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Eppur si muove! La Camera dei Deputati avvia una (faticosa) riflessione sulla gestazione per altri

di Angelo Schillaci*

1. Premessa

Nella seduta pomeridiana del 4 maggio 2016, si è svolta in Aula, alla Camera dei Deputati, la discussione su numerose mozioni relative al trattamento giuridico della gestazione per altri.

Si è trattato di una occasione importante – lasciando da parte le motivazioni politiche contingenti (specie con riguardo all’imminente passaggio in Aula del disegno di legge sulle unioni civili) – per avviare una riflessione sul punto, a margine del dibattito degli ultimi mesi, caratterizzato da contrapposizioni frontali ed eccessive semplificazioni, condizionate da ragioni ideologiche, ma anche da una conoscenza ancora scarsa del tema (per approfondimenti, e per la ricostruzione della pluralità di modelli disciplinari della gestazione per altri, basti qui rinviare a Beaumont – Trimmings, International Surrogacy Arrangements, Oxford, Hart, 2013; cfr. anche i lavori del Convegno organizzato sul tema, il 15 aprile 2016 da Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford).

In questo quadro, alcune delle mozioni approvate – e soprattutto l’insieme dei loro dispositivi – restituiscono un quadro articolato che, se mostra in più punti le tracce della ricerca di un compromesso tra le diverse posizioni in campo, si caratterizza per un primo tentativo di comprendere la complessità del fenomeno, le ragioni della sua distorsione, ma anche il valore che possono assumere le dinamiche di esperienza che ad esso danno vita e che lo caratterizzano. Soprattutto, si assiste ad una chiara presa di posizione – da parte delle forze politiche – a favore di una scissione tra i diversi approcci alla gestazione per altri e l’esigenza di tutelare il diritto del bambino, venuto al mondo grazie al ricorso a tale pratica, all’identità personale ed alla stabilità e alla certezza degli affetti, specie in relazione al rapporto con i genitori “intenzionali”.

Proprio tale ultimo profilo, peraltro, si è intrecciato – in modo assai scomposto e strumentale – con il dibattito sull’approvazione del ddl in materia di unioni civili, specie con riguardo al tentativo, poi naufragato, di estendere alle coppie omosessuali unite civilmente l’art. 44, lett. b) della legge n. 184/83 (adozione in casi particolari del figlio del coniuge). Soprattutto, esso è presente nella più recente giurisprudenza relativa all’applicazione in coppia omosessuale dell’istituto dell’adozione speciale ex art. 44, lett. d (da disporsi in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo), di recente ammessa, con sentenza passata in giudicato, anche in relazione ad una coppia di padri; o ancora, nella recente pronuncia con la quale la Corte di cassazione ha escluso la perseguibilità del ricorso alla gestazione per altri all’estero e ha affermato che la trascrizione dell’atto di nascita a favore della madre intenzionale non integra la fattispecie di alterazione di stato ex art. 567 c.p. (sent. 16 marzo 2016 n. 13525).

2. Le posizioni in campo: a) le mozioni contrarie

Le mozioni in discussione erano dieci, provenienti dalla quasi totalità dei gruppi politici rappresentati alla Camera. Se si eccettuano, oltre alla mozione Rosato (PD), la mozione a firma Nicchi ed altri (SEL) e, in parte, la mozione a firma Spadoni (M5S), il ventaglio di posizioni espresse dalle rimanenti mozioni appariva orientato verso una radicale censura della gestazione per altri, pervicacemente definita in più mozioni, con espressione giuridicamente del tutto scorretta, “utero in affitto”, variamente apostrofata come pratica “aberrante” o “disumana” (si vedano la mozione Rondini, Lega Nord, e la mozione firmata dall’on. Dellai, Democrazia solidale – Centro democratico), e di volta in volta ricondotta a fattispecie di sfruttamento, ove non di riduzione in schiavitù (così, in particolare, la mozione a firma dell’On. Carfagna, FI), della donna, ad una nuova forma di “tratta di donne e bambini al di fuori di qualsiasi controllo” (così la mozione firmata dall’On. Roccella), a fattispecie di “cessione a titolo oneroso” di minori (così la mozione firmata dall’On. Lupi), o ancora alla fattispecie di “produzione” di bambini in “outsourcing” (così, ancora, la mozione firmata dall’on. Dellai). Allo stesso tempo, le mozioni da ultimo richiamate – con le suddette eccezioni (PD, SEL e M5S, cui va aggiunta la mozione Lupi, a seguito della riformulazione) – richiedevano al Governo, in dispositivo, di impegnarsi non soltanto per il contrasto alla gestazione per altri in sede internazionale ma anche di provvedere, all’interno dell’ordinamento italiano, per introdurre la perseguibilità in sede penale della gestazione per altri (già parzialmente prevista dall’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004) anche ove si faccia ricorso ad essa al di fuori del territorio italiano (con la previsione di un reato cd. universale).

