Corte di appello di Napoli, sentenza del 13 marzo 2015

La Corte d’Appello di Napoli
sezione persona e famiglia, riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati:
dott. Adele Viciglione Presidente rel.
dott. Alessandro Cocchiara Consigliere est.
dott. Annamaria D’Andrea Consigliere
letto il ricorso, depositato in data 14.10.14, con il quale La Delfa Giuseppina (nata il 27.1.1963, a Tourcoing, Francia, cittadina francese e iure sanguinis italiana) e Hoedts Raphaelle Louise Anna (nata il 12.7.1963 a Lille, Francia, cittadina francese), rappresentate e difese dall’avv. Alexander Schuster del foro di Trento e dall’avv. Giuseppe Di Meo (presso il quale elett.te domiciliano in Avellino, via Maffucci n. 12), hanno proposto, ex art. 739 c.p.c., reclamo avverso il provvedimento di rigetto della loro opposizione, ex artt. 95 e ss. d.p.r. n. n.396/2000, al rifiuto del Sindaco del Comune di Santo Stefano del Sole (AV), quale ufficiale dello stato civile, della trascrizione del matrimonio contratto a Tourcoing (Francia) il 5.10.2013, emesso dal Tribunale di Avellino in data 7.10.14, depositato il 9.10.14;
letta la memoria difensiva del reclamato Sindaco, quale ufficiale di Governo, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, via A. Diaz n.11, che ha chiesto il rigetto del reclamo;
letti gli atti e sentiti il relatore e i rispettivi procuratori delle parti, nonché il P.G. che, con articolato parere ha chiesto l’accoglimento del reclamo, sciogliendo la riserva di cui al verbale della camera di consiglio del 13.3.2015 (cui ha fatto seguito il decreto presidenziale in data 3.7.2015 di designazione dell’estensore in persona del dott. Cocchiara), ha emesso il seguente
DECRETO
Va premesso che l’eccezione di nullità del reclamo in quanto nella copia notificata all’Amministrazione mancherebbero quattro pagine, è infondata poiché la prima udienza di comparizione è stata differita e ciò ha consentito al reclamato di prendere posizione su tutte le questioni prospettate dal reclamante anche nelle (poche) pagine inizialmente non notificate, tanto da aver la difesa erariale depositato in data 20.2.2015 note illustrative (che richiamano la sentenza della Suprema Corte n. 2400/15 che nulla aggiunge di nuovo rispetto alle questioni affrontate da Cass. n.4184/12).
Il reclamante si duole innanzitutto della non pertinenza del provvedimento impugnato con il quale il primo giudice si è effettivamente limitato a trascrivere pedissequamente la sentenza della Corte Suprema n. 4184/12, inerente al diverso caso della non tracrivibilità negli atti dello stato civile del matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso.
E’ noto che la Corte suprema di cassazione (Cassazione civile , 15 marzo 2012, n.4184, sez. I), in dialogo con la Corte europea dei diritti dell’uomo e allineandosi alle sue precedenti aperture, ha sancito l’intrascrivibilità del matrimonio fra persone (italiane) dello stesso sesso celebrato all’estero, motivandola però non con l’inesistenza o l’invalidità dell’atto, ma con la sua inidoneità a produrre effetti nell’ordinamento.
Ed invero, la problematica affrontata dalla Corte europea (Cedu, sez. I, 24 giugno 2010 ric. n. 30141/04, Schalk and Kopf c. Austria ) concerneva la questione se persone dello stesso sesso potessero affermare di avere il diritto di contrarre matrimonio, risolta innovativamente (la Corte di Strasburgo aveva a lungo ritenuto che il dettato dell’art. 12 Cedu — ai sensi del quale « l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto » — si estendesse esclusivamente ai matrimoni contratti tra due persone di sesso opposto) con l’affermazione (dettata dalla presa d’atto di una sempre più consolidata tendenza delle legislazioni europee a riconoscere, sotto diverse forme, le unioni omosessuali; al momento della decisione, infatti, cinque Stati membri del Consiglio d’Europa avevano già esteso l’istituto matrimoniale alle coppie same-sex, mentre altri quattordici prevedevano altre forme di riconoscimento giuridico di tali unioni) dei seguenti principi: – in primo luogo, l’art. 12 della Convenzione, letto alla luce dell’art. 8 della Carta di Nizza, comprende il diritto al matrimonio di persone appartenenti allo stesso sesso. Tuttavia è la legislazione nazionale che può consentire o meno l’esercizio di tale diritto; – in secondo luogo, a norma dell’art. 14 della Convenzione – posto in relazione all’art. 8 della stessa Carta di Nizza, letti alla luce dell’evoluzione giuridica (frutto del mutare dei costumi sociali e del sentire sociale) intervenuta in diversi Stati membri dell’unione europea – la relazione di una coppia omosessuale deve rientrare nella nozione non solo di « vita privata » ma anche di « vita familiare ».
