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Adozione negli U.S.A. da parte della co-madre: il tribunale minori di Bologna invia gli atti alla Corte costituzionale

Con ordinanza in data 10 novembre 2014 il tribunale per i minorenni di Bologna ha sollevato d’ufficio eccezione di illegittimità costituzionale della normativa vigente nella parte in cui non consentirebbe il riconoscimento di una adozione legittimante effettuata all’estero nell’ambito di una famiglia fondata da una coppia dello stesso sesso regolarmente coniugata negli U.S.A.. La parola passa, dunque, ancora una volta alla Corte costituzionale.

di Marco Gattuso

Il fatto.

Nell’ambito di una famiglia che da qualche anno vive in Italia, a Bologna, fondata da due donne che hanno convissuto da oltre 20 anni, che si sono unite nel 2008 in civil partnership negli U.S.A. e che sono legalmente sposate dal 2013, la mamma sociale (o co-mamma, termine forse preferibile) chiede al tribunale il riconoscimento della sentenza statunitense del 22 gennaio 2004 che ha disposto l’adozione piena della minore, figlia biologica della sua partner. La co-madre che agisce ha doppia cittadinanza, italiana e statunitense, mentre la bambina è cittadina degli U.S.A. e per quell’ordinamento è, dunque, legalmente figlia di entrambe le madri da oltre dieci anni.

In diritto

Come noto, i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili ai sensi dell’art. 41 della legge 31 maggio 1995 n. 218 (legge sul diritto internazionale privato), il quale richiama gli artt. 64, 65 e 66 e, al suo 2° comma, fa salve le disposizioni speciali in materia di adozione di minori, di cui agli artt. 35, 36 della legge 4 maggio 1983 n. 184 (legge sull’adozione). In particolare, l’art. 36, 4° comma della legge adozioni prevede, per l’adozione pronunciata ad istanza di cittadini italiani in un paese straniero, un procedimento di riconoscimento semplificato con competenza del tribunale per i minorenni.

Nell’ordinanza del 10 novembre 2014, il tribunale per i minorenni di Bologna rileva, innanzitutto, come a suo avviso nella specie debbano trovare applicazione sia gli artt. 64, 65 e 66 che le disposizioni speciali sul riconoscimento di provvedimenti di adozione stranieri di cui agli artt. 35, 36 della legge 4 maggio 1983 n. 184 e come nella specie risultino rispettati, in ogni caso, tutti i presupposti di natura procedurale relativi alla correttezza del processo svolto negli Stati Uniti d’America con riguardo al diritto di difesa (così come risulta sussistente il presupposto del soggiorno continuativo dell’adottante, cittadina italiana, per almeno due anni nel paese straniero).

Il tribunale ritiene, inoltre, che risulti rispettato anche il principio della non contrarietà all’ordine pubblico, posto che in seguito alla sentenza della Corte di cassazione n. 4184 del 2012 si deve escludere che i legami familiari tra persone dello stesso sesso (ed i loro figli) formalizzati all’estero siano contrari all’ordine pubblico internazionale (per un refuso il tribunale parla di o.p. “interno”). Rileva, difatti, il tribunale come «la coppia formata da persone dello stesso sesso è, comunque, da considerare come “famiglia”», come ritenuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle recenti sentenze Schalk e Kopf c Austria  e X e altro c Austria , di talché, «a ben vedere, si “sgretola” allora uno dei principali motivi che ostava al riconoscimento, in Italia, di un legame familiare tra un minore e due genitori omosessuali: che il rapporto tra i medesimi urtasse contro l’ordine pubblico interno. Così più non è e certo non potrà più essere».

Il Collegio remittente ritiene, nondimeno, di non potere procedere al riconoscimento della sentenza americana, poiché «l’adozione perfezionatasi all’estero può essere dichiarata efficace in Italia a condizione che risponda ai requisiti previsti dalla normativa interna (artt. 35, 36 IV comma l. 184/1983)» ed assume pertanto che nella specie sia ostativo il disposto di cui all’art. 6 della legge n. 184 del 1983 per cui l’adozione legittimante è consentita solo ai «coniugi uniti in matrimonio» ed il disposto di cui all’art. 44 lett. B per il quale anche l’adozione non legittimante o “lieve” presuppone la sussistenza di un coniugio fra adottante e genitore biologico. Poiché, allo stato, il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero sarebbe privo di effetti nel nostro Paese, la coppia de qua non è allora, per il nostro Paese, sposata. Per conseguenza non vi sarebbe, ad avviso del tribunale, il presupposto ammesso dalla legge italiana tanto per l’adozione legittimante ex art. 6 che per quella non legittimante ex art. 44 lett. B.

