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Un nuovo passo avanti della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di discriminazioni delle coppe formate da persone dello stesso sesso

La Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma che ai sensi della direttiva 2000/78 è discriminatorio negare alla coppia omosessuale unita in un Pacs alcuni benefici legati all’attività lavorativa concessi alle coppie coniugate ed arriva a questa conclusione affermando che il diverso trattamento concreta una discriminazione diretta. Sinora la comparazione tra matrimonio ed unioni civili era stata prospettata dalla Corte solo nei confronti della Unione registrata tedesca, riservata alle coppie omosessuali, mentre oggi si afferma la discriminazione diretta, che non ammette giustificazioni, anche per i Pacs, aperti sia alle coppie gay che eterosessuali. Se il diritto al matrimonio non verrà uniformemente garantito negli Stati membri, ciò apre forse le porte anche a una successiva evoluzione che affermi la discriminazione diretta fra coppie coniugate e coppie di fatto formate fra persone dello stesso sesso.

di Carmelo Danisi*

 1. Il caso

Con la  decisione del 12 dicembre 2013 nella causa C 267/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de Cassation francese, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) torna a interpretare la direttiva 2000/78 rispetto a una presunta discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Come è noto, tale direttiva stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro rispetto a una serie di caratteristiche personali, o meglio fattori di rischio, quali disabilità, religione o convinzioni personali, età e orientamento sessuale. Essa si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, compresi tutti i benefici collegati all’attività lavorativa come, ad esempio, i giorni di congedo retribuiti. Proprio rispetto al godimento di questo particolare vantaggio e del premio di matrimonio riconosciuto ai colleghi coniugati, il sig. Hay, ricorrente nella causa principale, lamentava di aver subito una discriminazione vietata dalla direttiva 2000/78.

Dovendo concludere un PACS con il suo compagno, il sig. Hay chiedeva al Crédit agricole, presso il quale era impiegato dal 1998,l’attribuzione dei giorni di congedo straordinario e del premio di matrimonio previsto dal contratto collettivo[1]. Né uno né l’altro beneficio veniva però concesso perché, secondo l’azienda, non ricorrevano le necessarie condizioni trattandosi di un PACS e non di un matrimonio. Il giudice del lavoro di primo grado condivideva tale tesi: poiché il codice civile mantiene distinti il matrimonio dal PACS, i vantaggi richiesti non potevano essere estesi anche al lavoratore che si univa al suo compagno attraverso quest’ultimo istituto. A nulla rilevava il fatto che lo stesso lavoratore, in quanto omosessuale, non aveva altre alternative per il riconoscimento della sua unione al di là dello stesso PACS. Tale soluzione veniva confermata in appello sulla base della non comparabilità delle situazioni tra il ricorrente e il collega coniugato. Al di là delle differenze tra il PACS e il matrimonio (formalità di celebrazione, modalità di scioglimento, obblighi reciproci di diritto patrimoniale, di diritto successorio e di diritto di filiazione), la Corte di appello riteneva che i benefici richiesti non fossero legati all’attività lavorativa prestata, bensì alla differenza di status dei lavoratori posti a confronto. Il sig. Hay impugnava la sentenza dinanzi la Cour de Cassation perché, a suo avviso, una tale interpretazione escludeva unicamente le persone con un orientamento sessuale minoritario, le quali al momento dei fatti non avevano ancora accesso al matrimonio. La Cour de Cassation decideva pertanto di sospendere il giudizio al fine di chiedere in sostanza alla CGUE se un trattamento come quello riservato al ricorrente costituisse i) una discriminazione indiretta vietata dalla direttiva 2000/78 e ii) se fosse giustificata dalla scelta (legittima) del legislatore nazionale di riservare il matrimonio alle coppie di sesso diverso. 

