Le Unioni civili in mare aperto: ecco il progetto di legge che andrà in Aula in Senato
8 ottobre, 2015 | Filled under OPINIONI |
di Marco Gattuso
In seguito all’ostruzionismo in Commissione Giustizia di alcuni senatori (di Ncd e Forza Italia) che hanno presentato, come noto, migliaia di emendamenti (ne ha dato conto ARTICOLO29 in maggio), è stato depositato ieri un nuovo progetto di legge (prima firmataria sempre la sen. Cirinnà, relatrice per il Testo unificato) che sarà oggetto della discussione che dovrebbe aprirsi in Senato a breve, il 13 o il 14 ottobre.
La discussione che si apre riguarderà formalmente anche tutti gli altri progetti di legge, ma di fatto è questo il testo che sarà oggetto del dibattito parlamentare e che sarà sottoposto, infine, alla votazione dell’Aula. Un testo, dunque, che affronta le intemperie dell’Aula senza relatrice.
Cercheremo di esporre qui in estrema sintesi i principi che informano la disciplina di cui al Titolo I della legge, relativo al nuovo istituto dell’Unione civile tra persone dello stesso sesso.
ART. 1: le “specifiche formazioni sociali”
Il nuovo testo mantiene, all’art. 1, il riferimento, che ha suscitato tante polemiche, alle “specifiche formazioni sociali”. Contrariamente a quanto equivocato da più parti, non si tratta di una nuova definizione dell’istituto giuridico, che resta denominato come “Unione civile fra persone dello stesso sesso”. Si tratta, invero, di una mera qualificazione giuridica del nuovo istituto ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Allo stesso modo delle famiglie di fatto, etero e omosessuali, che rappresentano specifiche formazioni sociali ex art. 2 e delle coppie coniugate, che rappresentano altrettante specifiche formazioni sociali protette dagli artt. 2 e 29, anche le unioni fra persone delo stesso sesso che accedono al nuovo istituto sono infatti in tutta evidenza specifiche formazioni sociali ex art. 2.
La sottolineatura di cui all’articolo 1 è dunque sostanzialmente priva di qualsiasi contenuto giuridico, essendo tesa a rimarcare quanto é evidente a tutti, ossia che la legge in discussione non sta estendendo l’istituto del matrimonio.
Con questo provvedimento, infatti, il Parlamento italiano non è chiamato a cessare la tradizionale discriminazione matrimoniale delle persone omosessuali, come avvenuto negli ultimi anni in tanti Paesi a civiltà giuridica a noi affine (fra cui, Francia, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti d’America, Canada, Argentina..), ma si sta avviando verso l’introduzione di un nuovo istituto di diritto di famiglia, distinto dal matrimonio ma ad esso equivalente, così seguendo la strada già percorsa da altri ordinamenti in un numero limitato di Paesi (come, fra altri, la Germania, l’Austria e la Svizzera).
Si tratta di una scelta che non è scontata, è assai opinabile ed è invisa alla stragrande maggioranza della comunità gay e lesbica, che chiede con forza uguaglianza. E’ una scelta per nulla obbligata (chi sostiene che sia imposta dalla nostra Costituzione ha un’idea davvero ristretta della funzione della nostra Carta costituzionale e fraintende la ratio garantista dell’art. 29, imputando allo stesso proprie aspirazioni e visioni ideologiche). Tale scelta tradisce, invero, l’evidente arretratezza del nostro sistema politico. Basti pensare che in Europa e nel mondo la fine della discriminazione matrimoniale è stata la bandiera di partiti e leader politici tanto di sinistra che di destra e che l’apertura del matrimonio si è già imposta al centro del dibattito politico persino in Germania, dove la maggioranza assoluta delle forze parlamentari (tutte, tranne la cdu-csu) propone oggi l’apertura del matrimonio. Insomma, quel che oggi è chiamato il “modello tedesco” non è scontato che lo resti anche in un prossimo futuro. Come dire che, se vuole, il Legislatore italiano si affretti, perché il modello tedesco, tra non molto, potrebbe non essere più disponibile.
