Sommarie considerazioni su un ricorso per Cassazione sulla trascrizione di un atto di nascita con due madri
29 novembre, 2015 | Filled under OPINIONI |
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di Elena Falletti*
Non è consueto che venga commentato un atto di impugnazione della Procura Generale della Repubblica in Cassazione di una sentenza emanata dalla Corte d’appello (provvedimento del 5 marzo 2015). Si tratta di un atto di parte e pertanto è prassi che esso rimanga riservato. Tuttavia, visto l’interesse sollevato dall’oggetto di questa impugnazione, esso merita attenzione.
Nello specifico, si tratta della sentenza d’appello che ordina al Comune di Torino la trascrizione dell’atto di nascita rilasciato dal Comune di Barcellona (Spagna) di un minore nato da una coppia madri coniugate secondo la legge spagnola. La cónyuge italiana ha donato l’ovulo, successivamente concepito con la fecondazione eterologa e impiantato nella cónyuge spagnola, pertanto il bambino, cittadino spagnolo, può definirsi quale figlio di entrambe le madri: figlio biologico della madre italiana e figlio legale di quella spagnola che l’ha partorito. A seguito dell’ottenimento del certificato di nascita è stata richiesta la sua trascrizione nel registro degli atti di stato civile del Comune di Torino, essendo questo l’ultimo comune di residenza della madre biologica prima del suo trasferimento in Spagna. Di fronte a tale domanda, il preposto ufficio comunale dapprima chiese irritualmente un parere pro-veritate alla Procura della Repubblica, invece che all’Avvocatura di Stato, organo competente per l’attività consultiva di questa natura, successivamente ebbe a negare la trascrizione. Tale provvedimento è stato impugnato di fronte al Tribunale di Torino, che ha confermato il diniego. Al contrario, la Corte d’Appello sabauda ha effettuato una rivoluzionaria apertura stabilendo che l’atto di nascita spagnolo vada trascritto nel registro di stato civile poiché deve aversi prioritario riguardo all’interesse superiore del minore (art.3 L. 27.5.1991 n 176 di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, di New York 20.11.1989). Tale principio viene ribadito in ambito del diritto dell’Unione Europea, con particolare riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere in materia di rapporti tra genitori e figli, dall’art. 23 del Reg CE n 2201\2003, il quale stabilisce espressamente che la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto dell’interesse superiore del figlio. Infatti, non si tratta di introdurre ex novo una situazione giuridica inesistente ma di garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da diverso tempo, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due donne che la legge di un altro Stato, la Spagna, riconosce entrambe come madri.
Le obiezioni della Procura si concentrano su due elementi principali: l’ordine pubblico interno che verrebbe violato dalla trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato da una fecondazione doppiamente eterologa rispetto alla partoriente, e la contrarietà di questa stessa trascrizione al diritto naturale sancito dalla Costituzione.
Sotto il primo profilo il Procuratore Generale critica i richiami effettuati dai giudici d’appello alla protezione del preminente interesse del minore, sottolineato anche dalla decisione Menesson contro Francia della Corte europea dei diritti dell’uomo, richiamando la sentenza della Corte di cassazione 24001/2014, pubblicata l’11 novembre 2014. A questo proposito, la Procura Generale rileva come la Corte d’appello di Torino non avesse potuto prendere in considerazione la citata decisione 24001/2014 in quanto successiva alla data della deliberazione dei giudici sabaudi. In questa decisione i giudici rammentano, infatti, che la surrogazione di maternità è espressamente proibita dall’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, e che tale divieto è rafforzato da sanzione penale, poiché la surrogazione di maternità consiste in una attività contraria all’ordine pubblico interno, in ragione della tutela costituzionalmente garantita alla dignità umana della gestante, e tenuto conto che, nel superiore interesse del minore, l’ordinamento giuridico affida la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di legame biologico con il nato solo all’istituto dell’adozione – che gode delle garanzie del procedimento giurisdizionale – e non al mero accordo fra le parti.
