Corte d’Appello di Milano: no alla trascrizione, ma lettura aperta dell’art. 29
10 novembre, 2015 | Filled under italia, matrimonio, NEWS, trascrizione |
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Con decisione del 15 marzo, depositata il 9 novembre 2015, la Corte d’Appello di Milano, sezione delle persone, dei minori e della famiglia, ha confermato la decisione del Tribunale di Milano del luglio 2014 che aveva respinto il ricorso ex art. 95 DPR 396/2000 presentata da due uomini, già sposati nel 2012 in Brasile e successivamente coniugati nel 2013 con matrimonio civile in Portogallo, avverso il rifiuto di trascrizione dell’atto di matrimonio opposto dall’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano.
La decisione della Corte d’Appello, seppure negativa, si contraddistingue per alcuni elementi innovativi.
Viene ammesso, innanzitutto, l’intervento ex art. 105, comma 2, c.p.c. (su cui il Tribunale non si era espressamente pronunciato) dell’associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI-Rete Lenford, rilevando che trattasi di soggetto terzo rappresentativo per statuto degli interessi dei cittadini LGBTI, il quale vanta un interesse che lo legittima ad intervenire in giudizio.
Con riguardo al merito, la Corte osserva che la diversità di sesso pur non essendo espressamente enunciata fra i requisiti richiesti per la celebrazione del matrimonio, può desumersi quale presupposto implicito alla luce di una lettura sistematica del quadro giuridico di riferimento, non potendo «condividersi l’approccio atomistico ai singoli articoli» proposto dai ricorrenti, i quali osservavano come il legislatore del 1942 non avesse introdotto la diversità di sesso tra i requisiti elencati all’articolo 84 c.c.. Assume, difatti, la Corte meneghina che l’introduzione esplicita di tale requisito «sarebbe stata quasi un fuor d’opera, essendo quella diversità, nella realtà sociale, culturale e giuridica dell’epoca, un presupposto implicito dell’istituto matrimoniale». Ad avviso dei giudici d’appello, «la diversità di sesso, seppur non indicata espressamente agli articoli 84 e seguenti del codice civile tra le condizioni necessarie per contrarre matrimonio, trova riferimento in numerose altre norme la cui struttura richiama lessicalmente i due contraenti del matrimonio, indicati per l’appunto come “marito” e “moglie”, in una prospettiva di senso delle norme stesse (cfr. artt. 107, 108,143,143 bis e 156 bis c.c., e corrispondenti disposizioni relative ai casi di scioglimento del matrimonio). Si tratta di plurimi riferimenti normativi che escludono che quelle norme siano inclusive del matrimonio tra persone dello stesso sesso».
I giudici milanesi danno comunque atto della lettura del quadro normativo data dalla Cassazione nella sentenza 4184/2012, da cui ad avviso dei ricorrenti può desumersi «che il paradigma eterosessuale del matrimonio non risulti costituzionalizzato nell’articolo 29» e che «la qualificazione della famiglia come società naturale starebbe proprio ad indicare positivamente la sua naturale attitudine ad essere formazione sociale in continua evoluzione e che, per realizzare tale finalità, la stessa nozione di famiglia data dalla norma deve essere adeguata all’evoluzione delle regole sociali».
Ritengono, tuttavia, che, «pur valorizzando il contenuto di norma “aperta” attribuibile all’articolo 29, la cui regolazione normativa non è inesorabilmente legata alla definizione di matrimonio accolta dal legislatore del 1942, e riconducendo il paradigma eterosessuale sul piano della legislazione primaria, permane comunque l’effetto preclusivo costituito dall’attuale disciplina legislativa, costituzionalmente compatibile».
Dunque, l’effetto preclusivo deriva unicamente dalla legislazione ordinaria e, allo stato dell’arte, non può superarsi sulla base della normativa europea (eurounitaria o convenzionale), nonostante la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ampiamente e dettagliatamente richiamata, abbia certamente un «rilevante impatto evolutivo anche ai fini della valutazione dell’esistenza e validità nel nostro ordinamento di un matrimonio omosessuale».
