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La Corte Suprema dà (implicitamente) il via libera alla celebrazione dei matrimoni same-sex in cinque Stati: uno stringato order che ha il sapore di una decisione storica

Con una decisione fulminea, assolutamente inattesa con tanto tempismo, la Corte Suprema degli Stati Uniti non ha ammesso i ricorsi presentati da cinque Stati (Indiana, Oklahoma, Utah, Virginia e Wisconsin) contro la rimozione del divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Così facendo, la Corte non ha assunto una decisione definitiva sulla compatibilità del divieto di matrimonio con la Costituzione federale, che porterebbe all’apertura del matrimonio in tutti gli Stati Uniti d’America, ma ha deciso di non interferire, al momento, con i processi in corso nei singoli Stati. La decisione, comunque, ha effetti davvero dirompenti. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, ben 39 sentenze emesse da varie Corti avevano annullato le leggi statuali che definivano il matrimonio come unione fra uomo e donna (per la raccolta delle decisioni, con le massime in italiano, vedi www.articolo29.it/diritto-comparatodecisioniorientamento-sessualematrimonio). Con la decisione della Corte Suprema di non interferire con queste decisioni, passano così da 19 (California, Connecticut, Delaware, Hawaii, Illinois, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, Minnesota, New Hampshire, New Jersey, New Mexico, New York, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont e Washington) a 24 gli Stati americani in cui il matrimonio è già accessibile a tutti e tutte e, soprattutto, si crea un precedente che porterà a sicure decisioni conformi in altri Stati (West Virginia, North Carolina, South Carolina, Kansas, Colorado e Wyoming).  A breve, quindi, sarà possibile sposarsi in ben 30 Stati su 50 (oltre che nel distretto della capitale, Washington DC). Ed ulteriori effetti sono attesi anche in altri Stati: uno stringato order che ha il sapore di una decisione storica.

di Angioletta Sperti*

Con uno stringato order[1], privo come di consueto di motivazione, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha negato ieri il certiorari delle pronunce di tre Corti di Appello federali le quali, negli scorsi mesi, hanno unanimemente concluso per l’illegittimità costituzionale di alcuni divieti statali di celebrazione e di riconoscimento dei matrimoni same-sex. La decisione della Corte Suprema riguarda, in particolare, i ricorsi presentati contro le sentenze delle Corti di appello del IV, VII e X Circuit, relative – rispettivamente – all’illegittimità costituzionale dei same-sex marriage bans in vigore in Virginia[2], Indiana [3], Wisconsin[4], Utah[5] e Oklahoma[6].

In attesa della propria decisione sull’emissione o il diniego del certiorari, negli scorsi mesi la stessa Corte Suprema aveva sospeso (stay) gli effetti delle pronunce delle tre Corti di Appello: il certiorari denial ha, dunque, come primo effetto immediato la possibilità per le autorità statali di dar seguito alle sentenze.  A distanza di poche ore dalla decisione della Corte Suprema, infatti, l’Attorney General dello Stato della Virginia (che aveva peraltro sostenuto di non voler difendere in giudizio il same-sex marriage ban in vigore nel proprio Stato) ha dichiarato che “i matrimoni possono allora cominciare”: i primi matrimoni sono pertanto già stati celebrati in tutti gli Stati direttamente interessati dall’order della Corte Suprema[7].

Ulteriori sviluppi sono, tuttavia, attesi nei prossimi giorni: poiché, com’è noto, le Corti di appello federali esercitano la propria giurisdizione su un territorio assai vasto che comprende più Stati, le cinque sentenze di appello costituiranno sostanzialmente un precedente vincolante anche in altri Stati. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso ed il diritto al riconoscimento dei matrimoni conclusi in altri Stati saranno pertanto concessi anche in Colorado, Kansas, North Carolina, South Carolina, West Virginia, Wyoming (dove peraltro, negli scorsi mesi, già alcune corti federali di primo grado hanno concluso per l’illegittimità costituzionale degli state bans).

Il diritto delle coppie dello stesso sesso di unirsi in matrimonio diverrà, dunque, prossimamente realtà in 30 dei 50 Stati degli Stati Uniti. Tuttavia, il diniego di certiorari della Corte Suprema  potrebbe avere ricadute positive anche al di fuori dei tre circuiti di Corte di Appello oggi direttamente coinvolti dall’intervento della Corte Suprema. Poiché  il certiorari denial equivale ad un implicito via libera da parte della Corte Suprema alla celebrazione dei matrimoni same-sex nei 7 Stati sopra citati, esso potrebbe essere inteso come un segnale positivo anche verso le numerose pronunce delle corti federali e statali di primo grado che negli ultimi mesi hanno unanimemente concluso per l’illegittimità costituzionale dei divieti dei matrimoni tra persone dello stesso sesso adottati, a partire dalla metà degli anni Novanta, in più di trenta Stati degli Stati Uniti. Prime indicazioni in tal senso sembrano, infatti, venire dalle dichiarazioni rese da alcune autorità statali: l’Attorney general del Missouri, ad esempio, ha sostenuto alcune ore fa di non voler impugnare la sentenza di una corte federale di primo grado che ha giudicato incostituzionale il same-sex marriage ban in vigore nel proprio Stato[8].