 

2. La direttiva 2000/78 e la coppia dello stesso sesso nella giurisprudenza della CGUE

Già in passato la CGUE si era confrontata con la questione di benefici che, pur incidendo sulla vita di coppia dello stesso sesso al pari di quella coniugata, venivano negati al lavoratore omosessuale in mancanza del requisito del matrimonio. Il riferimento è ai casi Tadao Maruko[2] e Römer[3], entrambi aventi origine in Germania, paese in cui le coppie dello stesso sesso godono da tempo di un riconoscimento giuridico attraverso un istituto apposito del tutto analogo per diritti e doveri al matrimonio che, invece, rimane riservato alle coppie eterosessuali. Al fine di verificare gli aspetti innovativi del caso in esame, appare opportuno ricordare due profili di particolare interesse delle precedenti pronunce e le relative soluzioni proposte dalla CGUE.

2.1 Il beneficio in gioco e l’applicabilità della direttiva 2000/78

Il primo punto chiarito dalla CGUE nei casi precedenti riguarda l’ambito di applicazione della direttiva 2000/78. Sia il sig. Maruko che il sig. Romer, che avevano stretto con i loro rispettivi compagni un’unione civile registrata, lamentavano dinanzi alle corti tedesche di essere stati discriminati a causa del trattamento deteriore riservato nei loro confronti rispetto a quello garantito a coloro che erano coniugati. Nello specifico, il sig. Maruko chiedeva una pensione di vedovo presso l’ente previdenziale dei lavoratori dei teatri tedeschi il quale, tuttavia, respingeva la domanda poiché il suo statuto non prevedeva tale beneficio per i partner di unione solidale superstiti. Nel caso del sig. Romer, invece, la prestazione in gioco era il riconoscimento del ricalcolo dell’importo della pensione complementare di vecchiaia in base alla nuova condizione familiare in cui si veniva a trovare come conseguenza dell’unione civile registrata stretta con il suo compagno.

In entrambi i casi, pertanto, la CGUE ha dovuto innanzitutto verificare se una prestazione ai superstiti, concessa in base a un regime previdenziale di categoria come quello dei lavoratori teatrali tedeschi, e una pensione complementare, come quella rilevante nel caso Romer, potessero essere assimilati a una «retribuzione» ai sensi del diritto dell’UE e, in particolare, dell’art. 141 CE (art. 157 TFUE). Si ricorda che, ai sensi di questo articolo, con retribuzione si intende il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo. Se in ambedue i casi la negazione opposta dalle competenti autorità tedesche verteva sul fatto che il beneficio in questione era riconosciuto unicamente alle persone coniugate, sia il sig. Maruko sia il sig. Romer facevano valere che la prestazione era basata sull’attività lavorativa prestata. Non a caso il partner del sig. Maruko e il sig. Romer erano stati trattati allo stesso modo dei rispettivi colleghi eterosessuali rispetto a tale attività. Infatti, se il primo aveva versato regolarmente i medesimi contribuiti richiesti a coloro che risultavano iscritti all’ente di riferimento, il secondo aveva corrisposto ai fini della pensione complementare di vecchiaia quote di pari importo a quelle versate dai suoi colleghi coniugati. In tal senso si esprimeva anche la CGUE: le prestazioni richieste in entrambi i casi risultavano legate all’attività lavorativa svolta e non allo stato civile dei soggetti interessati. Di conseguenza, essendo assimilabili a una retribuzione, la direttiva 2000/78 trovava applicazione.

 

2.2 Discriminazione diretta o indiretta?

Il secondo profilo di interesse attiene a una delle questioni più dibattute rispetto all’applicazione della direttiva 2000/78 al fattore orientamento sessuale nella sua dimensione relazionale: la tipologia di discriminazione in gioco. Come è noto, la direttiva vieta non solo le discriminazioni dirette[4], ma anche le discriminazioni indirette[5]. Lo strumento europeo offre in tal modo una tutela piuttosto ampia che mira a combattere trattamenti apparentemente neutri ma che hanno l’effetto di porre le persone LGB in una situazione di svantaggio rispetto a coloro che si caratterizzano per un orientamento eterosessuale. Le conseguenze nel caso in cui si propenda per una soluzione piuttosto che per l’altra non sono trascurabili. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata in materia della CGUE, al fine di accertare una ipotesi di discriminazione diretta è necessario stabilire la comparabilità delle situazioni poste a confronto, anche se non è necessario che siano identiche. Inoltre, una discriminazione di questo tipo non può mai essere giustificata e la stessa direttiva 2000/78 prevede poche precise circostanze in cui è possibile derogare al principio generale della parità di trattamento. Nel caso delle discriminazioni indirette, invece, un trattamento che produca effetti sfavorevoli nei confronti di un gruppo accomunato da una delle caratteristiche protette dalla stessa direttiva, come ad esempio le persone LGB, può trovare  giustificazione ove persegua un fine legittimo attraverso mezzi appropriati e necessari.   

