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Sì alla protezione in Italia per i gay provenienti da Paesi dove l’omosessualità è reato

Le persone omosessuali hanno «il diritto di manifestare e attuare senza timore» il proprio orientamento sessuale ed hanno diritto ad ottenere lo status di rifugiato in Italia se sono esposte nel loro Paese a rischi di gravi persecuzioni giudiziarie o fisiche a causa della previsione di sanzioni penali per «condotte contro natura».

Lo ha deciso la Corte d’appello di Bari con l’importante decisione del 5 marzo 2013, riformando la decisione del tribunale che aveva respinto la richiesta di un cittadino gambiano di riconoscimento della protezione internazionale in Italia in ragione del rischio di persecuzioni nel suo paese a causa del suo orientamento sessuale.

È significativo il ribaltamento dell’impostazione della Commissione e del giudice di primo grado che avevano ritenuto che l’astratta previsione di una sanzione penale per «condotte carnali contro  natura» (art. 144 del codice penale del Gambia) non fosse rilevante in quanto «in Gambia gli atti omosessuali, benché punibili, non sarebbero di fatto perseguiti». La Corte d’appello, per contro, rimanda sul punto alla recente giurisprudenza della Corte di cassazione che ha ritenuto che il divieto di espulsione verso uno Stato nel quale lo straniero possa subire persecuzioni operi sempre quando sia previsto come reato il compimento di atti sessuali, senza che sia necessaria anche la concreta emanazione di una condanna nei confronti del ricorrente (ordinanza del 20 settembre 2012 n. 15981). Per la Corte, la concomitanza tra leggi penali ed i «proclami esagitati» contro i gay del presidente golpista al potere dal 1994, non possono «non determinare in un omosessuale un grave timore di persecuzione, al di là delle valutazioni della Commissione e del tribunale». Secondo la Corte pugliese, infatti, «già la minaccia di una sanzione penale, che può realizzarsi anche solo a seguito del discrezionale abbandono dell’asserita prassi discrezionale di tolleranza, costituisce infatti motivo di timore e di compromissione della libertà personale dei gay».

La Corte d’appello, inoltre, mostra di non avere per nulla condiviso le asserzioni della Commissione territoriale e del Tribunale che avevano posto in dubbio sia l’omosessualità del richiedente che il concreto pericolo di persecuzioni ritenendo che il racconto del medesimo non fosse sufficientemente provato; rileva invece la Corte d’appello l’attendibilità del racconto svolto dalla persona, che pur non esperta di questioni giuridiche aveva reso un racconto «plausibile e non smentito da elementi di segno contrario», tenuto anche conto che svolgeva un’attività lavorativa (tassista per turisti) remunerativa e socialmente gratificante, così che l’emigrazione doveva ritenersi verosimilmente dovuta, dal punto di vista soggettivo, non a questioni economiche ma al timore di persecuzione personale. Rammenta inoltre la Corte come le prove debbano essere valutate nella specie alla luce dei principi connaturati a tale tipo di procedura, che come noto è disancorata dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria (cfr. Corte di Cassazione sul punto n. 20912 del 2011). (decisione segnalata dal dott. Giovanni Zaccaro)

Un’approfondita analisi della decisione di Dario Belluccio nel sito di Questione Giustizia.

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One Response to Sì alla protezione in Italia per i gay provenienti da Paesi dove l’omosessualità è reato

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