La Corte, inoltre, esclude certamente che il matrimonio tra persone dello stesso sesso possa porsi in contrasto con l’ordine pubblico internazionale, rilevando semmai, in modo univoco, che «la previsione del matrimonio tra persone dello stesso sesso concretizza il riconoscimento di principi di uguaglianza e di non discriminazione e che tale rilievo, unitamente alle indicazioni normative e all’evoluzione giurisprudenziale più sopra richiamate, nonché al fatto che l’accesso delle coppie omosessuali al matrimonio è consentito da numerosi paesi dell’Unione Europea, e anche da Stati europei oltre i confini dell’Unione, inducono a ritenere che gli effetti del matrimonio omosessuale non contrastino con l’ordine pubblico internazionale» (corsivo aggiunto). La valutazione di non contrasto con l’o.p.i. è peraltro conforme a Corte di Cassazione, sentenza del 9 febbraio 2015 n. 2400.
Il matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso è, ad avviso dei giudici d’appello ed in conformità con la giurisprudenza di legittimità, «esistente e valido», ma non è «idoneo a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, e, perciò, nemmeno trascrivibile».
Si tratta della conferma di un aperto conflitto fra la giurisdizione ordinaria – di merito e di legittimità- ed i giudici del Consiglio di Stato, che hanno affermato in una recente e davvero assai discutibile sentenza di avere una preferenza (?) per la categoria della «inesistenza» del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ciò affermando senza motivazione alcuna e contraddicendo apertamente la Suprema Corte, peraltro, in una materia, quella dei diritti soggettivi, che non rientra nella loro giurisdizione.
Tornando alla decisione milanese, i giudici affermano, invece, citando la Corte di Cassazione, che «la questione della trascrivibilità o meno del matrimonio tra persone dello stesso sesso, contratto all’estero da cittadini italiani, “..dipende dalla soluzione della più generale questione.. se la Repubblica Italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso.. il diritto fondamentale di contrarre matrimonio..”».
Posto che «il matrimonio tra coppie dello stesso sesso non corrisponde alla tipologia del matrimonio delineato nel nostro ordinamento», è dunque respinta l’impostazione delle difese dei ricorrenti e dell’associazione intervenuta, per cui sarebbe possibile trascrivere come atto dello Stato Civile un atto che non ha natura di «matrimonio» per la legislazione (ordinaria) nazionale. Ad avviso dei giudici la pure «possibile produzione di effetti», anche in Italia, del matrimonio validamente celebrato all’estero attiene a «ipotetiche questioni di mero fatto» che, pare comprendere, andrebbero risolte sul piano pratico con mezzi diversi dalla trascrizione (quali?). Rilevano inoltre i giudici «che la questione della libera circolazione negli stati europei non è direttamente influenzata dalla trascrizione del matrimonio, trovando soluzione nelle disposizioni del D.Lgs 30/2007, a norma del quale lo stato di coniugio non deve essere valutato secondo il diritto del nostro paese, quale stato ospitante, ma secondo l’ordinamento straniero in cui il vincolo è stato contratto». Tale affermazione, tuttavia, smentisce per un verso l’affermata “inidoneità” del matrimonio a produrre “quasiasi effetto” nell’ordinamento italiano, mentre appare assai dubbio, per altro verso, che la libertà di circolazione dei cittadini e delle loro famiglie sia assicurata dal solo rilascio del permesso di soggiorno, posto che arrivando in Italia vi è la contestuale integrale perdita di ogni ulteriore diritto connesso allo status di coniuge (o di genitore).
Essendo, a quanto è dato capire, indisponibile l’apertura del matrimonio per via giudiziaria, secondo quanto avvenuto invece di recente in America, la quale concretizzerebbe secondo i giudici d’appello «il riconoscimento di principi di uguaglianza e di non discriminazione», non resta che prendere atto che la trascrizione si porrebbe oggi in contrasto con «il principio di tipicità delle attività dell’ufficiale dello stato civile e degli atti oggetto di trascrizione» e che il suo impedimento scongiura un «quadro di incertezza non compatibile con l’assetto e la funzione della trascrizione».
Tutto chiaro e molto logico. Salvo che resta da capire come, dopo la condanna dell’Italia per la violazione dei diritti umani delle persone gay e lesbiche – i.e. della loro «vita familiare»-, i giudici intendano garantire oggi tale diritto in un ordinamento in cui, allo stato, l’unico istituto disponibile è quello del matrimonio civile.
La certezza dell’istituto della trascrizione, verrebbe da dire, è salva, e non possiamo che compiacercene, ma il quadro giuridico è tutt’altro che coerente, posto che i diritti fondamentali di milioni di cittadini restano in un quadro di assoluta incertezza, e questo è e resta un problema anche per chi esercita la giurisdizione.