Con i casi Maruko e Romer la CGUE si esprimeva sul punto con una posizione abbastanza netta. Contrariamente a quanto avevano avanzato le difese dei ricorrenti, secondo i quali esisteva una discriminazione indiretta perché il beneficio veniva negato sulla base di un criterio neutro – il matrimonio – impossibile da soddisfare per le coppie same-sex, la Corte di Giustizia ha sempre optato per discriminazioni di tipo diretto con la conseguenza di dover verificare necessariamente la comparabilità delle situazioni poste a confronto[6]. Tale operazione è apparsa sin da subito condizionata dal contesto nazionale di riferimento. Infatti, nei casi Maruko e Romer si trattava di stabilire se due persone parte di un’unione civile registrata, riservata appunto alle sole coppie omosessuali, si trovassero in una condizione che fosse paragonabile a quella della coppia coniugata, necessariamente eterosessuale. A tal fine, però, la Corte non ha effettuato una comparazione globale dei due istituti all’interno dell’ordinamento tedesco, bensì ha focalizzato l’analisi specifica e concreta sui diritti e sugli obblighi dei coniugi e dei partner dell’unione civile registrata che risultavano pertinenti alla luce della finalità e dei presupposti di concessione dei benefici in gioco. In tal modo, la CGUE ha potuto affermare che le situazioni poste a confronto risultavano comparabili poiché le prestazioni richieste erano sostanzialmente funzionali al soddisfacimento dei bisogni della loro vita familiare, gravando sia sui partner dell’unione sia sui coniugi l’obbligo reciproco di prestarsi soccorso e assistenza e di contribuire in maniera adeguata alla vita in comune attraverso il loro lavoro e il loro patrimonio[7]. Se la negazione di tali benefici dava luogo a una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale, non si poneva più la questione della giustificazione del trattamento vietato ai sensi della direttiva 2000/78.

 

3. Le novità del caso e l’esame della questione pregiudiziale da parte della CGUE

Nel caso appena sottoposto all’attenzione della CGUE ritroviamo almeno due novità rispetto ai precedenti: da un lato, i benefici in gioco; dall’altro, soprattutto il contesto nazionale di riferimento.

Rispetto alla questione dell’applicabilità della direttiva, la CGUE non riserva sorprese. L’analisi si concentra su due particolari profili: contratto collettivo e benefici specifici in gioco. Per quanto riguarda il primo punto, la Corte afferma che anche le parti sociali sono tenute ad agire nel rispetto della 2000/78 se adottano misure che, disciplinando aspetti relativi all’occupazione e alle condizioni di lavoro, rientrano nell’ambito di applicazione di quest’ultima. In merito ai benefici richiesti, la CGUE ritiene che anche i congedi straordinari e il premio per il matrimonio previsti dal contratto collettivo del Crédit agricole rappresentano vantaggi accordati dal datore di lavoro al lavoratore in base all’attività prestata. Di conseguenza, così come le prestazioni negate in Maruko e Romer, essi sono assimilabili a una retribuzione ai sensi del diritto dell’Unione.