La Suprema Corte con la citata sentenza, ha aggiornato di conseguenza la posizione su cui si era attestata la Corte costituzionale. Infatti, la C. Cost. (sent. 15 aprile 2010 n. 138), pur giungendo sostanzialmente al medesimo risultato a cui sarebbe poi pervenuta la Corte di Strasburgo, era finita con l’appiattirsi su una rigida interpretazione storica dell’art. 29 Cost.: i costituenti intesero certamente la nozione di matrimonio per come era allora (e tuttora) disciplinata dal codice civile, ovvero non prendendo neanche in considerazione le persone dello stesso sesso; secondo la Corte, « questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica », chiarendo come la necessaria connotazione eterosessuale del matrimonio, così come inteso all’art. 29 cost., non rappresenta un’irragionevole discriminazione contraria all’art. 3 cost.; difatti, « le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio », offrendo, nel giustificare tale assunto, un’argomentazione (a dire il vero difficilmente sostenibile) secondo cui la « (potenziale) finalità procreativa del matrimonio […] vale a differenziarlo dall’unione omosessuale » (è stato osservato che è “difficilmente sostenibile perché nessuna norma di legge prevede la finalità, o anche solo la capacità procreativa, come requisito essenziale dell’istituto matrimoniale, al quale possono accedere anche persone sterili, anziane o transessuali . Inoltre, l’aggancio — già forzato sul piano logico — tra procreazione e matrimonio è stato recisamente negato dalla Corte di Strasburgo in passato”) . Recependo in toto l’orientamento formulato dai giudici di Strasburgo, la Cassazione riconosce infatti che sulla questione « se la coppia omosessuale rientri nella nozione di “vita familiare” nell’accezione dell’art. 8 della Convenzione […] la risposta della Corte [europea] è chiarissima. […] Questa estensione, alla coppia omosessuale stabilmente convivente, del diritto alla “vita familiare” costituisce coerente conseguenza del riconoscimento ai singoli componenti tale coppia, da parte della Corte europea, del diritto al matrimonio e del diritto a fondare una famiglia […] » (§ 3.3.4.B). Inoltre, la Suprema Corte ha chiarito, alla luce della sentenza della Corte europea, dell’evoluzione delle tradizioni giuridiche continentali e dell’interpretazione dei diritti previsti dalla Cedu, che « il diritto al matrimonio riconosciuto dall’art. 12 [Cedu] ha acquisito […] un nuovo e più ampio contenuto, inclusivo anche del matrimonio contratto da due persone dello sesso » (§ 3.3.4.A). In tale prospettiva non ha alcun fondamento « giusnaturalistico » il requisito della « differenza di sesso » tra i nubendi, che dipende pertanto da una mera scelta del legislatore nazionale. La Corte pertanto si è soffermata ex funditus, respingendola, sulla prospettata questione dell’inesistenza del matrimonio straniero tra coniugi dello stesso sesso, ma ha offerto spunti anche per respingere le osservazioni di chi ha definito « palese » la contrarietà del matrimonio straniero tra persone dello stesso all’ordine pubblico italiano. Il concetto di « ordine pubblico » (internazionale), com’è noto, incorpora i « principi fondamentali » che caratterizzano l’ordinamento italiano, inclusi quelli di origine sovranazionale e in particolare discendenti dalla Cedu, sicché in considerazione del rinnovato concetto di matrimonio sancito dalla sentenza Schalk e della dignità costituzionale delle unioni omosessuali di cui a C. cost. 15 aprile 2010 n. 138, cit., la questione deve considerarsi limitata all’accertamento di una diversità normativa tra istituti che, come dire, hanno la medesima radice e si distinguono solo per un elemento, quello della diversità di genere appunto, che può essere corretto dal legislatore, ma certamente non può costituire, da solo, la base per un ricorso all’eccezione di ordine pubblico. Del resto, in passato la questione della diversità di sesso dei coniugi come limite di ordine pubblico internazionale era da ritenersi superata soprattutto alla luce di esperienze straniere di Stati, come Israele e New York, che consentivano di dare effetto ai matrimoni same-sex stranieri pur non riconoscendo quelli domestici ed oggi deve ancor di più ritenersi inconsistente alla stregua della sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha stabilito che il matrimonio è un diritto garantito dalla Costituzione anche alle coppie omosessuali, sicché tutti i 50 Stati dell’Unione dovranno permettere a due persone dello stesso sesso di sposarsi e riconoscere i matrimoni omosessuali contratti in qualsiasi parte del Paese. Anche la Suprema Corte del Messico ultimamente ha riconosciuto la validità dei matrimoni in parola anche se su piano locale si sono già espressi le amministrazioni addirittura prevedendo una sorta di obiezione di coscienza opponibile dagli ufficiali dello stato civile locali. Non vanno nemmeno sottaciuti, al fine di escludere il predetto limite di ordine pubblico internazionale, i moniti e/o auspici più volte espressi dal parlamento Europeo e rivolti agli Stati dell’U.E. di legiferare in materia di unioni di coppie omosessuali.