La Procura Generale parrebbe sostenere che come il divieto di maternità surrogata, anche l’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita a persone dello stesso sesso è di ordine pubblico. Infatti, la sentenza 24001/2014 concerne la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore entrato in Italia con i genitori committenti, tra l’altro eterosessuali e coniugati, che non avevano alcun rapporto biologico con il minore nato da surroga di maternità, con conseguente nullità del contratto di surrogazione anche secondo quanto previsto dalla legge del luogo ove la surrogazione è stata portata a termine, cioè la legge ucraina. Nel caso in esame, seppure concepito in vitro con il contributo eterologo di gameti maschili, il bambino spagnolo è figlio biologico della donatrice dell’ovulo, che secondo la legge spagnola è cónyuge della madre che l’ha partorito. Manca quindi l’elemento volitivo in frode alla legge sull’adozione, poiché entrambe le donne attraverso l’utilizzo delle tecniche artificiali, hanno contribuito ciascuna individualmente al progetto genitoriale di coppia. Occorrerebbe verificare preliminarmente se la fattispecie in esame sia una surrogazione di maternità in senso proprio, poiché i materiali genetici ovvero biologici femminili e la conduzione della gravidanza sono interni alla coppia, coniugata secondo la legge del luogo ove il fatto è avvenuto, cioè la legge spagnola. Scartata sotto un profilo meramente fattuale siffatta ipotesi, occorrere verificare il bilanciamento tra tutela dell’ordine pubblico interno e tutela del miglior interesse del bambino, principio di ordine pubblico internazionale, e se è ragionevole che il primo prevarichi il secondo.
Come è noto, successivamente alla menzionata sentenza della Corte di cassazione italiana, nel gennaio 2015, il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani proprio in una ipotesi del tutto identica a quella sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione (Corte europea dei diritti umani, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli contro Italia, che ha condannato l’italia per la violazione della Convenzione in materia di protezione della “vita privata” e della “vita familiare”). Di tale specifica circostanza il ricorso della Procura generale non fa menzione alcuna. È vero che la sentenza della Corte di Strasburgo è stata impugnata dall’Italia avanti alla Grande Camera, ma appare quantomeno singolare che nel citare i precedenti giurisprudenziali successivi alla decisione della Corte d’appello di Torino non sia stata presa in considerazione una decisione proveniente addirittura dalla Corte europea dei diritti umani. Ulteriormente, la Procura ritiene che l’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di persone dello stesso sesso sia di ordine pubblico, ma sostenere che tale divieto, effettivamente tuttora contenuto nella legge 40/2004, sia di ordine pubblico, lascia quanto meno perplessi. Si deve infatti osservare come se sia vero, per un verso, che tale divieto sia allo stato sopravvissuto alla scure della giurisprudenza costituzionale in quanto non è stata mai proposta alcuna eccezione di costituzionalità con riguardo a tale specifico divieto (non risulta, difatti, che allo stato sia mai stato promosso una causa da parte di una coppia dello stesso sesso cui sia stato rifiutato l’accesso alla fecondazione eterologa), tuttavia, non può non rammentarsi come la Corte europea dei diritti umani abbia in diverse sentenze reiteratamente dichiarato illegittimo, in quanto violativo dei diritti umani, ogni differenziazione di trattamento fra le coppie eterosessuali e le coppie omosessuali con riguardo alla materia della filiazione. Anche di tale giurisprudenza il ricorso della Procura Generale non fa alcuna menzione.
A parere della Procura Generale l’unico interesse tutelabile è quello della difesa dell’ordine pubblico interno, inteso in senso conservativo e garantito dall’ampio margine di apprezzamento riconosciuto dalla stessa Corte europea dei diritti umani. Tuttavia, tale prospettiva omette di prendere in considerazione la posizione del minore nato da questo rapporto.
Seppure la Procura Generale si riferisca ampiamente alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, essa dimentica che nella stessa decisione Menesson la Corte di Strasburgo si pone nella prospettiva del minore nato da surrogazione di maternità affermando che la violazione del diritto alla vita familiare è integrata in capo a lui, non ai suoi genitori committenti. Infatti, parrebbe necessaria la tutela del principio di continuità degli status legittimamente ottenuti all’estero, in particolare quando si tratta di minori. Seppure la Corte di Strasburgo riconosca il margine di apprezzamento a favore degli Stati aderenti alla CEDU per quel che concerne le sanzioni ai genitori, parimenti non è possibile rivendicare la medesima libertà d’azione per quel che concerne la situazione dei figli, soprattutto quando presentano un legame biologico con uno dei genitori, anche quando gli Stati vietino la pratica. Gli Stati aderenti alla CEDU non possono ignorare o trascurare l’interesse del minore a vedere riconosciuto il proprio diritto all’identità, alla cittadinanza e alla sua protezione in altre situazioni giuridiche di stampo civilistico come in ambito ereditario, sanitario, educativo e così via. Sempre sotto siffatto profilo, la Procura Generale parrebbe dimenticarsi del riconoscimento di tali status all’interno dei Paesi Membri dell’Unione Europea, in considerazione della libertà di circolazione delle persone, e degli atti giuridici che le riguardano, elemento fondamentale e costitutivo della stessa Unione.