In merito al secondo elemento di novità, la Cour de Cassation non chiede alla CGUE se un trattamento come quello subito dal sig. Hay costituisca genericamente una discriminazione ma lo identifica già come una discriminazione di tipo indiretto, andando di conseguenza a focalizzare l’attenzione sulla giustificabilità di un siffatto trattamento. Il giudice del rinvio appare pertanto scartare sin dall’inizio l’ipotesi di una possibile comparabilità tra i ricorrenti e una coppia coniugata perché ritiene i benefici in gioco legati a un particolare istituto piuttosto che all’attività lavorativa degli interessati. Chiaramente per raggiungere tale conclusione fa leva sullo specifico contesto nazionale francese dove, prima dell’introduzione del matrimonio egualitario, le coppie same-sex potevano ottenere il riconoscimento della loro unione attraverso il PACS che, diversamente dal caso tedesco, è aperto anche alle coppie eterosessuali[8]. L’unica comparabilità, come presupposto di una discriminazione diretta, andava semmai rintracciata tra coppie omossessuali e coppie eterosessuali unite in un PACS. Poteva tale dato comportare un cambiamento nel ragionamento sviluppato dalla CGUE nei precedenti Maruko e Römer?

La risposta non può che essere negativa. Essendo libera di fornire tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per dirimere la controversia sottopostale, a prescindere se il giudice del rinvio vi abbia fatto o meno riferimento nel formulare la questione, la CGUE ha affermato che andava innanzitutto verificato se un trattamento come quello previsto dal contratto nazionale costituisse una discriminazione diretta o indiretta.

Interrogandosi sull’esistenza di una discriminazione diretta, la Corte ha stabilito l’elemento della comparabilità ricorrendo alla consueta analisi incentrata sui diritti e obblighi reciproci che caratterizzano il rapporto di una coppia coniugata rispetto a quelli derivanti da un PACS. A fini di tale esame giocano un ruolo centrale due elementi. Il primo è l’obiettivo cui mira un PACS, ovvero organizzare una vita in comune attraverso un aiuto materiale e un’assistenza reciproci. Il secondo, e particolarmente importante elemento, consiste nelle alternative a disposizione delle coppie dello stesso sesso per raggiungere il medesimo obiettivo. In effetti, non potendosi sposare al momento dei fatti che hanno dato origine alla causa principale, il PACS rappresentava l’unico strumento per ottenere il riconoscimento giuridico della loro unione. Poiché il congedo straordinario e il premio richiesto sono destinati al lavoratore che ottiene un simile riconoscimento, per la CGUE la situazione in cui si trovano le persone unite in un PACS e quelle sposate rispetto a tali benefici non può che risultare comparabile. Di conseguenza, escludere unicamente il lavoratore omosessuale che contrae un PACS dalla concessione delle prestazioni in gioco può dar luogo a una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale ai sensi della direttiva 2000/78.

Per la CGUE a nulla valgono le differenze più generali esistenti tra i due istituti. Infatti, nonostante il loro progressivo riavvicinamento rispetto a una serie di benefici destinati al lavoratore, sia attraverso accordi aziendali sia mediante il decreto del Ministro del Lavoro, dell’Occupazione e della Salute del 23 dicembre 2010[9], permangono differenze significative in rapporto ad altri aspetti che incidono sulla vita della coppia same-sex. Tra questi rientra sicuramente la pensione di reversibilità che, diversamente dal ragionamento sviluppato nel caso in esame dalla CGUE, secondo il Conseil constitutionnel non spetterebbe alle coppie omosessuali unite in un PACS perché si trovano in una situazione non analoga rispetto a quella in cui versano le persone coniugate[10].

Ma la Corte di Giustizia dice qualcosa di più. Infatti, per spazzare via ogni dubbio circa la sussistenza di una discriminazione indiretta, così come prospettata dal giudice del rinvio, la Corte dell’Unione afferma che “una disparità di trattamento fondata sullo status matrimoniale dei lavoratori, e non esplicitamente sul loro orientamento sessuale, è pur sempre una discriminazione diretta in quanto, essendo il matrimonio riservato alle persone di sesso diverso, i lavoratori omossessuali sono impossibilitati a soddisfare la condizione necessaria per ottenere i benefici rivendicati”. Il matrimonio non costituisce un criterio neutro ma più semplicemente, essendo negato alle persone omosessuali, esclude un intero gruppo caratterizzato da un preciso orientamento sessuale sul quale si fonda pertanto la diversità di trattamento.