Il principio per cui sarebbe precluso il riconoscimento di sentenze straniere che ammettano l’adozione legittimante per i single o per coppie non sposate è stato affermato, in effetti, anche di recente dalla Corte di Cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 3572 del 14/02/2011; v. anche Sez. 1, Sentenza n. 6078 del 18/03/2006) che ha chiarito come «la disposizione di cui all’art. 36, quarto comma, della legge 4 maggio 1993, n. 184 (…) non ha introdotto alcuna deroga al principio generale enunciato nell’art. 35, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 citata, secondo il quale la trascrizione nei registri dello stato civile italiano dell’adozione di un minore pronunciata all’estero con effetti legittimanti non può avere mai luogo ove “contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori”» e come tra tali principi vi sia anche «quello secondo cui l’adozione legittimante è consentita solo “a coniugi uniti in matrimonio”, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983». Si deve osservare, tuttavia, come tale presupposto sembrasse superato proprio dal tribunale per i minorenni di Bologna che con una coraggiosa ed innovativa decisione del 2013 aveva riconosciuto ad ogni effetto in Italia l’adozione (piena, o legittimante) di una minore, effettuata negli Stati uniti da parte di una cittadina italiana single (Tribunale per i Minorenni di Bologna, decreto del 21 marzo 2013) di cui ha dato notizia di recente proprio questo sito – con grande eco sulla stampa nazionale – con commento di Elisa Battaglia, Tribunale minori di Bologna: riconosciuta l’adozione da parte di una single effettuata negli Stati uniti.

Tale preclusione, in ogni caso, è oggi affermata dal tribunale (in diversa composizione) ed è tuttavia ritenuta sospetta di illegittimità costituzionale sotto due diversi profili.

La decisione

Il tribunale rileva, innanzitutto, come nella specie «la sola omosessualità dei genitori, ostacola in modo assoluto alla famiglia formatasi all’estero, di continuare ad essere “famiglia” anche in Italia». Poiché la Corte costituzionale con la sentenza n. 138 del 2010 ha affermato che resta «riservata alla corte costituzionale la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni», il tribunale bolognese rileva come appaia «innegabile che la condizione dei coniugi di stesso sesso, i quali – dopo la formazione di una famiglia “in modo legale” all’estero – intendano proseguire nella loro vita di coppia, pur dopo il trasferimento in Italia, sia riconducibile a quella categoria di situazioni “specifiche” e “particolari” di coppie dello stesso sesso, con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento della Corte Costituzionale per il profilo di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore». Ne consegue un primo profilo di illegittimità per violazione degli artt. 2 e 3 Cost..

Per altro verso, la preclusione del riconoscimento della sentenza straniera de qua appare al tribunale in conflitto con l’interesse del minore e, per conseguenza, in violazione degli artt. 2, 30 e 31 Cost. e del parametro interposto di cui all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani. Rileva, infatti, il tribunale come «il veto assoluto di riconoscibilità della decisione straniera cancella in modo netto ed irrazionale la possibilità, per il giudice italiano, di condurre un vaglio giudiziale sull’effettivo best interest del minore, vanificando principi di matrice internazionale ed europea» con un contrasto con il canone sancito dalla stessa Corte costituzionale per cui si debbono «escludere quegli automatismi che elidono la responsabilità genitoriale senza consentire al giudice di verificare in che modo debba essere presidiato l’interesse del fanciullo» (il tribunale rammenta la sentenza della Corte costituzionale 23 febbraio 2012 n. 31). Poiché, inoltre, non è dubbio che nella specie sia in gioco il diritto alla «vita familiare» della minore, il tribunale richiama anche il parametro interposto dell’art. 8 Cedu, rammentando altresì la nota sentenza della Corte di Strasburgo nel caso Wagner c Lussemburgo che ha accertato come il rifiuto di riconoscere la sentenza straniera di adozione legittimante rappresenti una violazione di tale norma.