Dunque il significativo ampliamento della tutela giudiziaria dei diritti delle persone e delle coppie omosessuali, su cui già la Corte costituzionale del 2010, si era riservata, nell’inerzia del legislatore (ancora attuale dopo un lustro, atteso che solo in questi giorni la relatrice Cirinnà ha dato parere favorevole all’emendamento 1.109 Ichino, che colloca nei registri di stato civile e non in registri separati gli atti relativi alle unioni civili, ed all’emendamento 1.1218 Malan, che elimina la possibilità di unione civile fra minori, prevista nel testo originario su autorizzazione del tribunale), di intervenire a tutela di specifiche situazioni secondo un controllo di ragionevolezza, è stato vieppiù esteso dalla Suprema Corte, che ha rilevato come, con le c.d. « sentenze gemelle » del 2007, la Corte costituzionale avesse affermato che non solo il testo della Cedu, ma anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo fungono da parametro interposto nel giudizio di legittimità costituzionale. Di conseguenza, i giudici nazionali « hanno il dovere di interpretare la norma interna in modo conforme alla norma convenzionale fintantoché ciò sia reso possibile dal testo di tale norme e, in caso di impossibilità dell’interpretazione “conforme”, di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con la norma convenzionale “interposta”, per violazione dell’art. 117, comma 1, cost.; con l’ulteriore conseguenza che l’interpretazione data dalla Corte europea vincola, anche se non in modo incondizionato, detti giudici e costituisce il “diritto vivente” della Convenzione » (§ 3.3.4). Cioè la Cassazione ha voluto richiamare l’attenzione dei nostri giudici sul reale effetto di questa particolare sentenza della Corte europea nell’ordinamento italiano: i « componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se — secondo la legislazione italiana — non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia — a prescindere dall’intervento del legislatore in materia —, quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di legittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili alle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza » (§ 4.2).
Quindi, il ricorso all’incidente di legittimità costituzionale davanti alla Consulta è solamente eventuale, ben potendo il giudice comune procedere direttamente all’estensione dei diritti per mezzo di un’interpretazione convenzionalmente orientata della norma interna.
In tali linee guida, relative a casi particolari, va letta appunto quella pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia che ha attribuito la qualifica di « coniuge », quantomeno dal punto di vista sostanziale, al partner same-sex sposato in altro Stato membro, con conseguente illegittimità del provvedimento di espulsione ed estensione del permesso di soggiorno al partner.
E parimenti Cass. n. 8097/15, la quale ha ritenuto che la rettificazione di attribuzione di sesso di persona coniugata non può comportare, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, operata con la sentenza, additiva di principio, n. 170 del 2014 della Corte costituzionale, la caducazione automatica del matrimonio, poiché non è costituzionalmente tollerabile, attesa la tutela di cui godono le unioni tra persone dello stesso sesso ai sensi dell’art. 2 Cost., una soluzione di continuità del rapporto, tale da determinare una situazione di massima indeterminatezza del nucleo affettivo già costituito, sicché il vincolo deve proseguire, con conservazione ai coniugi del riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al matrimonio, sino a quando il legislatore non intervenga per consentire alla coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi (in motivazione si legge: Al riguardo deve rilevarsi che la mera possibilità di richiedere giudizialmente l’adeguamento, come indicato dalle sentenze n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale e 4184 del 2012 della Corte di Cassazione, nella titolarità e nell’esercizio dei diritti fondamentali che costituiscono il nucleo del riconoscimento costituzionale ex art. 2 Cost., alle unioni omoaffettive è del tutto inidoneo a colmare il deficit di tutela individuato dalla Corte Costituzionale, perché la fattispecie cui aver riguardo non è una relazione di fatto, ancorché costituzionalmente protetta, ma un’unione matrimoniale, caratterizzata dal massimo grado di protezione giuridica dei suoi componenti. Risulta, in conclusione, necessario, al fine di dare attuazione alla declaratoria d’illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 170 del 2014, accogliere il ricorso e conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto fino a quando il legislatore non consenta ad esse di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi. La conservazione dello statuto dei diritti e dei doveri propri del modello matrimoniale è, pertanto, sottoposta alla condizione temporale risolutiva costituita dalla nuova regolamentazione indicata dalla sentenza).