Analizzando le motivazioni della Corte d’appello, il Procuratore Generale contesta, altresì, la stessa ragione essenziale del provvedimento, ove i giudici torinesi avevano rilevato la necessità di “garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due mamme che la legge riconosce entrambe come madri”. Rileva al riguardo la Procura Generale come tali considerazioni “sembrano attribuire allo stato di fatto la rilevanza che non può avere, trattandosi della soluzione di una questione di carattere giuridico”. Sembra sfuggire in tale considerazione come la valutazione della Corte d’appello abbia avuto ad oggetto un giudizio squisitamente giuridico in ordine all’interesse del minore a mantenere la relazione genitoriale con i due soggetti che, sin dal suo concepimento, avevano assunto tale funzione nei suoi confronti. Non pare vi sia stata una indebita attribuzione di rilevanza ad uno stato di fatto, ma vi sia stata da parte dei giudici la corretta sottolineatura di come, da quella situazione di fatto, emerga un interesse specifico del minore che non può essere messo a tacere. Non è chi non veda, difatti, il dramma che potrebbe vivere un bambino ove fosse sottratto alla persona che sin dal suo concepimento, dalla sua nascita, dai primi mesi ed anni di vita si è preso cura di lui. La situazione di fatto rilevata dalla Corte d’appello, infatti, attiene ad un bambino che ha sempre chiamato questa persona “madre” e che da questa è sempre stata considerata come figlio.
Ulteriormente, la Procura Generale sostiene essere antitetico e quindi contrario all’ordine pubblico nazionale e internazionale il provvedimento spagnolo che riconosce la doppia maternità. Questo punto dell’impugnazione è criticabile, anche alla luce della decisione 24001/2014. Infatti, davvero è contrario all’ordine pubblico internazionale un provvedimento giuridico emanato da un paese con il quale si condividono principi comuni, non solo essendo la Spagna un paese di forte tradizione cattolica, giuridicamente legato alla tradizione romanistica di civil law, ma soprattutto facenti insieme parte di organizzazioni sovranazionali come Unione Europea e Consiglio d’Europa? L’unica differenza riguarda la tempestività del legislatore spagnolo rispetto a quello italiano nel recepire le evoluzioni sociali e giuridiche avvenute tra i consociati, sulla base in primis della constatazione che sono i mutamenti sociali a plasmare il diritto e non il diritto a ostacolare l’evoluzione della società; oltremodo sottolineando che non sempre è madre colei che partorisce, nonostante il noto richiamo legislativo. Infatti, la Corte costituzionale con la nota sentenza 162/2014 ha dichiarato l’incostituzionalità della c.d. fecondazione eterologa, legittimando anche la donazione di ovociti, cioè proprio quanto avvenuto la circostanza avvenuta nel caso in esame. Alla luce di ciò parrebbe che l’ordinamento italiano abbia superato il presupposto delle necessità dell’apporto genetico ai fini dell’attribuzione legale della maternità, mantenendo tuttavia in vigore quello della gravidanza e del parto, in virtù di una condanna insuperabile del fatto che il corpo femminile verrebbe messo a disposizione per soddisfare un bisogno (di maternità) altrui, indipendentemente che questo sia adempiuto a titolo oneroso o gratuito. Tuttavia, va osservato che questa ipotesi non verrebbe integrata nel caso in esame, poiché il progetto genitoriale è autodeterminato liberamente all’interno della coppia. Altresì va sottolineato che nella stessa giurisprudenza italiana vi è un precedente non troppo risalente che in materia di surrogazione di maternità riconosce un ruolo specifico alla genitorialità sociale. Si tratta della nota decisione della Corte d’Appello di Bari del 13 febbraio 2009, secondo cui, tra le altre motivazioni, qualora i legami affettivi instauratisi tra il genitore sociale e i minori nati da surroga di maternità si siano consolidati in una situazione di convivenza e affetto protratto per diversi anni non possono considerarsi violativi dell’ordine pubblico, interno o internazionale, costituendo essi un aspetto rilevante nella crescita e nella formazione della personalità dei minori, anzi rappresentativo per eccellenza del concetto di best interest del minore da tutelare. Altrettanto rilevante parrebbe essere in materia la nuova disciplina sullo status unico della filiazione ai sensi dell’art. 315 c.c., seppure la stessa non venga menzionata nell’impugnazione, né venga esaminato ripercussioni essa potrebbe avere sul caso in esame in considerazione del legame biologico tra la madre donatrice e il figlio.