Occorre ricordare che al momento altre Corti di Appello federali sono in procinto di pronunciarsi sui ricorsi proposti contro analoghe sentenze a favore del diritto delle coppie omosessuali di contrarre matrimonio: fra queste, ad esempio, c’è la Corte di Appello del IX Circuit che comprende (oltre alla California dove il matrimonio same-sex è stato ammesso dalla Corte Suprema con la decisione del caso Hollingsworth v. Perry[9]) anche Alaska, Arizona, Idaho, Montana, and Nevada. Si può ipotizzare, quindi, un positivo effetto persuasivo dei recenti sviluppi giurisprudenziali, soprattutto se si tiene conto del fatto che, ad oggi (al di fuori di un singolo caso) nessuna corte (federale o statale) ha concluso per la legittimità costituzionale dei divieti posti dalle costituzioni statali ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Con ciò, tuttavia, non si intende negare che un secondo intervento della Corte Suprema sul tema del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ad un anno dalla sentenza nel caso United States v. Windsor[10], sarebbe stato sicuramente auspicabile: in quella pronuncia infatti, la Corte Suprema – pur dichiarando incostituzionale il Defence of Marriage Act (DOMA) nella parte in cui definiva, ai fini del diritto federale, il matrimonio come unione tra un uomo e una donna, aveva evitato di pronunciarsi sull’art. 2 della legge che consente agli Stati di non riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso conclusi in altri Stati dell’Unione. L’emissione del writ of certiorari avrebbe, quindi, consentito alla Corte Suprema di fare esplicita e definitiva chiarezza sulla questione della legittimità costituzionale dei divieti statali di celebrazione e di riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. La Corte Suprema avrebbe così potuto riconoscere pienamente i diritti delle molte coppie dello stesso sesso che vivono in Stati in cui il loro diritto al matrimonio non ha ancora trovato pieno riconoscimento.

È possibile ipotizzare che sulla scelta della Corte Suprema di non intervenire abbia influito proprio l’unanimità di vedute tra le corti, sia statali che federali, circa l’illegittimità costituzionale degli state bans. Tra i motivi che, infatti, inducono la Corte Suprema a concedere il certiorari vi è, infatti, in base alla Rule 10 of the Supreme Court, anche l’ipotesi del conflitto tra decisioni delle Corti federali di appello su una stessa questione di particolare importanza. Lo stesso giudice della Corte Suprema Ruth Ginsburg aveva, infatti, dichiarato poche settimane fa che non vi era “urgenza” di un intervento della Corte Suprema sulla questione, a meno che una Corte di appello federale non si fosse pronunciata, in dissenso con altre Corti di appello, nel senso della costituzionalità di un divieto statale di matrimonio same-sex.

Per il momento, dunque, non resta che auspicare che la scelta compiuta ieri dalla Corte Suprema, nella consapevolezza delle conseguenze che ne sarebbero immediatamente derivate, stia ad indicare che un suo futuro intervento non potrà che condividere la tesi dell’illegittimità costituzionale dei divieti statali dei matrimoni same-sex.

* Ricercatrice presso l’Università di Pisa dove insegna “Libertà costituzionali”

[1] http://www.supremecourt.gov/orders/courtorders/100614zor.pdf.

[2] Schaefer v. Bostic, Corte di Appello del IV Circuit, docket n. 14-225 sentenza del 28 luglio 2014 vedi la massima qui.

[3] Bogan v. Baskin, Corte di Appello del VII Circuit, docket n. 14-277 .

[4] Walker v. Wolf, Corte di Appello del VII Circuit, docket n. 14-278 .

[5] Herbert v. Kitchen, Corte di Appello del X Circuit, docket n. 14-124.

[6] Smith v. Bishop, Corte di Appello del X Circuit, docket n. 14-136 .

[7] Per un live report sugli sviluppi si rinvia al sito www.freedomtomarry.org.

[8] Il caso è Barrier v. Vasterling.

[9] Hollingsworth v. Perry (n. 12-144), 2013 U.S. LEXIS 4919.

[10] United States v. Windsor, 133 S. Ct. 2675 (2013).

[whohit] SPERTI order USA 6 ottobre 2014 [/whohit]