Ne consegue, per il tribunale, il sospetto di illegittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983 «nella parte in cui – come interpretati secondo Diritto vivente – non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponde all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso)».

Alcune considerazioni

La parola, dunque, passa come detto ancora una volta alla Corte costituzionale. È encomiabile lo sforzo del tribunale di dare tutela a quella che viene definita, senza reticenze, una famiglia. Eppure, per qualche profilo, l’ordinanza merita qualche notazione.

Come s’è visto, il tribunale non richiama il proprio recente precedente nel quale aveva affermato la riconoscibilità della sentenza straniera che disponeva l’adozione legittimante da parte di un single. Il tribunale evita nella specie di considerare la co-mamma “autonomamente” e non come moglie della madre biologica, evitando così di pronunciarsi espressamente sulla possibilità di riconoscere l’adozione da parte del single ammessa all’estero. In realtà, a ben vedere, l’adozione americana – a quanto è dato sapere dalla lettura del provvedimento – è stata disposta con sentenza del 2004, prima del riconoscimento del matrimonio same-sex in quel Paese (allora era riconosciuto, da pochi mesi, nel solo Massachusetts) e ben prima, soprattutto, del matrimonio fra le due mamme, avvenuto nel 2013, per cui tecnicamente oggetto del giudizio appare il riconoscimento di una sentenza avente ad oggetto l’adozione da parte di una single (adozione – con effetti, in quel Paese, legittimanti – del figlio biologico del partner non coniugato) e non l’adozione nell’ambito di coppia coniugata. Posto che oggetto del giudizio proposto dal giudice remittente appare la legittimità costituzionale delle norme italiane nella parte in cui non consentono «il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore», tale slittamento potrebbe forse esporre a qualche rischio di inammissibilità del ricorso (per difetto di rilevanza: la decisione sulla denunciata inostituzionalità delle norme non inciderebbe sulla fattispecie de qua, concernente il riconoscimento dell’adozione da parte di una persona singola, ammessa ben prima del matrimonio e senza che questo abbia mutato lo status della minore).

Si deve dire, ad ulteriore chiarimento, come oggetto del giudizio di costituzionalità appaia, secondo la prospettazione del tribunale bolognese, la previsione relativa al riconoscimento dell’adozione piena o legittimante dichiarata all’estero, effettuata nell’ambito di una coppia sposata all’estero, il cui matrimonio è ritenuto privo di effetti in Italia in quanto contratto fra persone dello stesso sesso. Esula, allora, del tutto dall’oggetto del giudizio la valutazione del legame tra la bambina e la co-mamma, sotto il diverso profilo dell’adottabilità a norma dell’art. 44 lett. D della legge n. 184 del 1983. Il tribunale bolognese, investito ex art. 36, 4° comma legge n. 184 del 1983 della questione della riconoscibilità dell’adozione legittimante, non ha ritenuto infatti, stante la diversità  ontologica tra una sentenza che riconosce uno status costituito all’estero e la sentenza ex 44 lett. D costitutiva dello status ex novo sulla base della valutazione dei presupposti di fatto nella loro attualità, di potere e/o dovere estendere la propria valutazione all’eventuale sussistenza dei presupposti per l’adozione cd. lieve ex art. 44 lettera D fondata non sul rapporto di coniugio ma, esclusivamente, sulla stabile relazione di fatto fra adottante ed adottato. Il tribunale, infatti, ha osservato che nella specie non «viene in rilievo la creazione ab interno di un legame familiare tra un minore e una coppia omogenitoriale» poiché «si tratta di valutare se, a determinate condizioni, possa essere valutata come riconoscibile quella che ab externo si è già formata».

Dunque esula del tutto dall’oggetto del giudizio il riconoscimento giuridico del consolidato rapporto di fatto costituito tra la co-madre e la figlia per il quale, come noto, un recente indirizzo inaugurato dal tribunale per i minorenni di Roma ha affermato senz’altro l’applicabilità dell’art. 44 lett. D della legge n. 184 del 1983. Ne consegue che la prospettata questione di illegittimità costituzionale è del tutto ininfluente rispetto all’oggetto del procedimento romano (attualmente pendente avanti alla Corte d’Appello di Roma) e nel caso di specie, in ipotesi di mancato riconoscimento della sentenza straniera, tale strada, per la minore, resterà ancora aperta.

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