Tutto ciò premesso va osservato che il caso in esame non riguarda il matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso, che in virtù della predetta pronuncia, pur non essendo inesistente né invalido, non è trascrivibile (ovvero atto inefficace ai fini della trascrizione) negli atti dello stato civile in quanto il legislatore è rimasto inerte, nonostante le varie sollecitazioni anzidette, nell’approntare le opportune modifiche dell’ordinamento dello stato civile al fine di tutelare secondo le previsioni costituzionali e convenzionali le unioni omoaffettive.
Ed invero nella specie si tratta del matrimonio contratto in Francia da due cittadine francesi (di cui una anche cittadina italiana iure sanguinis), ammesso in Francia anche tra coniugi dello stesso sesso; la coppia coniugata secondo quella legislazione si è trasferita in Italia per ragioni lavorative e in quanto residente in Italia ha chiesto la trascrizione del matrimonio contratto all’estero.
Dunque, trattandosi di coppia omosessuale legalmente coniugata secondo la legislazione dello Stato di cittadinanza , che ammette il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non sorgono le questioni tutte interne alla legislazione italiana che difetta di una normativa che regoli l’unione di persone dello stesso sesso come coniugi ovvero come unione sia pure regolata da forme di tutela differenziata. Si è detto come ai singoli Stati dell’Unione Europea sia riservata la legislazione in materia (Articolo 9: Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio) con la conseguenza che l’unione in parola, se riconosciuta come coniugale da uno Stato, non può l’altro Stato, in cui la stessa coppia coniugale intenda trasferirsi, disconoscere tale forma di unione legale per lo Stato di appartenenza ovvero riconoscerla come unione di fatto o come unione in ipotesi disciplinata secondo le diverse forme dello Stato di residenza. In tal modo, infatti e a prescindere che allo stato l’Italia non appresta alcuna forma di tutela familiare alle unioni omosessuali, risulterebbe disapplicata la norma convenzionale (art. 12 carta di Strasburgo) che comprende il diritto al matrimonio di persone appartenenti allo stesso sesso secondo la legislazione dello Stato di appartenenza (o di cui si sia acquista la cittadinanza), nonché la norma convenzionale (art.14) che comprende anche il diritto di una coppia omosessuale ad una “vita familiare”, che non può affievolirsi, nemmeno per uno solo dei coniugi di originaria (ed unica) cittadinanza francese, al passaggio da uno Stato all’altro: il mancato riconoscimento di un’unione registrata o di un matrimonio same-sex pregiudica la libera circolazione delle persone e, dunque, il funzionamento del mercato interno. Sarebbero violati i diritti fondamentali riconosciuti ai cittadini dell’Unione (artt. 18 e ss. TFUE) e cioè quello di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri (art. 21, comma 1 TFUE) e a non subire discriminazione in base alla nazionalità (art.18 cit.). Ma anche l’art. 21 CEDU (Articolo 21: Non discriminazione. 1.È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. 2. Nell’ambito d’applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi) vieta ogni forma di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale della persona e sulla nazionalità del cittadino dell’Unione e non v’è dubbio che la mancata trascrizione del matrimonio delle cittadine francesi, legittimamente contratto in Francia (che per la riconosciuta riserva di legislazione nazionale ammette i matrimoni tra persone dello stesso sesso), solo perché residenti in Italia (che non ha ancora apprestato forme di garanzia alle unioni civili di persone dello stesso sesso), costituirebbe un vulnus all’esercizio di tutti quei diritti connessi al loro stato di coniugi che l’Italia non può affatto disconoscere solo perché non ha inteso (ancora) riconoscere forme di tutela a dette unioni civili per i propri cittadini.