3. Le posizioni in campo: b) la mozione del Partito democratico, tra coscienza della complessità del fenomeno e tutela del bambino

A tali mozioni si è aggiunta, nell’imminenza della seduta, una mozione a firma Rosato ed altri (PD), che riassume e compone in equilibrio – a seguito di una complessa opera di mediazione – le diverse posizioni presenti all’interno del gruppo del Partito Democratico. Su questa mozione, unica approvata integralmente dall’Aula con larghissima prevalenza di voti positivi espressi (mentre, come vedremo, l’approvazione di altre mozioni o parti di esse è stata possibile solo grazie ad un numero molto elevato di astensioni, dato in sé politicamente rilevante), è necessario soffermarsi nel dettaglio.

Essa si caratterizza, anzitutto, per un uso assai attento e sorvegliato del linguaggio, evitando di ricorrere ad espressioni ritenute inadatte a descrivere la complessità del fenomeno (ove non offensive della dignità dei soggetti coinvolti) quali “utero in affitto” o coppia o genitori “committenti”.

In premessa, inoltre, viene ricostruito il dibattito sulla materia ed il quadro comparativo delle discipline esistenti nei vari Paesi, ravvisando una pluralità di modelli: in particolare, oltre alla differenziazione tra gestazione per altri a titolo gratuito e g.p.a. cd. commerciale, la mozione dedica particolare attenzione al coinvolgimento dell’autorità giudiziaria nell’autorizzazione della pratica e nella tutela della posizione dei soggetti coinvolti, compresa la donna e il bambino, in relazione alla costituzione dello status genitoriale (è il caso, tra le altre, della disciplina greca, di quella britannica, e di quella di alcuni stati degli USA, come la California). Merita sottolineare come, ancora una volta, il ricorso all’argomento comparativo e l’approfondimento del dato proveniente da esperienze giuridiche straniere, mostri un chiaro potenziale di alleggerimento del conflitto e sia idoneo ad ammorbidire le posizioni più estreme, favorendo al tempo stesso una robusta riflessione critica sulle condizioni dell’ordinamento di “partenza”. Nella stessa direzione sembra muovere, peraltro, un passaggio del dispositivo della mozione a firma Nicchi (SEL), approvato a larga maggioranza di voti positivi espressi, laddove impegna il Governo “a colmare il deficit informativo attraverso un osservatorio di analisi del fenomeno, in modo da programmare politiche pubbliche adeguate per le tutele giuridiche, sanitarie, sociali di tutti i soggetti coinvolti in una realtà che di fatto esiste”.

Allo stesso tempo, la motivazione della mozione dà atto delle posizioni critiche nei confronti della g.p.a., riscontrabili a livello interno (richiamando ad esempio la mozione del 16 marzo 2016 del Comitato nazionale di bioetica, relativa però alla sola g.p.a. a titolo oneroso) e internazionale (con le proposte di messa al bando), oltre a soffermarsi sulle degenerazione del fenomeno, specie in alcuni contesti e con riferimento all’attività di alcune agenzie di intermediazione.