In ogni caso, l’indicazione che le unioni omosessuali si qualificano come formazioni sociali ex art. 2 e non ex art. 29 non aggiunge e non toglie nulla alla scelta di fondo (unione civile e non matrimonio).
Art. 2: la costituzione della Unione
All’art. 2 viene prevista la costituzione dell’Unione civile avanti all’ufficiale dello stato civile (in conformità con quanto accade già da qualche anno in tutti i Laender tedeschi). Vengono previsti, inoltre, i cd. “impedimenti” (situazioni che impediscono la conclusione della Unione civile) che vengono ricalcati pedissequamente da quelli del matrimonio. Viene prevista, infine, la possibilità di scegliere un “cognome comune”, esattamente come accade per l’analogo istituto tedesco che, come detto, funge da dichiarato modello per il nuovo istituto italiano.
È prevista la registrazione della Unione civile fra persone dello stesso sesso fra gli altri atti dello stato civile (nascita, matrimonio, morte), senza istituire un improbabile registro ad hoc.
Nonostante sia previsto un necessario adeguamento delle norme dello stato civile, la legge sottolinea che questa norma, come il resto della Legge, entra in vigore immediatamente (art. 10, primo comma). E’ previsto espressamente, inoltre, che le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile siano emanate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Come già anticipato (vedi ARTICOLO29, 17 marzo 2015), non sono state riprodotte alcune norme che sono strettamente connesse con la tradizione e la storia dell’istituto matrimoniale, di valore simbolico ma della cui utilità pratica può dubitarsi, quali ad es. le pubblicazioni. Ciò non toglie che l’ufficiale di stato civile non possa (e debba) vagliare, prima della costituzione della Unione civile, l’insussistenza degli impedimenti previsti dalla legge.
Per il procedimento di costituzione della Unione civile, l’art. 2 ricalca, dunque, quanto già previsto in Germania, creando un istituto parallelo al matrimonio, che resta riservato alle coppie di sesso opposto, ma con modalità di costituzione in larga misura analoghe (come si rammenterà, la Corte costituzionale austriaca, con sentenza del 12 dicembre 2012, è già intervenuta sul corrispondente istituto, sancendo che il pubblico ufficiale non possa rifiutare di utilizzare per le unioni civili le procedure cerimoniali previste per il matrimonio).
Articolo 3 (4 e 6): il cuore della legge
All’art. 3 si ha la vera e propria disciplina giuridica delle Unioni civili fra persone dello stesso sesso. Lo statuto dei rapporti personali fra le parti della Unione civile è ricalcata da quella prevista per il matrimonio, prevedendo l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale ed alla coabitazione.
Fra le norme che interessano i rapporti personali, non vengono richiamati gli articoli 147 e 148 del codice civile che attengono al rapporto fra genitori e figli. Si deve tuttavia rilevare come i diritti dei figli verso i genitori, e viceversa, siano comunque identici al di là dello status dei coniugi e siano comunque normati dagli art. 315 bis e seguenti del codice civile. Come noto, infatti, dopo la riforma del 2012 (Legge n. 219/2012) non v’è più alcuna sostanziale distinzione di disciplina fra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Dunque, una volta riconosciuta la genitorialità (biologica, adottiva) i rapporti verticali tra figli e genitori sono indifferenti rispetto alla sussistenza di vincoli formali nei rapporti orizzontali fra genitori.
Peraltro il mancato richiamo dell’art. 147 c.c. segue e si adegua a quanto rilevato dalla Commissione affari costituzionali (di cui ha dato notizia ARTICOLO29, 12 maggio 2015) in ordine alla specificità della Unione civile che, come noto, non prevede una “presunzione di concepimento” per i figli nati in costanza di unione (la Commissione aveva parlato di «profili di oggettiva specificità che essa presenta e che potrebbero rendere complessa un’applicazione immediata e diretta della disposizione codicistica»).