In definitiva, la riserva di giurisdizione del giudice interno già impone nell’ottica di un’applicazione delle norme, costituzionalmente orientata e conforme all’interpretazione di quelle convenzionali, di ritenere trascrivibile in Italia il matrimonio di cittadini stranieri e dell’Unione, a prescindere dal loro orientamento sessuale e/o appartenenza di genere, che come si è detto non costituisce limite di ordine pubblico interno ed internazionale, avendo la Stessa Suprema Corte preso atto di una realtà sociale — quella delle coppie gay e lesbiche — invece esistente e viva, che anzi costantemente reclama tutela da parte del diritto.
Ma a prescindere dalle pure assorbenti questioni di diritto costituzionale e convenzionale, la ricerca della soluzione del caso (particolare e diverso rispetto a quello già oggetto del vaglio della Suprema Corte) impone di evidenziare che la fattispecie in esame trova una regola specifica nell’art. 19 d.p.r. n.396/00, secondo il quale “1. Su richiesta dei cittadini stranieri residenti in Italia possono essere trascritti, nel comune dove essi risiedono, gli atti dello stato civile che li riguardano formati all’estero. Tali atti devono essere presentati unitamente alla traduzione in lingua italiana e alla legalizzazione, ove prescritta, da parte della competente autorità straniera”.
E’ stato precisato che ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 28, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento. Il principio dell’immediata rilevanza del matrimonio celebrato all’estero secondo le forme previste dalla legge straniera non è dunque condizionato dalle norme italiane relative alla trascrizione: questa, infatti, non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità, di un atto già di per sé valido in base al principio locus regit actum (cfr. Cassazione civile sez. VI 18 luglio 2013 n. 17620; Cass. n. 10351/98).
E cioè una volta riconosciuto che il genere della coppia dei coniugi stranieri non costituisce limite di ordine pubblico (nazionale ed internazionale) e che ad ogni Stato dell’Unione compete convenzionalmente la riserva di legge in ordine alle forme di unione delle coppie omosessuali, la trascrizione del matrimonio di coniugi stranieri residenti in Italia, ex art. 19 cit., non può incontrare alcun limite, opponibile dall’amministrazione dello Stato di residenza, nemmeno riferito all’appartenenza di genere della coppia coniugata. Né può configurarsi una disparità di trattamento per così dire “a contrario” nel senso che il matrimonio same sex di cittadini stranieri avrebbe maggiore tutela (allo stato inesistente) delle coppie omoaffettive italiane, perché la deteriore situazione di queste ultime è attribuibile solo all’inerzia del legislatore italiano più volte ammonito e sollecitato a legiferare in materia; in altri termini e semplificando la questione sarebbe proponibile se si volessero aggiungere diritti ai discriminati e non per disconoscerli a chi li ha secondo la legislazione dello Stato di cittadinanza dell’Unione. E così appare del tutto inconsistente la questione (prospettata nel dibattito interno al Collegio) del rischio di consentire attraverso il predetto meccanismo anche l’eventuale trascrizione di matrimoni poligami: tale trascrizione non potrebbe mai essere ammessa (e ci sono anche precedenti in tal senso) essendo la poligamia contraria all’ordine pubblico interno ed internazionale, tanto da costituire reato in Italia (art.556 c.p.) e da non essere prevista alcuna forma di riconoscimento di tali unioni a livello convenzionale.
P.Q.M.
a) accoglie il reclamo e per l’effetto ordina all’ufficiale dello stato civile del Comune di Santo Stefano del Sole (AV) di trascrivere negli atti dello stato civile il matrimonio contratto a Tourcoing (Francia) il 5.10.2013, dalle cittadine francesi, La Delfa Giuseppina (nata il 27.1.1963, a Tourcoing, Francia) e Hoedts Raphaelle Louise Anna (nata il 12.7.1963 a Lille, Francia);
b) compensa le spese di lite tra le parti in considerazione della novità delle questioni trattate.
Napoli, 13.3.2015 Il Presidente rel.
L’estensore

2 Responses to Corte di appello di Napoli, sentenza del 13 marzo 2015

  1. […] con cittadini comunitari dello stesso sesso. E solo pochi giorni fa è stata depositata la sentenza nella quale la Corte d’appello di Napoli ha ordinato all’ufficiale di stato civile del comune […]

  2. […] decisione depositata oggi, la Corte di appello di Napoli ha ordinato la trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due donne francesi, […]