Se questo è vero, la CGUE si confronta comunque con la questione della giustificazione di un simile trattamento[11]. Rispondendo alle sollecitazioni poste dal giudice del rinvio, la Corte riafferma da un lato l’impossibilità di giustificare qualsiasi discriminazione diretta secondo la sua giurisprudenza consolidata ma, dall’altro, rammenta la possibilità di deroga al principio della parità di trattamento se sussistono motivi legati alla sicurezza pubblica, tutela dell’ordine pubblico, prevenzione dei reati nonché tutela della salute, dei diritti e delle libertà altrui, così come stabilito dall’art. 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78.

 

4. Conclusioni

Con questa pronuncia la CGUE conferma l’interpretazione della direttiva 2000/78 in materia di trattamento delle coppie same-sex, seppur con alcuni aggiustamenti che tengono conto del contesto specifico in cui è sorta la causa in esame. Appare certamente uno sviluppo positivo aver avuto l’occasione per “esportare” un modello interpretativo che sembrava, almeno inizialmente, potersi applicare a pochi Paesi dell’Unione. Chiarendo gli elementi ai quali occorre far riferimento per determinare la comparabilità delle situazioni, la Corte ha posto sullo stesso piano le coppie omosessuali unite in un PACS e le coppie coniugate rispetto ai benefici richiesti. Utilizzando questi stessi elementi, oggi si può senz’altro ritenere che, in caso di negazione di un beneficio che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 per mancanza del requisito del matrimonio, il lavoratore LGB possa far valere una discriminazione diretta in tutti quegli ordinamenti in cui esista una forma di riconoscimento giuridico e nel contempo non sia ancora riconosciuto il diritto al matrimonio per le persone omosessuali. Se questo è vero, occorre comunque verificare caso per caso il tipo di beneficio in gioco e, nello specifico, se esso risulta funzionale all’unione contratta alla luce della necessità dei suoi membri di prestarsi reciprocamente aiuto materiale e assistenza nella loro vita comune.

Riconoscendo anche in questo caso una tutela al lavoratore LGB attraverso la direttiva 2000/78 per via della relazione tra le prestazioni richieste e l’attività lavorativa svolta piuttosto che al suo status[12], la CGUE sposta definitivamente l’esame dalla discriminazione indiretta e dalle sue possibili giustificazioni alle deroghe previste dalla stessa direttiva che con ogni probabilità faranno valere soprattutto gli Stati più restii a riconoscere pari diritti alle coppie dello stesso sesso. Infatti, per quanto tali deroghe vadano interpretate in senso restrittivo, si tratta pur sempre di uno spazio di manovra per quanti sono determinati a mantenere un trattamento differenziato fondato sull’orientamento sessuale rispetto alla concessione di benefici che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78[13]. Si fa comunque fatica a immaginare come la negazione al solo gruppo LGB di una pensione di reversibilità, per rimanere al caso francese e sempre che rientri nel campo di applicazione della direttiva attraverso la nozione di retribuzione, possa essere legittima alla luce di motivi quali sicurezza pubblica, tutela dell’ordine pubblico, prevenzione dei reati nonché tutela della salute, dei diritti e delle libertà altrui.

In ogni caso, laddove nessun tipo di riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale sia stata introdotta, la questione del trattamento differenziato potrebbe rimanere irrisolta a meno che l’analisi specifica e concreta sui diritti e doveri reciproci fatta proprio dalla CGUE rispetto a un particolare beneficio legato all’attività lavorativa possa essere applicata anche alle coppie di fatto[14]. In tal caso, la negazione di qualsiasi alternativa per l’accesso alla prestazione che incide sulla vita in comune giustificherebbe l’utilizzo dell’unione di fatto come termine di comparazione rispetto alla coppia coniugata[15]. In effetti, anche in questo caso, la finalità è quella di condurre una vita comune e prestarsi reciprocamente sostegno soprattutto laddove, ancora, non sia prevista alcuna forma di riconoscimento giuridico. Sarà forse questo il prossimo passo che compirà la CGUE per affermare la parità di trattamento se il diritto fondamentale al matrimonio continuerà a non essere uniformemente garantito alle persone con un orientamento sessuale minoritario negli Stati membri dell’Unione?