Inoltre, sembra significativa la differenziazione – che si coglie in alcuni passaggi relativi alla GPA cd. commerciale – tra i diversi ordinamenti in cui è previsto compenso: sembra insomma affiorare, senza dubbio con fatica (e non senza contraddizioni), la consapevolezza che l’equazione tra gestazione per altri, anche onerosa, e sfruttamento non rappresenti un dato assoluto, ma risenta del contesto economico e culturale in cui il modello disciplinare si radica: altro è, infatti, applicare la disciplina della gestazione per altri in contesti in cui l’autodeterminazione della donna sia messa a rischio da condizioni economiche di strutturale disagio e da una condizione di subalternità culturale, altro è applicarla in contesti in cui la donna resta al centro di un articolato sistema di garanzie, che escludono il ricorso alla pratica per ragioni di bisogno o sfruttamento (anche solo morale). D’altro canto, come mostra proprio l’esperienza californiana e di altri Stati USA, la stessa previsione di un compenso per la portatrice non è riconducibile ad un “corrispettivo” per la “cessione” del minore, bensì appare articolato in più voci, che rispecchiano fedelmente la complessità dell’esperienza di vita della portatrice, prima durante e dopo la gravidanza: tale articolazione del compenso, si iscrive nella corretta ricostruzione degli accordi di surrogazione come aventi ad oggetto un’opera, o anche un servizio di “cura prenatale del bambino” (“pre-birth childcare”: così, in modo affascinante, M. Walstead, International Surrogacy: arduous journey to parenthood, in Journal of comparative law, 2014, pp. 298 ss., 333).

In ogni caso, la mozione sottolinea in più punti la specificità della GPA cd. altruistica o solidale. Meritano di essere richiamati, in particolare, i passaggi in cui la mozione assume la posizione, manifestata in più luoghi dall’on. Marzano (cfr. ad es. La maternità può essere donata, Corriere della Sera, 16 marzo 2016) e particolarmente attenta alla dimensione del dono, come “fondamento teorico e culturale” della g.p.a. altruistica: significativa, in particolare, l’affermazione secondo cui “le relazioni che si stabiliscono attraverso la gratuità del dono [sono] coerenti con la tradizione giuridica dell’Unione europea”. Nella stessa prospettiva deve essere valutato il riferimento alla Convenzione di Oviedo e alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nel quadro di una differenziazione possibile tra principio di non commerciabilità del corpo umano o di sue parti, di cui viene predicata la natura di principio assoluto e non bilanciabile con altri interessi, e il diverso principio di indisponibilità del corpo umano, che ha valore relativo e non esclude, ad esempio, proprio pratiche solidali legate all’ambito semantico del dono (si pensi alla donazione di organi, anche in vita).

Ciò che più rileva, tuttavia, è senz’altro la decisa presa di posizione – in premessa e nel dispositivo – a favore del diritto del bambino alla identità personale e alla stabilità dei rapporti affettivi, “indipendentemente dal modo in cui sia venuto al mondo”. In questo senso, assumono un’importanza centrale i richiami alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Mennesson e Labassee contro Francia; Paradiso e Campanelli contro Italia, già richiamate dall’On. Campana nel suo intervento in Aula in sede di discussione generale sulle mozioni, il 18 aprile 2016). In tali sentenze, come noto, la Corte europea ha, per un verso, statuito che la mancata trascrizione, in Francia, dell’atto di nascita del bambino venuto al mondo in uno Stato estero a seguito di g.p.a. lede il diritto fondamentale del minore alla vita privata e familiare (anche sotto il profilo della lesione dell’identità personale del minore); per altro verso, ha condannato l’Italia, per i medesimi motivi, in un caso di dichiarazione di adottabilità del bambino nato all’estero da g.p.a., con conseguente sua sottrazione alla famiglia intenzionale (con cui si era instaurato nel frattempo un rapporto familiare di fatto ritenuto dalla Corte meritevole di tutela).

La mozione mostra, dunque, piena consapevolezza della rilevanza del principio secondo cui altro è l’eventuale giudizio di disvalore sulla pratica attraverso la quale il bambino sia venuto al mondo, altro è la protezione dell’interesse del bambino alla continuità e alla stabilità giuridica del rapporto con i genitori “intenzionali” e dunque con le persone che, avendone desiderato e progettato la venuta al mondo, si sono assunte la responsabilità di averne cura ed esserne genitori: un principio importante, non solo sul piano politico e de jure condendo, ma anche in relazione alla richiamata giurisprudenza di merito e legittimità che, correttamente, scinde i due profili.

