Il Tribunale di Genova sulla “sterilizzazione coatta” delle persone transessuali
13 aprile, 2015 | Filled under OPINIONI |
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A poche settimane dalle precedenti sentenze pubblicate da questo portale (della Corte d’appello di Napoli e dei Tribunali di Rovereto e Taranto nel 2013 e dei Tribunali di Potenza, di Vercelli, Messina e Catanzaro nel 2014, cui si aggiunge l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trento con ordinanza del 19 agosto 2014, oltre alla recentissima decisione della Corte europea dei diritti umani del 10 marzo 2015), è stato reso noto un ulteriore provvedimento, questa volta del Tribunale di Genova, sentenza del 5 marzo 2015 (per la cui segnalazione ringraziamo gli avv. Liana Maggiano del foro di Genova e avv. Valentina Migliardi del foro di Parma) che torna ad occuparsi della possibilità di addivenire alla rettificazione anagrafica di sesso anche per chi non abbia intrapreso un intervento chirurgico demolitorio degli organi genitali esterni.
La considerevole produzione giurisprudenziale, cui si associa anche il recentissimo intervento del Parlamento europeo, pure menzionato in questo portale, evidenzia la sussistenza di un concreto fenomeno sociale che concerne sempre più persone che si identificano col sesso biologico opposto, si sentono, si vestono, appaiono quali membri dell’altro sesso e la cui identificazione con l’altro sesso biologico è certificata da un punto di vista medico, la quali tuttavia non presentano alcuna necessità clinica di radicali interventi demolitori. Come certificato dalla scienza medica, la identificazione di genere non implica in questi casi un impulso conflittuale e di rifiuto nei confronti dei propri organi genitali. Nonostante la limpida situazione medica, psicologica e sociale di tali soggetti, un orientamento giurisprudenziale risalente nega tuttavia a queste persone la rettificazione dei dati anagrafici, imponendo di girare per il mondo, cercare lavoro, frequentare uffici, scuole, ambulatori medici ecc.. con documenti anagrafici che non corrispondono in alcun modo, oltre che alla loro intimità, al loro aspetto esteriore ed al loro ruolo sociale. Tale indirizzo è espresso sulla base di una lettura “originalista” della legge del 1982, che impone a costoro di risultare anagraficamente appartenenti al sesso biologico originario, salvo procedere ad un intervento di “sterilizzazione coatta”. Come noto, il Parlamento europeo con Risoluzione in data 12 marzo 2015, nell’ambito di una ampia ricognizione delle pratiche lesive dei diritti umani, ha stigmatizzato tale posizione, ritenendola lesiva dei diritti umani ed invocando la «messa al bando della sterilizzazione quale requisito per il riconoscimento giuridico del genere».
Come detto, negli ultimi anni sempre più tribunali italiani hanno preso distanza da tale indirizzo, dando atto di come la legge del 1982 non contenga alcuna precisa prescrizione sul punto e come nel bilanciamento fra gli interessi in gioco debba avere necessaria prevalenza il diritto alla salute ed alla identità della persona, assicurati dalla Costituzione. Il caso posto all’attenzione del Tribunale di Genova, è da questo punto di vista paradigmatico.
I giudici osservano, difatti, che «nel caso in esame la documentazione medica in atti conferma l’attuale presenza di caratteri fisici e psicologici femminili», risultando «più che provata» la condizione psico-sessuale della persona, la quale si identifica certamente nel genere femminile, assumendone le sembianze, ma non presenta alcuna necessità clinica di intraprendere un difficile e anche pericoloso trattamento chirurgico di demolizione dei propri caratteri sessuali primari. Rileva, pertanto, il tribunale come, posta la detta condizione psicosessuale della persona, «il mancato adeguamento a detta condizione ostacolerebbe il pieno sviluppo della sua personalità, oltre che i suoi rapporti interpersonali e sociali».
Rileva, allora, il Collegio che «l’unica questione che merita un ulteriore approfondimento è costituita dalla possibilità di procedere alla richiesta rettifica, senza un precedente intervento chirurgico per il completo adeguamento dei caratteri sessuali. Il Collegio ritiene di poter accogliere anche tale richiesta, confermando tale interpretazione già assunta da altri tribunali, per esempio dal Tribunale di Roma e dal Tribunale di Rovereto. Innanzitutto si deve ritenere che il dato letterale della normativa in esame consente tale interpretazione, prevedendo in effetti che l’intervento debba essere autorizzato in via preventiva solo quando necessario, senza comunque specificare se per carattere sessuali debbano intendersi quelli primari o quelli secondari e sino a che punto debbano essere modificati. Si deve aggiungere poi che anche per la predetta interpretazione costituzionalmente corretta, la lettura della stessa normativa deve risolversi in tale senso, onde consentire la coerente attuazione del diritto alla propria identità sessuale in senso ampio e compiuto. In conclusione si deve precisare che nei casi come indubitabilmente quello in esame, di transessualismo accertato, il trattamento chirurgico è necessario nella misura in cui occorre assicurare all’interessato uno stabile equilibrio psicofisico, qualora la discrepanza tra psicosessualità ed il sesso anatomico determini nello stesso interessato un negativo atteggiamento conflittuale di rifiuto nei confronti dei propri organi genitali, mentre nei casi in cui non si riscontri tale conflittualità non si deve ritenere necessario l’intervento chirurgico per consentire la rettifica dei dati anagrafici. Nel caso in esame, come già detto, l’attuale percorso psicologico di parte attrice sicuramente non solo consente, ma impone l’accoglimento della richiesta, mentre la sua situazione fisica, ma anche psicologica, sconsiglia e comunque non rende necessario un ulteriore intervento».