Il secondo comma prevede che «le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato». Il richiamo alla «vita familiare» non rappresenta una inedita scelta del Parlamento ma deriva direttamente (ed è, anzi, imposta) dalla normativa sovranazionale che pone precisi vincoli per il Legislatore italiano. Com’è noto, infatti, le unioni registrate fra persone dello stesso sesso (così come le famiglie di fatto, etero ed omosessuali, e le coppie coniugate) non ricevono protezione soltanto come specifiche formazioni sociali ai sensi dell’art. 2 (e 29 nel caso delle coppie sposate) della Costituzione, ma altresì come specifiche forme di “famiglia” a norma dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, atti entrambi vincolanti per il Legislatore nazionale (nel primo caso per le materie di competenza dell’Unione). Tant’é che l’Italia é stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani proprio per violazione della “vita familiare” delle coppie omosessuali.
Gli artt. 3 e 4 estendono, quindi, alla Unione civile fra persone dello stesso sesso pressoché tutte le norme del matrimonio che regolano i rapporti patrimoniali, la materia successoria, la tutela della parte debole ecc.. Dunque le parti di una Unione civile fra persone dello stesso sesso avranno esattamente la stessa posizione dei coniugi per quanto concerne, ad es., i rapporti patrimoniali (l’unica eccezione è il mancato richiamo dell’art. 161 c.c., norma di scarsa applicazione) e le successioni in caso di morte.
L’art. 6 regola lo scioglimento dell’unione civile in base alla normativa vigente per il matrimonio civile. Dunque anche in questo caso sarà necessaria la separazione e, quindi, il divorzio.
Art. 3, quarto comma: la norma di chiusura
Norma centrale, di fondamentale importanza, di tutta la disciplina è comunque quella contenuta nell’art. 3, quarto comma, per il quale tutte «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche alla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». In base a questa norma, dunque, sarà possibile assicurare tutti i diritti (ed i doveri) di natura sociale: accesso alla pensione di reversibilità, sgravi fiscali, accesso alle graduatorie per gli alloggi pubblici, permessi lavorativi per ragioni familiari, trasferimenti per motivi di famiglia, congedi matrimoniali, decisioni in materia sanitaria e funeraria, permessi penitenziari, astensione dal testimoniare nel processo penale ecc. ecc…
Molto opportunamente, la legge evita di riprodurre un infinito elenco di disposizioni che oggi richiamano il matrimonio o termini come coniuge, sposo, marito, moglie ecc.., contenute non solo nelle leggi (si pensi al codice penale e di procedura penale) ma anche in migliaia di atti ammnistrativi e persino nei contratti collettivi.
Come per la legge tedesca, dunque, anche il Legislatore italiano sta adottando una tecnica mista, che prevede cioè un rinvio al matrimonio per alcune questioni ed una regolamentazione ad hoc per altre. Il Legislatore italiano, inoltre, sembra volere tenere evidentemente in debito conto l’esperienza di questi 14 anni di applicazione della legge tedesca, posto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in più occasioni ha ritenuto illegittime le disparità di trattamento fra l’unione civile riservata alla coppie dello stesso sesso prevista in Germania ed il matrimonio riservato in quel Paese alle coppie di sesso diverso. La Corte, in particolare, ha già statuito con riguardo: al trattamento dei lavoratori (sussidio di malattia, v. sentenza del 6 dicembre 2012); al trattamento pensionistico generale (v. sentenza del 10 maggio 2011, Grande Sezione) e in particolare all’accesso alla pensione di reversibilità (v. sentenza del 1 aprile 2008, Grande sezione), rammentando per quest’ultima come la mancata previsione del beneficio previsto per il coniuge superstite costituisca una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale in violazione del diritto comunitario, in particolare della direttiva n. 2000/78.
L’art. 3 comma quarto prevede, infine, che «la disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge», posto che le disposizioni del codice civile – che “si riferiscono al matrimonio” o contengono “le parole coniuge, coniugi o equivalenti” -, direttamente applicabili sono state già individuate dalla legge. È bene tenere a mente che in questo modo non si è affatto esclusa l’applicazione delle norme di cui agli art. 315 bis e seguenti c.c., che si occupano del rapporto fra genitori e figli, poiché le stesse tecnicamente non «si riferiscono al matrimonio» e non contengono «le parole coniuge, coniugi o termini equivalenti».