3. I dispositivi approvati

Così ricostruito il quadro delle mozioni presentate, è ora necessario spendere qualche considerazione sul voto della Camera, e sul contenuto dei dispositivi infine approvati.

Il quadro delle votazioni è il seguente. L’unica mozione approvata nel suo complesso (premessa e dispositivo) con maggioranza di voti positivi espressi (cioè senza fare premio sulle astensioni che, come noto, alla Camera non vengono computate nel numero dei votanti ai fini della determinazione della maggioranza funzionale al buon esito del voto), è la mozione Rosato (PD). Con larga maggioranza di voti positivi espressi è stato inoltre approvato il dispositivo della mozione Nicchi (SEL), ad eccezione della lettera a) del primo capoverso (che invitava ad una regolazione mite della GPA, bocciata con 278 No e 65 Sì); allo stesso modo è stato approvato il primo capoverso del dispositivo della mozione Carfagna (che impegna il Governo a richiedere in sede internazionale, il rispetto delle Convenzioni relative alla protezione dei diritti umani e alla tutela del bambino), ed il dispositivo della mozione Lupi: esso, a seguito di riformulazione, impegna il governo a dare attuazione al par. 115 della Rapporto sui diritti umani, approvato dal Parlamento europeo nel dicembre 2015 con la risoluzione 2015/2229, nonché ad attivarsi per il pieno rispetto, da parte degli stati firmatari, delle convenzioni internazionali relative ai diritti del bambino. Sempre a maggioranza di voti positivi espressi è stato approvato il dispositivo della mozione presentata da M5S, che impegna il Governo ad assumere iniziative per la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne ma soprattutto ad “avviare un confronto” sulla g.p.a. a partire dal suddetto par. 115 del Rapporto sui diritti umani approvato dal P.E.

Sono state invece approvate, facendo premio sulle astensioni, la motivazione della mozione Lupi (con 80 Sì e 63 No: si tratta dell’unica nota davvero disarmonica rispetto al complesso delle approvazioni, in quanto – come ricordato – essa si pone su posizioni di radicale ed assoluta censura del fenomeno); la motivazione della mozione M5S (72 Sì e 42 No). La motivazione della mozione Nicchi (SEL) è stata invece bocciata per soli 7 voti (79 Sì, 72 No, 200 astenuti).

Tutte le altre mozioni o parti di mozioni non richiamate sono state bocciate o sono rimaste precluse: si tratta, in particolare, delle mozioni Rondini et al. (Lega), Roccella et al. (Misto), Rampelli et al. (Fratelli d’Italia), Dellai et al. (Centro Democratico), Vezzali et al.  (Scelta civica), Palese et al. (Misto).

Ad una prima e sommaria valutazione, il compromesso politico sembra dunque essersi assestato su dispositivi “blandi” (che non prevedono, cioè, alcun riferimento ad un inasprimento della disciplina penalistica dell’istituto rispetto a quanto già previsto dalla legge n. 40; inoltre, viene superato ogni riferimento all’introduzione di reati universali, messe al bando in sede internazionale, moratorie e simili) e su motivazioni articolate e coscienti della complessità del fenomeno, con l’unica eccezione, come si accennava, della motivazione della mozione a firma Lupi, ferma su posizioni di radicale contrarietà. Merita inoltre sottolineare l’esiguo margine di voti (solo 7) con cui è stata bocciata la premessa della mozione Nicchi (SEL), sicuramente la più avanzata tra quelle presentate.

Ma qual è il contenuto desumibile dai dispositivi infine approvati e, dunque, dell’impegno effettivamente richiesto al governo dagli atti di indirizzo?

