Lo stop della High Court australiana: le motivazioni della sentenza che ha bocciato il Marriage Equality Act
15 febbraio, 2014 | Filled under internazionale, matrimonio, OPINIONI, orientamento sessuale |
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Con la sentenza n. 55 del 12 dicembre 2013 la High Court of Australia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge che dal 7 dicembre 2013 consentiva il matrimonio nel territorio della capitale australiana, Canberra. La battuta d’arresto é motivata esclusivamente su questioni inerenti alla ripartizione dei poteri tra lo Stato federale ed i territori federati, che non hanno competenza in materia di definizione del matrimonio. Secondo la Corte, l’eventuale apertura del matrimonio é di competenza del Parlamento federale.
di Daniele Papa*
1. Premessa
Il Marriage Equality Act, approvato dall’Assemblea legislativa dell’Australian Capital Territory – ente territoriale dello Stato federale australiano (d’ora in avanti ACT) – ha legalizzato il same sex marriage. Dal 7 dicembre 2013 è stato così possibile celebrare le prime nozze gay in Australia.
Tale atto normativo è stato oggetto di accesi dibattiti in ambito politico e nell’opinione pubblica, che hanno portato alla sua impugnazione. Già durante l’avanzamento dell’iter legislativo, il Governo federale aveva manifestato la propria contrarietà all’introduzione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nel Paese, dichiarando che avrebbe utilizzato tutti gli strumenti giuridici a disposizione per impedirla. Così la legge è stata subito portata al vaglio della High Court of Australia da parte del Solicitor-General of the Commonwealth per verificarne la costituzionalità.
2. Il processo 2.1. L’impugnazione da parte del Commonwealth
Il ricorrente ha sostenuto l’illegittimità del Marriage Equality Act perché incompatibile col Marriage Act del 1961, nonché col Family Act del 1975, entrambe leggi federali.
Nell’atto d’impugnazione si è evidenziato che la normativa nazionale, ritenuta violata, era stata emanata con lo scopo di uniformare la disciplina matrimoniale in tutto il territorio della federazione e questa – come recentemente modificata dal Marriage Amendment Act del 2004 – riserva l’accesso al matrimonio alle sole coppie eterosessuali.
Con l’adozione del Marriage Act, sarebbe stata quindi definitivamente preclusa agli enti territoriali la possibilità di legiferare nella materia matrimoniale e pertanto la legge dell’ACT sarebbe incompatibile con la section 51(XXI) della Costituzione australiana, che annovera tra le materie di competenza del Parlamento federale il matrimonio.
Per il ricorrente, si sarebbe dovuta applicare la section 28 dell’Australian Capital Territory (self-government) Act del 1988, che prevede l’inefficacia delle norme dell’ACT incompatibili con la legge federale. A ulteriore e decisivo sostegno della propria tesi, ha inoltre richiamato la section 109 della Carta fondamentale australiana, che ha costituzionalizzato la prevalenza della legge federale su quella degli Stati federati.
2.2. La difesa dell’Australian Capital Territory
L’ACT ha difeso la legittimità del proprio atto normativo, sostenendo che né il Marriage Act né il Family Act abbiano imposto l’attribuzione della materia matrimoniale in via esclusiva al Legislatore Statale. A suo giudizio, la legislazione federale non riconosceva ma neppure proibiva il matrimonio egualitario.
Il Marriage Act disciplinerebbe solamente l’istituto matrimoniale eterosessuale, come definito nella section 5, ma non escluderebbe altre possibili unioni non ancora disciplinate dalla normativa federale. Essa avrebbe espressamente proibito solo la riconoscibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero.
Secondo la difesa dell’ACT il Marriage Equality Act non sarebbe incompatibile col Marriage Act, poiché le due leggi avrebbero ambiti di applicazione differenti. La prima interverrebbe a regolamentare un’ipotesi di matrimonio non disciplinata dal Legislatore federale. Quest’ultimo avrebbe lasciato una lacuna per quanto riguarda i same sex marriage ma ciò non significa che abbia voluto vietarli. Il meccanismo previsto dalla section 28 dell’ACT (Self – government) Act non sarebbe pertanto azionabile.