Articolo 5: adozione del figlio del partner
La legge dispone che ogni parte possa adottare il figlio del partner, estendendo all’Unione civile la disposizione di cui all’art. 44 lettera b) della legge 4 maggio 1983, n. 184.
Questa disposizione, in conformità con quanto già avviene in Germania, permette dunque alla parte dell’Unione civile di ricorrere all’adozione non legittimante nei confronti del figlio “legittimo” dell’altra parte (sia “biologico” che adottivo), al fine di assicurare tutela al supremo interesse del bambino alla continuità affettiva con il genitore intenzionale o sociale ed al fine di assicurare che quest’ultimo non venga meno agli obblighi di assistenza ed alle proprie responsabilità, anche patrimoniali, nei confronti del bambino.
Sul punto il progetto di legge tiene conto della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha riconosciuto come anche la relazione fra i bambini ed i due membri della coppia omosessuale rientri nella protezione assicurata dall’art. 8 della Convenzione alla «vita familiare» (decisioni del 15 marzo 2012 e del 19 febbraio 2013) e delle diverse recenti decisioni, assunte dopo un’iniziale indirizzo restrittivo, nelle quali ha escluso che siano giustificate disparità di trattamento fra eterosessuali ed omosessuali sotto il profilo dell’accesso alla genitorialità (decisioni in materia di affidamento dei minori, del 21 dicembre 1999, ed in materia di accesso all’adozione quando è consentita alle persone singole o alle coppie di fatto, decisioni del 22 gennaio 2008 e del 19 febbraio 2013).
Nel progetto di legge (ancora all’art. 3, quarto comma, ultima parte) viene espressamente esclusa, invece, l’applicabilità dell’istituto dell’adozione legittimante. Per le coppie dello stesso sesso unite civilmente non sarà possibile, dunque, adottare congiuntamente bambini in stato di abbandono, né italiani né stranieri.
Inoltre, nulla si dice con riguardo al persistente divieto di ricorso alla fecondazione eterologa per le coppie dello stesso sesso. Contrariamemte a quanto inopinatamente affermato da alcuni, la legge invero nulla dice con riguardo ad alcuna pratica di fecondazione artificiale (compresa la gestazione per altri, cd. surrogazione di maternità), lasciando dunque intatti i divieti della Legge 40 del 2004 superstiti dopo i ripetuti interventi demolitori della Corte costituzionale.
La permanenza del divieto di cui alla legge 40 continua, peraltro, a condizionare il profilo della tutela del superiore interesse del minore, posto che il bambino dovrà essere “adottato” anche in quei numerosissimi casi in cui la sua venuta al mondo è frutto di una scelta comune ai due genitori. Inoltre permane una differenza di trattamento fra la relazione giuridica instaurata dal bambino con il genitore cd. biologico e quello cd. sociale, poiché l’adozione ex art. 44 l. 184/1983 non è piena ma contempla qualche differenza di trattamento. La legge, inoltre, non risolve, in tutta evidenza, le situazioni in cui la coppia di genitori si sia già separata prima dell’entrata in vigore della Legge (e dell’emanazione di un provvedimento di adozione). In questi casi sarà ancora necessario ricorrere all’applicazione dell’art. 44 lettera d) della legge 4 maggio 1983, n. 184, sulla scorta della giurisprudenza inaugurata nel 2014 dal tribunale per i minorenni di Roma (sentenza del 30 luglio 2014). In ultima analisi, la legge compie un primo passo avanti, peraltro in parte anticipato dalla giurisprudenza minorile, ma non mette ancora il Paese in linea con altre realtà giuridiche occidentali.
Art. 6 ultimo comma e art. 7: mutamento di sesso
La legge stabilisce che in ipotesi di mutamento di sesso di una delle parti, l’Unione civile si sciolga automaticamente.
Il progetto di legge prevede, quindi, che in ipotesi di mutamento di sesso di un coniuge, il matrimonio si sciolga automaticamente e, nel caso la coppia manifesti la volontà di restare unita, si instauri l’unione civile tra persone dello stesso sesso. Si tratta in questo caso di una scelta imposta dalla sentenza n. 170/2014 della Corte Costituzionale.