 

* Assegnista in diritto internazionale e dell’Unione europea – Università di Bologna

 


[1] Cfr. la Convention collective nationale du Crédit agricole, art. 20 («Congedi straordinari»: “sono accordati congedi retribuiti, a stipendio intero, nelle circostanze seguenti: (…) 3) Agenti titolari Matrimonio: – dell’agente: 10 giorni lavorativi”) e art. 34 («Premio di matrimonio»: “Ogni dipendente titolare riceverà al momento del proprio matrimonio un premio pari, per mese di presenza, a un trentaseiesimo dello stipendio mensile percepito il mese precedente il matrimonio»).

[2] CGUE, Tadao Maruko c. Versorgungsanstalt der Deutschen Buhnen, sentenza del 1 aprile 2008 .

[3] CGUE, Römer v. City of Hamburg, sentenza del 10 maggio 2011.

[4] Ai sensi dell’art. 2, paragrafo 2, lettera a) “sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga”.

[5] Ai sensi dell’art. 2, paragrafo 2, lettera b: “sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”).

[6] Cfr. CGUE, Maruko, cit. Sul tema, M. Bonini Baraldi, La pensione di reversibilità al convivente dello stesso sesso: prima applicazione della direttiva 2000/78/ce in materia di discriminazione basata sull’orientamento sessuale, in Famiglia e diritto, 2008, p. 667.

[7] CGUE, Römer, cit., para. 47-48.

[8] Cfr. art. 515-1 del Codice civile francese: “S’intende per [PACS] un contratto concluso tra due persone fisiche maggiorenni, di sesso diverso o del medesimo sesso, per organizzare la loro vita in comune”.

[9] Con tale decreto sono stati in particolare estesi i congedi per eventi familiari anche ai dipendenti uniti in un PACS

[11] Anche se appare inappropriato parlare di giustificazioni in riferimento ai motivi inseriti nella deroga prevista dalla stessa direttiva, il cui obiettivo è certamente diverso dalle prime.

[12] Cfr. B. Nascimbene, Unioni di fatto e matrimonio fra omosessuali, orientamenti del giudice nazionale e della Corte di giustizia, in Corriere giuridico, 2010, 101.

[13] Si pensi al trattamento differenziato rispetto alla stessa pensione di reversibilità, come rientrante nella nozione di retribuzione secondo la sentenza Maruko, ma ritenuto dal Conseil constitutionel insussistente per mancanza di comparabilità delle situazioni.

[14] Ad esempio, potrebbe essere il caso in cui il lavoratore omosessuale contrae matrimonio all’estero e il contratto di lavoro preveda come beneficio legato all’attività svolta un congedo straordinario. Qualora venga negato unicamente al lavoratore omosessuale che risulta impossibilitato a contrarre matrimonio o qualsiasi altra forma di riconoscimento giuridico della sua unione nel Paese di origine, soddisfatti i requisiti ricordati nella sentenza in esame, potrebbe aver luogo una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale vietata dalla direttiva 2000/78. Del resto, non si può non notare come in realtà sia in aumento il numero di aziende o enti che garantiscono tale beneficio: da ultimo si veda l’Università di Bologna, cfr. www.fattoquotidiano.it/2013/12/03/luniversita-di-bologna-da-il-congedo-matrimoniale-a-una-coppia-gay/799067/ .

[15] In tal senso potrebbero risultare particolarmente utili i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di vita familiare delle coppie dello stesso sesso. Cfr. tra le altre, Corte EDU, 2 marzo 2010, Kozak c. Polonia e 22 luglio 2010, P.S. e J.B. c. Austria. Su queste sentenze si rimanda a C. Danisi, Successione nel contratto di affitto: quale protezione per la famiglia tradizionale dopo il caso Kozak c. Polonia alla Corte di Strasburgo? in Famiglia e diritto 2010, 873; Id., Famiglia di fatto e unioni omosessuali, in Famiglia e Diritto, 2012, 953.

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