternità diversa da quella biologica, ma ad essa riconducibile in forza del rapporto esistente tra le due donne” è valore compatibile con l’ordine pubblico, specie se si valuta che “anche nell’ordinamento nazionale italiano è stato […] introdotto un istituto, quello delle unioni civili, che certo somiglia alle iustae nuptiae dalle quali sono legate le due donne, e che il vincolo è di portata tale da consentire, nell’interesse del figlio, che si veicoli dall’una all’altra donna, la capacità, già dimostrata nella convivenza di fatto, di svolgere il compito di madre, pur se priva della qualifica di partoriente” (pp. 6-7).

La sussistenza di un legame stabile e giuridicamente riconosciuto tra le due donne – coniugate in Spagna – non è tuttavia l’unico presupposto che conduce il Tribunale ad affermare la trascrivibilità dell’atto di nascita straniero. Assume infatti particolare rilievo – come già nella decisione della Corte di cassazione, ma con accenti diversamente affascinanti – l’esistenza di un progetto di genitorialità condiviso tra le due donne che risulta, soprattutto, dalla prestazione del consenso, da parte della madre non biologica, al ricorso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. In questo profilo della decisione risiede un importante elemento di novità, anche rispetto alla pronuncia della Corte di Cassazione. Se infatti, nel caso all’esame della Corte di legittimità, la nascita del minore era avvenuta a seguito di una fecondazione eterologa dell’ovulo di una delle due madri, con successivo impianto dell’embrione nell’utero dell’altra (assumendo dunque le due madri, rispettivamente, lo status di madre genetica e biologica), in questo caso si era fatto ricorso unicamente alla fecondazione eterologa. Pertanto, la relazione della madre non biologica con il minore riposa e si fonda – oltre che, come si è visto, sulla sussistenza di un rapporto stabile con la madre biologica (dapprima convivenza di fatto, poi coniugio) – sul consenso a suo tempo prestato al ricorso alla fecondazione eterologa. Si tratta di un aspetto assai rilevante, che la decisione sottolinea con forza. Il diniego di trascrivere l’atto di nascita rappresenterebbe infatti una violazione dell’interesse del minore – ed anzi, come afferma significativamente il Tribunale, della stessa “personalità del figlio” (p. 7) – il cui carattere sproporzionato diviene particolarmente evidente “in presenza di un modello familiare che […] può ricevere legittimazione a sufficienza dal raccordo tra il dato materiale, il parto […], e il dato spirituale, l’atto di assunzione della responsabilità di madre” da parte della moglie della madre biologica (p. 7). Da tutti questi rilievi consegue che l’ordine pubblico non può essere ritenuto ostativo alla trascrizione dell’atto di nascita del minore “nato nell’ambito di una stabile relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso condividenti un progetto di genitorialità”, che si realizza attraverso la feconda integrazione tra biologia e intenzione.

Si tratta, peraltro, di un principio non estraneo all’ordinamento italiano, se solo si considera che la stessa legge n. 40/2004 vieta, all’art. 9, il disconoscimento della paternità (o l’anonimato della madre) al coniuge e al convivente che abbia prestato il consenso al ricorso a tecniche di p.m.a. di tipo eterologo, ormai consentite nel nostro ordinamento dopo l’intervento della sentenza n. 162/14 della Corte costituzionale.

Nati insieme dal corpo e dal cuore, i figli venuti al mondo grazie a tecniche di p.m.a. eterologa devono poter mantenere intatto il proprio diritto a veder riconosciuta dall’ordinamento giuridico la propria relazione con entrambi i genitori e, come afferma significativamente il Tribunale, a “non essere sradicat[i] dal nucleo sociale” creato in forza del progetto di vita familiare e genitorialità condiviso da due madri (o da due padri) e dunque indipendentemente dall’orientamento sessuale della coppia che a tale progetto abbia dato vita.

La decisione conferma, pertanto, che nella costituzione degli status familiari, ed in particolare dello status di genitore, dato materiale e dato spirituale ben possono intrecciarsi, dando così corpo, riconoscimento e protezione ai diversi percorsi e alle diverse esperienze cui dà vita l’autodeterminazione del singolo in materia personale e familiare.

*Ricercatore – RTDB, Università di Roma “Sapienza”