3. La sentenza
Il 12 dicembre 2013, con la sentenza n. 55, l’Alta Corte australiana ha dichiarato incostituzionale – all’unanimità – il Marriage Equality Act. Per la High Court la legge dell’ACT non può operare in via concorrente con il Marriage Act del 1961, poiché sono incompatibili.
Il matrimonio cui fa riferimento la Costituzione alla section 51(XXI) riguarda un’unione consensuale tra due persone fisiche, nel rispetto dei requisiti prescritti dalla legge. La Carta fondamentale non osterebbe di per sé all’introduzione delle nozze same sex, ma il Marriage Act, novellato nel 2004, ha previsto quale ulteriore requisito, per la validità del matrimonio, la diversità di sesso dei nubendi, disponendo altresì l’impossibilità di riconoscere i matrimoni gay celebrati all’estero.
Il Marriage Act ha natura comprensiva ed esaustiva della materia matrimoniale e il Marriage Equality Act è incostituzionale perché mira ad introdurre il matrimonio egualitario contrariamente a quanto stabilito dalla legge federale. Sono legittimi, invece, eventuali interventi normativi volti ad introdurre forme di riconoscimento giuridico delle coppie gay diverse dal matrimonio. Spetta, quindi, al Parlamento federale decidere se introdurre il same sex marriage, modificando l’attuale legge matrimoniale.
La Corte ha dichiarato l’inefficacia della normativa impugnata, non la nullità; se, dunque, il Legislatore federale dovesse adottare – in futuro – una nozione gender neutral di matrimonio, la legge attualmente incostituzionale tornerebbe in vigore.
La High Court ha infine condannato l’ACT alla rifusione delle spese di lite.
4. Conclusioni
Al termine di questa breve disamina, si può affermare che la High Court australiana ha riconosciuto agli Stati membri il potere di legiferare in materia di unioni civili, che sono consentite, ma la produzione legislativa degli stessi non può spingersi fino a contrastare il disposto della legge federale. Spetta, dunque, al Parlamento nazionale decidere se modificare il vigente Marriage Act per consentire l’introduzione del same sex marriage nell’ordinamento australiano.
Sebbene la Corte non l’abbia affermato espressamente, alla dichiarazione d’inefficacia del Marriage Equality Act consegue necessariamente l’invalidità delle nozze tra persone dello stesso sesso già celebrate, per l’evidente contrasto con la legge federale vigente al momento della celebrazione.
La pronuncia della High Court of Australia è diversa dalla sentenza della Corte costituzionale italiana (n. 138 del 2010). Mentre la decisione australiana ha dichiarato inefficace il Marriage Equality Act per ragioni che riguardano il riparto delle competenze tra Stato ed Enti federati, diversamente – secondo parte della dottrina – il nostro Giudice delle leggi avrebbe ravvisato nella stessa Costituzione il paradigma eterosessuale del matrimonio, precludendo così la possibilità di introdurre le nozze tra persone dello stesso sesso, ad articolo 29 invariato. La Consulta avrebbe invece riconosciuto a tali unioni la tutela dell’art. 2 Cost., affidando al Parlamento l’onere di prevedere delle forme di riconoscimento giuridico, diverse però dal matrimonio. Va comunque evidenziato che altra parte della dottrina – suffragata dalla recente giurisprudenza di legittimità – ritiene, invece, che la Corte costituzionale si sia limitata a negare la possibilità di introdurre il matrimonio same sex in via interpretativa, mentre il Legislatore avrebbe comunque la possibilità di riconoscerlo, anche senza la preventiva modifica della Carta costituzionale.
* Specialista nelle professioni legali e Cultore della materia presso la Cattedra di diritto costituzionale – Università di Ferrara
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