Infine, il Procuratore Generale della Repubblica di Torino ribadisce come la trascrizione dell’atto di nascita del minore spagnolo sia contrario all’ordine pubblico “formato da quell’insieme di principi, desumibili dalla Carta costituzionale o comunque fondanti l’intero assetto ordinamentale siccome immanenti ai più importanti istituti giuridici quali risultano dal complesso delle norme inderogabili, principi del quale fa parte, certamente, anche quello inerente la nozione di filiazione quale discendenza da persone di sesso diverso” e come pertanto da ciò derivi “un principio fondamentale, addirittura immanente, perché discendente dal diritto naturale” fra persone di sesso diverso, si deve rilevare come la mera rappresentazione di una circostanza fattuale, attinente dunque alla realtà dei fatti, non può essere logicamente trasposta in una regola giuridica, relativa al dover essere, senza che si produca una evidente discrasia logica. Inoltre, anche nella fecondazione artificiale, in particolare in quella eterologa, ci si discosta da questo dato di “natura”. Si tratta di una argomentazione apodittica e stereotipata, che cerca giustificazione esclusivamente nella propria genericità e maschera un evidente, seppur implicito, attaccamento alla tradizione, messa in crisi dall’evoluzione scientifica e tecnologica. Infatti, il Procuratore Generale trascura di prendere in considerazione le evidenze e le conseguenze dello sviluppo tecnologico e dei suoi effetti sociali. Ignorare, ovvero girarsi dall’altra parte, in relazione a tali evidenze, richiamando poi un concetto tanto vago quanto stereotipato perché legato a valori legati al passato, costituisce un discutibile orientamento che contribuisce, dato il prestigio dell’organo, a rendere il sistema giuridico inadeguato, se non refrattario, alla disciplina degli effetti dell’evoluzione tecnologica. Infatti, la proibizione per contrarietà all’ordine pubblico “naturale” certo non impedisce alla scienza e alla tecnologia di evolversi, nonché ai consociati di utilizzare tali tecnologie, nel proprio Paese o altrove. Per sottolineare quanto forte sia il legame stereotipato tra “natura” e tradizione”, si possono ricordare i numerosi istituti giuridici che si fondavano su un presunto legame con il diritto naturale, ovvero l’ordine naturale delle cose, come ad esempio la schiavitù (notoriamente istituto iuris gentium secondo il diritto romano), ovvero la sottoposizione della donna al predominio maschile, tradizione di cui ancora oggi si fa fatica a liberarsi. Il riferimento alla natura nel contesto del ricorso in questione fa riferimento a una realtà sociale legata alla procreazione quale necessario elemento per la trasmissione del patrimonio familiare alle generazioni successive. Parlando dell’oggi, grazie a tale sviluppo tecnologico, che si riflette nei profili sociale e giuridico, l’identificazione tra tradizione e natura viene poco a poco svelata. Infatti, si è già avuto modo di riflettere a questo proposito affermando che i termini utilizzati nel testo costituzionale italiano come “Società naturale”, “eguaglianza morale e giuridica”, “coniugi” sono concetti che non vanno intesi storicamente, come richiami a un preteso diritto naturale, ma attualizzati nel contesto vivente della società. Infatti, la Carta costituzionale deve vivere di autonomia propria e consistere in un ponte tra le generazioni passate e future che in essa si riconoscano e ne condividano i valori. Né si deve attribuire ai suddetti concetti una sfumatura legata al genere dei consociati che accedono al matrimonio o alla filiazione poiché la “natura” in se stessa è inclusiva, non esclusiva, essendo riconducibili in essa tutti i viventi.
Alla luce di ciò, davvero si possono ripetere le argomentazioni dell’atto del Procuratore Generale di fronte al minore, e cioè affermare che non è rilevante, di fronte all’ordine pubblico interno, il fatto stesso della sua esistenza?
*Ricercatore confermato in diritto privato comparato, Università Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza, Varese