Ricorre anzitutto, nei dispositivi approvati, la richiesta di impegno sul fronte della tutela dei diritti del bambino, sia con riferimento alla piena garanzia del suo diritto all’identità personale – che comprende, oltre al diritto di conoscere le proprie origini, il diritto a vedere pienamente riconosciuta la propria identità sotto il profilo dei rapporti instaurati con la famiglia “intenzionale” (che è peraltro la famiglia in cui effettivamente cresce, e l’unica che ha) – sia con riferimento alla piena garanzia della certezza e stabilità dei rapporti affettivi, “indipendentemente dal modo in cui sia venuto al mondo” (così espressamente il dispositivo della mozione Rosato). In questo senso, il dispositivo della mozione di Sel è ancora più esplicito e tipizza i modi in cui garantire la posizione del bambino, impegnando il Governo “ad assumere iniziative per prevedere il riconoscimento anagrafico nel nostro Paese, relativamente ai soli nati in quegli Stati dove esiste una legislazione che regolamenta la gestazione per altri” e “a tutelare i diritti della/del minore, in particolare con la trascrizione dei loro atti di nascita formati all’estero” (previsione che, all’evidenza, si estende ben oltre il ristretto ambito dei minori nati grazie alla g.p.a.).

Un secondo profilo affrontato dai dispositivi approvati è quello della tutela della posizione della donna: oltre alle già ricordate previsioni volte a facilitare la ratifica e l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne (M5S, PD), va segnalata la costante condanna dello sfruttamento della donna portatrice, ove presente, ma anche la richiesta dell’impegno del Governo “ad affermare in ogni atto e in ogni sede nazionale ed internazionale il riconoscimento del principio di responsabilità e libertà di scelta delle donne nella procreazione, anche attraverso iniziative per il contrasto di ogni eventuale forma di pratica sommersa e clandestina a causa dell’impossibilità di accedere alla gestazione per altri/e” (così il dispositivo della mozione SEL).

Merita infine di essere affrontato separatamente il riferimento, contenuto nel dispositivo della mozione Rosato (PD), della mozione Spadoni (M5S) e della mozione Lupi (NCD-AP), al par. 115 del Rapporto sui diritti umani approvato dal Parlamento europeo con la risoluzione 2015/2229. Tale paragrafo afferma che il Parlamento europeo “condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani”.

Si tratta di un riferimento di interpretazione non facile, anzitutto perché il paragrafo richiamato è inserito in un rapporto assai corposo, e nella parte di esso specificamente dedicata al contrasto della violenza contro le donne: pertanto, la sua lettura non può essere scissa dal resto del documento, al fine di individuare correttamente la ratio della condanna, che si iscrive chiaramente nel quadro della lotta allo sfruttamento della donna. Ciò è dimostrato, a livello testuale, dal secondo periodo del paragrafo, laddove si collega chiaramente la necessità di proibizione della maternità surrogata alle sole ipotesi di “sfruttamento riproduttivo” e di “uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere”, con specifico riferimento al caso della “donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo”. E, a ben vedere, il Parlamento europeo non avrebbe potuto orientarsi diversamente, se sol si considera che esistono Stati membri dell’Ue che regolano la pratica della g.p.a., adeguatamente tutelando la posizione di tutti i soggetti coinvolti, ivi compresa in primo luogo la donna (Regno Unito, Paesi Bassi, Grecia e Danimarca).

Allo stesso tempo, se la mozione Lupi impegna il Governo a “dare attuazione” al deliberato del P.E., le mozioni Rosato e Spadoni si limitano a prevedere la necessità di “avviare un confronto” sulla base del medesimo testo, con la significativa precisazione – contenuta nella mozione Rosato – che tale confronto debba avvenire “a fronte” del divieto contenuto nella legge n. 40/2004. “A fronte”, che non significa “sulla base”, o “a partire da” e sembra individuare, piuttosto, la possibilità di aprire uno spazio di riflessione anche su un eventuale superamento del divieto “secco” di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004, proprio a partire dalla coscienza della complessità del fenomeno, della presenza – nel mondo – di diversi modelli disciplinari e, soprattutto, nell’ottica di mettere davvero al riparo le donne e i minori da ogni ipotesi di sfruttamento (così dando attuazione a quella che sembra essere, per le ragioni esposte, l’effettiva ratio del deliberato del Parlamento europeo).

* Ricercatore – RTDB, Università di Roma “Sapienza”