Artt. 8, 9, 10: le deleghe al Governo e le disposizioni finali
La legge ha, ovviamente, efficacia immediata al momento della sua entrata in vigore.
Prevede alcune deleghe al Governo che riguardano tre settori specifici che, per il loro livello di complessità tecnica, non sono stati affrontati in sede legislativa, se non dettando i principi generali.
La prima delega riguarda l’adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni. L’adeguamento, come già detto, dovrà tenere conto delle «previsioni della presente legge» le quali «hanno efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge». L’art. 10, inoltre, prevede espressamente che «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile nelle more dell’entrata in vigore delle disposizioni delegate di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a)».
La seconda delega riguarda la modifica ed il riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato. In questo caso viene esplicitato il principio per cui si dovrà prevedere «l’applicazione della disciplina della unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo». Si tratta di una norma controversa, che sembra tuttavia riportare ordine in una materia che oggi appare assai confusa (basti pensare al contenzioso in materia di trascrizione dei matrimoni).
La terza delega, residuale, consente «modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti».
Scontata è, infine, la previsione che «entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 1, con la procedura prevista nei commi 2 e 3» (correzione dei decreti attuativi, dunque, e non certo della legge come inopinatamente anticipato da un giornale).
Conclusioni
Il Parlamento italiano è oggi chiamato a legiferare, in tempi stretti, anche in ragione della recente condanna del nostro Paese da parte della Corte Europea dei Diritti Umani che con la nota sentenza del 21 luglio 2015, caso Oliari e altri c. Italia, è giunta infine a sanzionare, con risarcimento, il nostro Paese per la violazione della «vita privata» e della «vita familiare» delle unioni omosessuali, protetti dall’Articolo 8 della Convenzione. Al monito giunto dalla Consulta per la definizione “con la massima sollecitudine” (sentenza n. 170 del 2014) di una “disciplina di carattere generale” (sentenza n. 138 del 2010) che dia protezione alle unioni fra persone dello stesso sesso, si è oggi sommata, dunque, anche la condanna del nostro Paese da parte della Corte di Strasburgo in ragione della perdurante violazione della “vita familiare” delle coppie omosessuali.
L’Italia è oggi l’unica nazione del mondo occidentale (insieme alla Grecia, che è stata anch’essa già condannata per questo dalla Corte europea dei diritti umani) ad essere ancora totalmente priva di leggi ed è, dunque, come un vaso d’argilla ormai ingestibile: in una Europa ove vige il principio della libertà di circolazione, i matrimoni same-sex respinti alla porta, rientrano ogni giorno dalla finestra, come insegna la vicenda delle trascrizioni che ha strascichi civili, amministrativi e financo penali. L’insostenibilità di una pretesa impermeabilità del nostro ordinamento giuridico rispetto non solo alle vicende esterne e transfrontaliere, ma persino alla stessa mutevole realtà sociale interna ha conferma in fattispecie disparate, dalle menzionate trascrizioni dei matrimoni (e dei certificati di nascita, degli atti di adozione..), al riconoscimento della carta e permesso di soggiorno a chi è coniugato all’estero con persona dello stesso sesso, alla stessa vicenda dell’illegittimità dello scioglimento automatico del matrimonio in caso di mutamento di sesso, a centinaia di diverse istanze promosse da coppie e da singoli. Con ogni probabilità, altri problemi emergeranno nella casistica futura, incoraggiati anche dalla recente condanna di Strasburgo.
Con questo scenario deve fare i conti il progetto di legge che scende adesso in Aula senza relatrice ed entra, così, in mare aperto.
[…] ordinamento di rimanere “permeabile” rispetto alle vicende esterne e transfrontaliere (M. Gattuso, Le Unioni civili in mare aperto: ecco il progetto di legge che andrà in Aula in Senato, G. Casaburi, Il Sillabo delle Unioni Civili: giudici, etica di stato, obblighi internazionali […]